sabato 5 maggio 2012

Ieri è andata in onda l'ultima puntata e senz'altro risultano vincenti personaggi come Vicky di Casapound o l'hostess di Brianair, interpretati dalla giovanissima sorella della conduttrice.
Brava anche Sabina Marcegaglia e Palombelli!

martedì 24 aprile 2012

è opportuno mettere voti infimi?

di Olga Sanese su L'Ottimista del 20/4/2012

Sul pianeta scuola si agitano, al momento, due dibattiti: il primo, sull’uso cosiddetti “brutti voti”; il secondo, sulla spinosa questione del carico di compiti a casa.
Recentemente ha fatto notizia che un liceo milanese si sia schierato a favore di una scala di voti che parta dal 4: secondo il Preside, infatti, mettere voti al di sotto di quel numero che indica già la grave insufficienza non fa altro che mortificare l’alunno. Ancora meno senso avrebbero voti del tipo “2 meno, meno” o “1 più” (tanto per incoraggiare!) che spesso solleticano il riso del ragazzo invece che il suoscoraggiamento.
Tuttavia è lecito vietare l’uso della scala numerica o, peggio, censurarne una parte? “I voti vanno da 1 a 10” diceva una mia professoressa (e poi, però, si limitava ad usarli dal 4 all’8, bontà sua!). Purtroppo, però, è anche vero che  correggendo taluni tipi di compiti (in primis le “odiate” versioni di greco e latino) ci si accorge che c’è differenza tra un compito da 2 (l’elaborato è totalmente sbagliato e le frasi non hanno senso), quello da 4 (tanti errori in frasi perlomeno costruite) e l’unico voto a sue cifre, il 10, su cui il Prof. non deve nemmeno appoggiare la penna. Ebbene sì: dei bravi non si parla mai. Anzi. Il recente libro del Prof. Dell’Oro sostiene che la scuola deve dare ancora maggior attenzione ai “Lucignolo” di oggi, quando in effetti è già tutto calibrato su di loro; basti come esempio il fatto che le ore in più sono sempre di recupero e quasi mai di approfondimento o che, durante la lezione, “i bravi” sono svantaggiati dal chiasso dei meno bravi. Questa è una mortificazione sicuramente più grave di quella che può provare un ragazzo che non ha studiato quando il professore gli riporta il compito con un “votaccio” scritto in rosso o, peggio, in blu.
Tuttavia è vero che il lavoro dei Professori è particolarmente attento ai problemi dei ragazzi che hanno difficoltà e il loro scopo è proprio quello di spronarli a fare di più e consigliare strategie e metodi di studio più efficaci.
Ma veniamo all’annosa questione dei compiti a casa di cui le famiglie chiedono una riduzione. Alle medie avevo un Professore d’inglese che aveva come metodo quello di farci lasciare i libri a scuola perché non dovevamo studiare a casa. Questa bella idea, però, aveva il nascosto scopo di farci lavorare di più a scuola: infatti, il non potersi preparare a casa per l’interrogazione del giorno dopo costringeva tutti a stare attenti alla lezione e a studiare di mattina, invece che di pomeriggio. Questo è solo un esempio di come si possono attuare delle strategie per diminuire i compiti a casa, ma è pur vero che niente come lo studio pomeridiano aiuta a diventare autonomi e indipendenti. Poi sta alla libertà del singolo ragazzo organizzare il tempo da dedicare allo studio e quello da lasciare libero; solo in quest’equilibrio si vivrà il lungo anno scolastico con serenità e senza mortificazioni. Intelligentibus pauca…

martedì 17 aprile 2012

Il doping dei professionisti dello studio pomeridiano


di Olga Sanese pubblicato sul Sussidiario.net


Laureati in farmacia che campano con ripetizioni di latino. Ecco quanto è grande il giro delle ripetizioni, un vortice che si estende dai laureati in cerca di occupazione agli insegnanti senza cattedra, dai liceali che aiutano i loro compagni di scuola ai centri studio.
Forse non è del tutto colpa dell’assenza o della brevità dei corsi di recupero pomeridiani (non ci sono, in questo ambito, grandi cambiamenti rispetto al passato): è evidente che un corso di otto ore non basta certo a imparare tutto il latino che si insegna in un intero quadrimestre scolastico.

E allora vari sono i motivi che inducono i genitori a “far seguire” i propri figli da “esterni” che non sono più né i nonni, né i fratelli maggiori, né mamma o papà perché sono a lavoro. Le ripetizioni si distribuiscono su tutto l’anno: in estate, se ci sono stati debiti alla fine dell’anno o per prevenire carenze future; in inverno, per accompagnare nello studio chi è rimasto indietro rispetto alla propria classe e ha preso brutti voti, ma anche chi vuole rafforzare le proprie conoscenze e passare dal 7 all’8.

Così si alza il telefono e si chiama il laureato (o pensionato) di turno, in base ai “miracoli” scolastici compiuti e alla tariffa richiesta (dai 10 ai 50 euro), su suggerimento degli stessi prof. del giorno o di amiche con figli, conoscenti e parenti; costui, se è un insegnante “a domicilio”, viene direttamente a casa all’orario stabilito e diventerà a breve uno di famiglia (si troverà in mezzo a litigi familiari, pranzi non finiti, tavole da sparecchiare per lasciar il posto a libri “immacolati”..); se, invece, bisogna accompagnare i figli da lui, i genitori avranno trovato l’ennesimo luogo dove correre e poterli “scaricare”.

A questo punto hanno inizio le ripetizioni. Il nuovo professore, a cui si dà del “tu” e a cui fai anche il regalo a Natale o a fine anno per ringraziarlo del miracolo compiuto, chiede al ragazzo a che punto del programma di trovano, cosa fa in classe, in cosa si sente carente o se ha bisogno di ulteriori spiegazioni (ricevendo spesso solo “mozziconi” di risposte perché lo studente che ricorre alle ripetizioni quando è a scuola pensa ad altro). Poi iniziano a fare insieme i compiti e lì diventa tutto più chiaro rispetto a un momento fa. Ovviamente, dopo alcune lezioni, la ripresa (almeno per quella materia) è garantita: il ragazzino infatti, non avendo modo di distrarsi e di evadere dallo studio, miracolosamente migliora e “si salva”.
Le mamme, seppur col portafoglio meno pesante, si ringalluzziscono con le prime sufficienze  e consigliano il loro “supporto” anche alle amiche. Così, col “passaparola”, il giro delle ripetizioni si allarga e continua…

Non è, però, tutto oro quello luccica. Infatti, se il docente pomeridiano, parafrasando un noto proverbio cinese, ha dato allo studente direttamente “i pesci”, ma non gli “ha insegnato a pescare” (facendogli, quindi, raggiungere subito il risultato ma senza insegnargli il metodo per continuare a studiare bene da solo), le ripetizioni saranno state una sorta di “doping” il cui effetto presto svanirà.
È interessante, allora, citare a questo punto l’opinione della preside del liceo “Tasso” di Roma, secondo la quale i ragazzi possono farcela anche da soli. È verissimo. Ma come? Basterebbe spegnere cellulare, staccarsi da internet e andare in palestra la sera invece che nelle ore in cui la mente è più “fresca”, come si diceva una volta.  Queste, infatti, sono le prime cause dell’accumulo di compiti assegnati a casa da mesi e mai svolti. Ancora: basterebbe stare attenti in classe (e se si va a dormire presto la sera è più facile) e seguire il proprio professore la mattina, invece, che un costoso “professionista del recupero” il pomeriggio.
Sono tutte cose che chi va bene ed è autonomo a scuola già fa. D’altronde, si sa, chi fa il suo dovere giorno per giorno non ha certo bisogno di ripetizioni…

martedì 10 aprile 2012

INTERVISTA A MASSIMO FINI


di Olga Sanese pubblicato dall'editore Pagine


“Deluso dalle ideologie dominanti, di destra e di sinistra”, come lui stesso si presenta sul sito web, Massimo Fini è un noto intellettuale italiano. Giornalista, scrittore e attore ha analizzato a fondo la nostra epoca asserendo che “il disagio esistenziale si è fatto, nell'Occidente industrializzato, acutissimo in noi tutti, anche se trova sorde le elites politiche e intellettuali che continuano a marciare, col sole in fronte e la verità in tasca, su categorie concettuali, il liberalismo e il marxismo, con tutte le loro declinazioni, vecchie ormai di più di due secoli”. Sono parole del suo “Manifesto contro”: contro il mondo moderno delle tecnologie avanzate, contro le Tecnocrazie al potere, contro il governo mondiale dell’economia. Per tutto questo Fini incarna “Il ribelle dalla A alla Z”, la cui “Voce” passa attraverso il mensile che dirige. Arrivato al giornalismo negli anni Settanta con l’ “Avanti”, è passato poi all’ “Europeo” con la Fallaci e a “Pagina”, giornale in cui si sono formati anche Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Giuliano Ferrara e Pier Luigi Battista. Nel 1982 entra al "Giorno" cominciando una solitaria battaglia contro la partitocrazia e predice il crollo del sistema e la fine del PSI. Ha lavorato anche all’ “Indipendente” di Vittorio Feltri. Attualmente scrive su Il "Fatto Quotidiano" e Il "Gazzettino". Anti-rivoluzionario francese e identitarista di sinistra è autore di numerosissimi saggi, romanzi e di un’opera teatrale intitolata “Cyrano”. In tutta la sua produzione sostiene che “Senz’anima” è il nostro Paese, pieno di un nulla che fa più orrore dello stesso orrore; che “il vizio oscuro dell'occidente” è quella “ricerca inesausta del Bene, anzi del Meglio, che ha creato il meccanismo perfetto e infallibile dell’infelicità” e che “il terrorismo globale non farà che confermare e rafforzare il delirio occidentale dell’unico modello mondiale”, al cui interno “avverrà lo scontro vero, il più drammatico e violento: fra i fautori della modernità e le folle, deluse, frustrate ed esasperate, che avranno smesso di crederci” (Manifesto dell'Antimodernità). 
Per questo “La Destra” ha voluto intervistare Massimo Fini, profeta del tempo che stiamo vivendo.
Che ne pensa dell’attuale situazione in cui versa il nostro Paese, in cui un Monti-Dracula succhia soldi agli italiani?
Monti è l’uomo giusto in un sistema sbagliato. L’uomo giusto perché ci voleva qualcuno che prendesse queste misure. L’errore di Berlusconi è stato di non averle prese lui. Con l’espressione sistema sbagliato, invece, mi riferisco al libero mercato, alla competizione, alla forza del denaro rispetto a tutto il resto. Il modello di sviluppo nato nel XVIII secolo con la Rivoluzione industriale è giunto a fine corsa: non si può più crescere. La “macchina” dell’attuale sistema economico è arrivata davanti a un muro, eppure continua a dare di acceleratore. Per questo, a breve,  fonderà il motore…

Partendo dal suo “Manifesto contro la Democrazia”, in cui sostiene che siamo tutti “Sudditi” in questa finta democrazia fatta di “minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiacciano l’individuo, già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la stessa democrazia è l’involucro legittimante”, non crede che un governo tecnico formato da persone nominate dall’alto - e, quindi, non elette dai cittadini - metta seriamente a repentaglio la democrazia più di quanto si diceva del governo Berlusconi?
La democrazia è a rischio; e se soccombe è meglio, essendo una finzione sofisticata per la povera gente che le dà consenso. Non è mutato nulla con il cambio di governo. Aveva ragione Kelsen...


Nella sua vasta produzione, Lei ha reinterpretato anche figure dell’antica Roma come Nerone e Catilina. Quest’ultimo è stato visto da Lei come un eroe romano che, alla fine della repubblica, combatteva contro le oligarchie del tempo: gli “optimates”. Secondo Lei oggi c’è qualcuno che si oppone agli attuali poteri forti, pur essendo in minoranza e consapevole di dover soccombere?
No. Non ci sono “Catiline” da nessuna parte, né all’estero né tantomeno in Italia. C’è solo un mondo che si oppone al nostro modello di omologazione ed è quello islamico.

Si riferisce a quello che ha scritto ne “Il Mullah Omar” (Marsilio - 2011), rilettura della guerra in Afghanistan come la lotta dell'uomo contro la macchina in cui il leader dei Talebani che “tiene in scacco il più tecnologico esercito del mondo per il suo sogno: quello di un Afghanistan finalmente unificato e pacificato, lontanissimo dagli stili di vita dell'Occidente” e da quello “sterco del demonio”, il denaro, che crede di poter tutto comprare e corrompere, anche i valori, per difendere i quali i giovani Talebani sono disposti a morire?
Certo. I Talebani, relativamente al loro paese, rappresentano la reazione all’Occidente, il ribellarsi all’occupazione straniera. C’era anche l’Africa nera, ma è stata distrutta dall’Occidente e con questo termine oggi s’intende anche Russia e Cina. Quest’ultima si è ormai impadronita dell’africa nera…

Un’ultima domanda sull’informazione. Lei ha scritto un romanzo, “Il dio Thot” (Marsilio - 2009), in cui si scaglia contro quell’informazione, che si avvita su se stessa, megafono del nulla” perchè “quel poco di realtà che c'è ancora è ignorata dai media e quindi non esiste. (…) Il distacco tra virtuale e reale è ormai completo e non potrà che implodere su se stesso”. È ancora di questa opinione?
L’informazione crea illusioni. D’altronde è sempre stato così. I primi giornali di carta stampata francesi e tedeschi sono nati al servizio del potere. E oggi non è diverso: i soliti sono a capo di oligarchie mediatiche. Uno spiraglio viene da internet ma, anche qui purtroppo, manca una seria verifica.

Montanelli diceva “Ha le mani pulite. Non rispetta le regole. Non sta al gioco” perché  Fini è un vero “conformista” nella misura in cui la Sinistra è una finta anticonformista. “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio”…

martedì 3 aprile 2012

La prima impronta della Pasqua è su quel panno

Perchè si usa la parola "volto" e non faccia, non viso, quando si vuole indicare la reliquia di Manoppello? Perchè non è come quello degli altri.
E perchè il primo istinto è quello di toccarlo? Forse perchè siamo un po' tutti come S. Tommaso (se non tocchiamo, non crediamo) o forse oggi c'è il rischio di non credere nemmeno dopo aver toccato con mano, tanta l'apatia che respiriamo.
Ma cosa ci è rimasto "impresso" dal ritiro scolastico pasquale a Manoppello? 
La polemica tra coloro che sostengono che sia una pittura e coloro che dicono che l'immagine è sovrapponibile a quella della Sindone (che, tra l'altro, l'avvolgeva)? oppure le parole di chi diceva "come fa a tenere gli occhi aperti"?
Sono tutte domande che i pellegrini si fanno, soprattutto coloro che elemosinano uno sguardo, Quello. Anche Dante cercava il volto di Dio e nella Divina Commedia prova a descriverlo; anche lì, come a Manoppello, è trasparente, è luminoso e sembra guardarci. D'altronde a chi non piacerebbe "rispecchiarsi" in quella misteriosa immagine?
Allora si può credere o meno a un'affascinante reliquia, ma di sicuro non smetteremo di cercare quel volto nel viso di chi ci sta intorno e ci ama più di se stesso.

Buona Pasqua, nella speranza che quegli "occhi aperti" aprano anche il nostro cuore.

martedì 27 marzo 2012

Disinformazione radical chic

una docente su WOW
Fa sempre più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Soprattuto nel campo della (dis)informazione. Non una parola si legge sui giornali o si sente in tv quando una scuola riesce  ad organizzare incontri con autori del calibro di Erri de Luca o di Susanna Tamaro o quando i suoi studenti vincono le Olimpiadi di matematica; ma è subito notizia se chi commette un errore frequenta una scuola paritaria del quartiere Trieste. Colpisce e scandalizza, infatti,  il pregiudizio, il cinismo e la morbosità che certa stampa radical chic ha dimostrato nel richiamare all’attenzione del lettore particolari insignificanti per l’accaduto che ha interessato un alunno della nostra scuola. Ha prevalso, come al solito, il desiderio di fare scoop più che la ricerca della verità.
La scuola, però, a differenza dei media, non si accontenta del sensazionale: la sua missione principale  è quella di appassionare gli studenti al vero attraverso l’esperienza della realtà. Per questo con i ragazzi si è parlato dell’accaduto in due “Biongiorno”, da una parte per sottolineare quanto sia nociva la droga ma soprattutto per metterli in guardia dal non finire in guai più grandi di loro. Tutti gli adolescenti di oggi – e non c’è quartiere che faccia eccezione – vivono le stesse problematiche e i medesimi disagi, dettati in primis dalla loro età e poi, ovviamente, dalla società consumistica di cui sono figli. Così, dando loro la possibilità di esprimersi, è risultato che in alcuni prevaleva la voglia di emettere un giudizio, in altri emergeva il desiderio di voler dare ancora una possibilità a chi ha sbagliato. Sia nell’uno che nell’altro caso è d’obbligo però sottolineare che non esistono ambienti protetti se non sono innanzitutto i ragazzi a costruirli intorno a loro stessi; non c’è chi li possa tutelare se loro non vogliono essere tutelati. Per questo i ragazzi devono fare buon uso della loro libertà e soprattutto della fiducia che viene riposta in loro dalle famiglie e dalla scuola. Solo così terranno alla larga quelle “zone d' ombra” che nella vita inevitabilmente incontreranno perché ci sono, ma che devono essere in grado di saper comprendere ed evitare. Per questo scopo gli insegnanti continueranno ad educarli a fare buone scelte, nella convinzione che il chicco di grano – una volta seminato - prima o poi darà il suo frutto.

martedì 20 marzo 2012

Giovani: l'Europa è nelle vostre mani

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 16/3/2012

I ragazzi del triennio della scuole superiori hanno tempo fino al 31 marzo per  partecipare al concorso bandito dal Movimento per la Vita sulla loro idea di Europa. Nel XXV anno dalla sua istituzione, il tema del 2012  “L’Europa è nelle vostre mani” prende il titolo da una frase – rivolta ai giovani -  dal Beato Giovanni Paolo II. Sul sito http://www.mpv.org/, infatti, i ragazzi troveranno questo e altri spunti interessanti da cui partire  per fare le loro proposte da europei quali sono o quali vorrebbero diventare.
Quale futuro si aspettano gli adolescenti dal nostro vecchio continente costruito sui “mattoni” della filosofia greca, dalla grandezza dei romani e unificato dal cristianesimo medievale?
Di cosa parleranno gli studenti di oggi? Come vedono l’Europa dai loro giovani occhi? Sicuramente non sono ancora toccati dal grigiore della burocrazia né dai “cavolini” di Bruxelles ma conoscono bene le parole “erasmus”, “fuga dei cervelli”, “salvataggio della Grecia dalla bancarotta”, “direttorio franco-tedesco”. Inoltre, attraverso i viaggi di istruzione scolastici, hanno conosciuto i luoghi in cui vivono i loro cugini europei, hanno “assaggiato” la loro lingua e le loro pietanze, hanno studiato la loro storia.
Ma cosa può fare oggi l’Europa per loro? Hanno la facoltà di esprimere i loro desideri e i loro progetti attraverso questa opportunità del Movimento per la Vita., a partire dai valori su cui vogliono fondare la “loro” Europa: la persona umana, l’integrazione, la libertà religiosa. Potrebbero, per esempio, ripercorrere il pensiero dei Padri fondatori, intervistare Mazzini o De Gasperi su come è nata l’idea di Europa, oppure far finta di essere andati a passeggio con i trovatori medievali sulle strade della poesia europea o, ancora,  sulle vie dei pellegrinaggi.
Alla fine, dopo una selezione, i migliori elaborati (disegni o power-point) saranno premiati presso la sede del Parlamento Europeo.
Dunque, per parafrasare Massimo D’Azeglio: gli europei sono fatti, ora bisogna (ri)fare l’Europa!

giovedì 15 marzo 2012

Giovani scrittori: follia o speranza?

Una panoramica italiana

di Olga Sanese pubblicato sul mensile cartaceo "L'Ottimista" di marzo 2012

Chi sono i Panebianco under 40? E gli Erri de Luca under 30? Quale libro recente è lontanamente  paragonabile a “La solitudine dei numeri primi” del piccolo grande Paolo Giordano? L’Ottimista si è fatto questa domanda e ha cercato una risposta analizzando il panorama nazionale (ma anche internazionale) dei giovani scrittori emergenti o già “emersi”.
Ma innanzitutto: cosa vuol dire scrivere, oggi? Da più di un secolo, ormai, l’intellettuale non è più un “vate” (come lo era D’Annunzio, per esempio) né la sua voce viene “intercettata” per indicare un cammino all’umanità.   Già Baudelaire in una sua nota poesia affermava che lo scrittore, a fine Ottocento, era
come un albatros deriso da tutti perché, con le sue ali giganti (simbolo delle grandi idee che aveva), non riusciva a volare (cioè a farsi capire dal mondo industrializzato che lo aveva esautorato della sua auctoritas).
E oggi che cosa vuol dire oggi scrivere, se non mettere sul mercato un prodotto da vendere il più possibile indipendentemente dalla sua qualità? In Italia ci sono più scrittori che lettori, più case editrici che librerie, eppure mancano quegli intellettuali che siano guide per l’intera società.  In questo quadro, tuttavia, si inseriscono giovani che sembrano voler risvegliare quell’Umanesimo assopito nella crisi economica, politica e sociale che il mondo sta attraversando. È il caso del trentacinquenne Alessandro D’Avenia, Professore di liceo e autore di “Bianca come il latte, rossa come il sangue” e del recentissimo  “Cose che nessuno sa”. Il cosiddetto Prof. 2.0 – com’è denominato il suo blog - rappresenta per l’Italia di oggi (e non solo, dato che il suo best-seller è stato tradotto in moltissime lingue) una sorta di “angelo caduto in volo” che ha risvegliato la scuola e il mondo della cultura dal sonno del “tanto non cambierà mai nulla” per riportare entrambi al loro principale scopo: educare alla bellezza. Per farlo è interessante che lo stesso D’Avenia consigli di leggere, prima dei suoi libri,  i grandi classici della letteratura (basti pensare che alla base del suo ultimo romanzo ci sia proprio la famosa “Odissea”). Lo scopo dello scrittore – dice – è  mettere i classici “in dialogo con il presente. Più che rimodernizzarli c’è bisogno che siano loro a leggere e modernizzare noi. Un Dante può darci le parole per possederci, per dirci, per conoscerci. Si tratta di scovare quei tratti profondamente umani e universali che la grande letteratura ha, altrimenti non sarebbero e non diventerebbero dei classici. Chiaramente per avvicinare alla lettura dei classici è necessario renderli più permeabili ai sensi dei contemporanei: ben vengano le operazioni che avvicinano senza semplificare. In questo il Baricco di Totem ha molto da dare agli insegnanti che fa venire voglia di leggere l’originale, senza sostituirlo”.
Un altro scrittore tanto giovane quanto affermato è sicuramente Roberto Saviano, intellettuale impegnato sui temi della camorra e di come, attraverso la cultura, sia possibile sottrarle i ragazzi. Reso celebre dal successo di “Gomorra”, capolavoro diventato anche un film, Saviano è stato più volte ospite della trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa” ed è stato protagonista indiscusso del programma “Vieni via con me” (diventato anche un libro) attraverso i suoi monologhi e gli apporti che ha dato durante la lettura dei famosi “elenchi”. La sua idea di fare cultura consiste, innanzitutto, nel raccontare un’Italia diversa: quella che i media non vedono né ascoltano; un Paese fatto di persone che ogni giorno lavorano, studiano o fanno ricerca per rendere l’Italia migliore di come l’hanno trovata; un popolo che ama il proprio Paese al punto di fare sacrifici, di rinunciare a un po’ dell’interesse privato per il bene comune. Insomma, parafrasando la nota pubblicità Fiat, “è questa l’Italia che piace” a Saviano e che racconta nelle sue uscite pubbliche. In una di queste ha presentato uno  scrittore russo, nato nel 1980, Nicolai Lilin, che dal 2004 si è trasferito in Italia e ha pubblicato tre libri nella nostra lingua: nel 2009 è escito per Einaudi Educazione siberiana, di cui Gabriele Salvatores ha curato la trasposizione cinematografica; nel 2010 Lilin finisce di scrivere Caduta libera, in cui racconta in prima persona la sua esperienza di diciottenne in Cecenia nelle fila dell’esercito russo. Senza ideologie né filtri, Lilin scrive trasformando quel conflitto nello specchio di tutte le guerre iper tecnologiche contemporanee. Infine  pubblica “Il respiro nel buio” (2011), “storia di formazione ma anche un romanzo sul trauma e le sue conseguenze incontrollabili. Tornato dalla guerra in Cecenia e dai suoi orrori, il protagonista avverte la difficoltà di reinserirsi nella vita civile, di esserne accettato fino a che non decide di intraprendere un viaggio in Siberia che lo porterà dal nonno e alla scoperta delle proprie radici. E quel mondo, aspro e ostile nel quale finisce si rivelerà fondamentale per rigenerare la psiche di Nicolai. La Siberia, insomma, con la sua taiga, i suoi animali, la sua gente, i suoi riti sciamanici, i suoi villaggi, diventerà il grado zero dal quale poter ripartire. Quella terra immensa ha qualcosa di meraviglioso che non possono avere né Mosca né Pietroburgo. Ha le leggi del cuore. Più dure delle leggi della città, ma meno astratte e soprattutto misteriose” (Antonio GnoliLa Repubblica).
Completamente disimpegnato, invece, ma – al tempo stesso - autore di veri e propri best seller è Fabio Volo, quarantenne nel 2012. Da ex fornaio bergamasco è stato capace di raccogliere intorno ai suoi libri milioni di accaniti lettori attraverso le sue storie semplici quanto vere e, soprattutto, immediate. Sono libri scritti per Mondadori dal 2001 a oggi (Esco a fare due passi, È una vita che ti aspetto,Un posto nel mondo, Il giorno in più, Il tempo che vorrei, Le prime luci del mattino) che lasciano senza fiato coloro che sono alla ricerca, come il protagonista, di una felicità che duri più del battito d’ali di una farfalla e che non riescono a trovare nelle intricate storie d’amore che vengono raccontate. E dai libri sgorgano poi pellicole cinematografiche che fanno migliaia di spettatori.
Fenomeno che ha destato un certo clamore è anche quello della cosiddetta “Generazione TQ”, insieme di intellettuali trenta-quarantenni che si ripropongono di rifondare la cultura. Di area democratica, essi si riuniscono intorno alla casa editrice Laterza.
Con un manifesto politico,
si definiscono “mediatori tra i saperi” e immaginano “nuovi modelli di pratiche sociali (…) nel campo dell'editoria e in quello degli interventi pubblici, dalle attività di volontariato nelle scuole pubbliche a seminari tematici aperti a tutti su cultura, politica ed economia. Si tratta di una generazione (allargata) che sta provando a praticare un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione.
E quali sono gli stranieri che conquistano le librerie italiane? Dopo il successo di Harry Potter impazza ancora la saga dei vampireschi  Twilight (2006 in Italia), New Moon, Eclipse e Breaking Dawn, scritti dalla meno che quarantenne statunitense Stephenie Meyer.
Tirando le somme da questa panoramica è possibile affermare che, mentre all’estero, la fanno da padrone
i fantasy, in Italia prevale la scrittura impegnata, segno che i giovani hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà, di amarla nonostante tutto e di renderla migliore di come l’hanno trovata.

mercoledì 14 marzo 2012

Vogliono censurare Dante?

Giuda nella bocca di Satana e Maometto tra gli scismatici. Forse per questo Dante è un antisemita o un islamofobo, secondo l'Onu?
Di certo la Divina Commedia è figlia del suo tempo (il Medioevo) e delle credenze allora in voga. Non si può mica guardare a Dante con gli occhi novecenteschi della Shoà o del terrorismo islamico!
Il polticamente (s)corretto e relativista continua  far danni...altro che Inquisizione...

Geppi vince il premio TV dell'anno (insieme a Fiorello)

Da Macomer a Sanremo: fenomeno Geppi

di Olga Sanese pubblicato su "L'Ottimista" del 4 marzo

“Gianni, scusami ma non dirò parolacce. So che non va di moda ma io non me la sento proprio: ho studiato dai salesiani”. Inizia così il monologo sanremese di Geppi Cucciari e non ha nessuna pausa, neanche un bicchiere d’acqua da sorseggiare. È stata lei, insieme all’Arisa-seria, la rivelazione del Festival di quest’anno.
C’è chi spinge già per una conduzione sarda del prossimo Saremo, ma per ora il premio per l’ex di Zelig arriva con il raddoppio di G’ Day, la “striscia la notizia” di La 7, in onda da lunedì 5 marzo dalle 18,55 al Tg di Mentana. Dopo ripetute battute sull’ispettore Barnany che occupava quella mezz’ora prima del suo programma, Geppi ce l’ha fatta a bissare. Il complice? La sua intelligente comicità.
Da martedì scorso G’ Day ha un anno di vita e in questi 365 giorni ce ne ha fatte vedere dalle belle: gli sketch sono cambiati, il programma si è continuamente rinnovato per stare sempre di più sulla notizia (basti pensare a “Don Fullin” – parodia di don Camillo - o alle “esclusive impossibili” di Francesca Senette). Il pubblico ha imparato a conoscere sempre di più Matteo Bordone, il giornalista dalla barba impenetrabile e con uno humour inglese che affianca (e corregge l’italiano di) mariaGiuEPPIna Cucciari. Poi, ad ogni puntata, un ospite diverso chiuso nel famoso frigorifero (attori, cantanti, personaggi televisivi, giornalisti etc…) e un altro invitato, “spalla” della conduttrice per commentare l’intervista. In mezzo: giochi, quiz, battute, persino partite di basket (come quella indimenticabile con Nina Zilli), il pupazzo Gidello che fa il verso al Gabibbo etc.
Per l’allungamento della puntata non si sa cosa abbia in serbo la fantastica scoperta di Zelig: di sicuro ha fatto le selezioni dei suoi nuovi aiutanti in stile X-Factor e ce le ha fatte vedere nelle scorse puntate. Non resta che aspettare con ansia il suo nuovo esordio…

martedì 6 marzo 2012

Copiando la versione da internet scelgo di non fa rivivere in me quel cuore antico...

È da quando ho scoperto che tutto il mio amato mondo classico è tradotto su internet ed è scaricabile con il telefonino durante il compito in classe che mi chiedo: “cui prodest”? (a che giova?) E mi fanno pensare ancora di più quelle mamme che, ai colloqui, sottolineando tutti i benefici che hanno tratto nella vita dal latino e greco, sembrano infondermi coraggio.
Tuttavia vorrei cercare di rispondere a questa domanda che in molti oggi si pongono: può internet porre fine a studi millenari come quelli delle lingue classiche su cui si sono formate intere generazioni? Sul tema dell’ossimorica “utile inutilità” degli studi umanistici si è dibattuto molto su questo giornale ma anche altrove (basti pensare all’intervento dello stesso Vespa su Panorama o alla ripubblicazione dei classici da parte del Corriere) e credo che la Prof.ssa Paola Mastrocola abbia incarnato più e meglio di chiunque altro questa battaglia (vincendola a pieni voti).
Tuttavia mi preme spostare l’attenzione sulle traduzioni che si fanno non con l’aiuto del vocabolario, ma del sito web. In questo caso mi chiedo: che utilità ha copiare la versione da internet? Che senso ha fare una versione così se manca proprio quell’incontro – scontro con ciò che è “altro da me”, cioè con il pensiero nascosto dietro la lingua greca o latina di un autore che aveva il mio stesso cuore, ma che io scelgo di non far rivivere in me?
Se invece gli studenti, pur sapendo di avere una biblioteca virtuale a disposizione per fare i compiti al posto loro, si cimentassero a capire cosa voleva dire quel tizio vissuto tanto tempo fa, eppure rimasto immortale grazie a quelle dieci righe di versione scampate al naufragio del tempo, scoprirebbero che le lingue classiche insegnano a ragionare in un modo che nemmeno i numeri della matematica sono in grado di fare. La famosa “forma mentis” che scaturisce da queste lingue (uniche nel loro genere) fornisce una capacità di affrontare ostacoli e difficoltà quotidiane che non può certo essere definita “improduttiva”.
Alcuni obietteranno che tutti i problemi del latino si potrebbero risolvere imparandolo come una lingua moderna, cioè passando dal metodo tradizionale (traduzione dal latino o dal greco in italiano) ad un “corso di latino parlato” (cosa che si fa già in numerose scuole). In tal modo il latino sarebbe più appetibile e meno ostico agli studenti; certo sarebbe un gioco ma comunque non risponderebbe meglio delle traduzioni alla famosa domanda di “utilità” che tutti ci pongono. E forse si perderebbe anche quel “feeling” di trasmissione scritta che c’è tra noi e l’antico scrittore (che nessuno sapeva come parlasse o pronunciasse quelle parole che pure leggiamo così bene!)
Ad ogni modo la rivalutazione dell’humanitas farebbe certamente bene a questo mondo seppellito dall’apatia; la società circostante spesso appare meno moderna e più marcia del più antico papiro greco pervenuto: questo invece, se letto con attenzione, parla a noi e di noi meglio di qualsiasi psicologo contemporaneo. Ma tocca ai “traduttori umani” – non a quelli virtuali - “tradurre” la sua ricetta in una “cura” (nel senso latino del termine!) adatta all’hic et nunc.

martedì 28 febbraio 2012

Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio

pubblicato su L'Ottimista del 23/2/2012

No, non è il ritornello della canzone vincitrice di Sanremo, “Non è l’inferno”, ma un noto brano de “Le città invisibili” (1972) di Italo Calvino che inizia così: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. (…) Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui”, ma è proprio quello citato all’inizio dell’articolo e scelto (volontariamente?) dagli autori della canzone di Emma.
Il brano tratta di come un centenario ex combattente della I e II guerra mondiale si ritrovi oggi “a non tirare a fine mese, in mano a Dio le sue preghiere” con un figlio precario “che a 30 anni teme il sogno di sposarsi e la natura di diventare padre”.

Tuttavia da questo dramma esistenziale e ormai comune – tanto che si parla di “nuovi poveri” – nasce una speranza, almeno quella di affermare la vita, l’unica cosa che resta, e che nemmeno in queste tragiche situazioni “è possibile pensare che sia più facile morire”; la vita non è mai  “inferno” perché come diceva Calvino, nell’esistenza bisogna aggrapparsi a tutto ciò che “inferno non è, farlo durare e dargli spazio”.

Questa è la ricetta di una vita che chiede di essere vissuta degnamente e che qualche volta ci regala delle vittorie, come quella dell’ “amica” Emma al Festival di Sanremo di quest’anno.

martedì 21 febbraio 2012

Emma ha vinto Sanremo? No, Calvino...

di 0lga Sanese puibblicato su L'Ottimista del 15/2/2012

Ho fatto un sogno. Ero seduta in prima fila al Teatro Ariston di Sanremo perché avevo pagato il canone Rai prima di tutti gli italiani, orgogliosa di una tv pubblica che non deve dipendere dal mercato pubblicitario e che può esprimersi liberamente senza chiedere il permesso alla casta-politica (e s’intenda la parola “casta” come sostantivo).
Al mio fianco sedevano semplici italiani fieri di essere a Sanremo come me: non erano del mondo dello spettacolo né di quello del calcio; non c’erano fotografi di professione né dirigenti. Il presentatore era vestito in smoking; la valletta aveva un viso color dei gigli, come le fanciulle cantate dallo Stilnovo. Nonostante non avesse scollature, né spacchi avanzava “gentile” e sensuale sulle scale del palco.
Il Festival della canzone italiana iniziava, appunto, con una canzone-bandiera dell’Italia, Azzurro, un nobile aggettivo, non una parolaccia. Proseguiva con i cantautori in gara che facevano vibrare le corde del cuore degli spettatori prima che quelle delle loro chitarre e che parlavano d’amore, anche senza nominarlo, perché lo sapevano descrivere in modo talmente mirabile da non aver bisogno di ripetere suoni già uditi migliaia di volte. I loro accordi erano nuovi e del tutto originali, anche senza il copyright e la SIAE. E non cantavano solo con musica e parole, ma anche con gesti e “accoramenti”.
Le loro parole si libravano nell’aria e davano sollievo agli italiani che, dopo una giornata di lavoro, si riunivano nelle case di chi aveva la televisione per vedere, oltre che per sentire come facevano abitualmente per radio, il festival del mese di san Valentino. La bellezza salverà il mondo, dicevano, e ci credevano sul serio, al punto che lo spettacolo veniva trasmesso in tutte le altre “stelline” che rappresentano i Paesi europei, come vanto nazionale.
Poi, ad un certo punto, è arrivato uno che si molleggiava di qua e di là. Non parlava, ma sapeva cantare più di tutti gli altri. E con la sua voce parlava d’amore alla stregua di Mina e Battisti; lasciava Dio ai preti e il piano regolatore ai politici.
Tra una canzone e l’altra c’era la satira di costume sull’Italia, sulla diversità tra uomo e donna, e via  beffe e motto arguti. Senza sentire nemmeno un’espressione volgare, ho riso talmente “a crepapelle” che mi sono svegliata.
Ho letto i giornali e tutti parlavano di un Festival mai visto dove Celentano era definito “profeta decadente”; il voto della giuria non funzionava; la valletta, a letto con la cervicale, era stata sostituita da altre; Luca e Paolo avevano lasciato il posto a “I soliti idioti”…
Mi sono chiesta: ma il vero festival di Sanremo, quello di cui in passato parlavano tutti perché faceva cultura, dov’è andato a finire? Mi sono riaddormentata e ho preferito vedere il vincitore del festival dei miei sogni. Lì ha vinto il miglior cantante dell’anno: non quello più televotato, ma quello che nel giudizio univa tutti, dal critico musicale all’ultimo spettatore. Non c’erano cantanti-amici, perché la musica era per tutti.

lunedì 20 febbraio 2012

Filtra il web dei tuoi figli e della tua azienda


di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 13 febbraio 2011


Quante volte ci chiediamo se la navigazione dei nostri figli è sicura, se non vanno su siti pericolosi, se lo schermo li ripara automaticamente da insidie sconosciute? Ma soprattutto cosa possiamo fare, da genitori, per evitare che l’uso del pc in famiglia si trasformi in una trappola? Da oggi esiste un “filtro” che non danneggia la nostra salute come quello delle sigarette ma che ci fa stare senz’altro meglio: è  Web-filter. Si tratta di un servizio che ha lo scopo di rendere la navigazione in rete Internet più sicura, veloce, intelligente ed affidabile grazie ad un particolare sistema di Domain Name System (DNS). Web-Filter, oltre a migliorare i tempi di risposta nella navigazione, è in grado di impedire l’accesso ai siti contenenti virus, malware e phishing. È ormai noto che una delle insidie più pericolose che si presenti durante la navigazione è la possibilità che un utente possa essere indotto a fornire dati sensibili come il numero di carta di credito o le credenziali di accesso al conto corrente on-line ad un sito che appare come l'originale, ma che in realtà ha il solo scopo di acquisire tali informazioni per usarle in maniera fraudolenta.
A questo si aggiunga il controllo parentale dei contenuti Web che agisce sia sui contenuti mediante categorie predefinite sia nel definire delle proprie blacklist e/o whitelist che blocchino o consentano l'accesso a determinati siti.
Ma come funziona questo sistema sensazionale? Semplicissimo. Web-filter agisce riconoscendo te ed i tuoi familiari ogni volta che navigate in Internet da un qualsiasi computer della casa, senza dover installare complessi programmi. Attraverso una semplice registrazione Webfilter inizierà da subito a proteggere te e la tua famiglia dai contenuti offensivi che circolano su Internet. Il servizio costa solo un 1 € al mese e garantisce la protezione di tutti i computer ed i dispositivi connessi ad internet di casa.
Il tutto nasce da un'indagine della Commissione europea che ha evidenziato punti forti e debolezze dei programmi di controllo parentale; per questo è nato Web-Filter, grazie al lavoro di un’azienda del gruppo “WeMakeWeb” che si propone così di migliorare la navigazione in rete e non solo in famiglia. Questo sistema, infatti, dà ottimi risultati anche per la tua azienda; insomma non è mai stato così difficile andare su Facebook mentre sei a lavoro…

lunedì 13 febbraio 2012

La chiave della Memoria

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 6 febbraio 2012

Qual è lo scopo della Giornata della Memoria (27 gennaio) se non ricordare il genocidio degli ebrei affinché nulla di simile riaccada nella storia dell’umanità? Proprio questo è il fine anche de “La chiave di Sara”, il film di Gilles Paquet-Brenner uscito nelle sale il 13 gennaio. Il regista si propone di far conoscere ai giovani francesi di oggi (e a tutti gli spettatori, ovviamente) uno degli episodi più ignobili della storia francese: il rastrellamento di tredicimila ebrei nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942 sotto gli occhi della polizia francese.
Trattando il tema della Memoria storica, il film è basato sulla ricostruzione di quel che è stato da parte di Julia Jarmond, giornalista americana, che da vent'anni vive a Parigi, sposata con il proprietario di una casa dove abitò una della famiglie ebraiche deportate al Velodromo. Attraverso il suo reportage sull’argomento e grazie alle notizie fornite dal suocero, “incrocia” la storia di Sara, una fanciulla deportata che, per salvare il fratellino Michel, portò con sé la chiave dell’armadio dove lo nascose il giorno del rastrellamento.  Un rimorso che durerà per lei tutta la vita e che rappresenta un “tòpos” per gli ebrei scampati ai campi di sterminio (cfr. Primo Levi): quello di essere sfuggiti alla morte nel lager e, al tempo stesso, l’aver lasciato lì la “vita”, i familiari, il ricordo, a tal punto da non riuscire ad affrontare il tempo dell’esistenza che resta.   
Ad ogni modo “La chiave di Sara” si discosta abbastanza da tutti gli altri film sull’argomento come Shindler’s list, Canone Inverso o  La vita è bella in quanto lo scopo del regista non è stato quello di soffermarsi sulla vita degli ebrei all’interno del campo di concentramento quanto la necessità della trasmissione del passato: quel “fare memoria” che altrimenti rischia di cancellare pagine di storia vergognose o, peggio ancora, di favoleggiarle se non addirittura smentirle. Al tempo stesso però il film indugia in particolari forse inopportuni per la drammaticità del tema (la separazione tra la giornalista e il marito, le loro discussioni sull’aborto, il giro del mondo della protagonista che sembra perdersi tra i parenti di Sara…). Degna di nota, invece, è la scena del bagno di Sara nel lago al di fuori del campo di concentramento che la “purifica” dalla malvagità umana vista e sentita là dentro e che poi si ripete quando ella abbandona la famiglia di adozione in cerca del suo spazio nel mondo.
Un film che commuove e che fa riflettere, ma che è soprattutto una chiave per non dimenticare

giovedì 9 febbraio 2012

Susanna Tamaro incontra gli studenti


di Olga Sanese

Ieri, 8 febbraio, Susanna Tamaro ha risposto alle domande degli studenti del Liceo Dalmazia di Roma che hanno letto il suo ultimo romanzo intitolato “Per sempre”. Matteo, il protagonista del romanzo (e forse alter-ego dell’autrice) alla stessa domanda "Esiste il per sempre?" – posta nel libro - risponde: “Esiste solo il per sempre”, dimostrando che nulla di ciò che si perde (nel caso di Matteo, la moglie e i figli, a causa di un incidente stradale) appartiene a qualcos’altro che non sia l’eternità, motore immobile del tempo umano, origine e destino di tutto e di tutti.
 Nel suo ultimo capolavoro l’autrice triestina va dritta all’essenziale che, come diceva il Piccolo Principe, “è invisibile agli occhi”. Per questo nel modo di vivere quotidiano l’umanità sembra a tratti cieca di fronte all’evidenza della realtà ed è proprio per questo che la scrittrice mostra sotto il profilo del padre di Matteo (cieco fisicamente ma con una notevole “vista interiore”) e descrivendo la natura, altro grande “personaggio” del romanzo: questa “non sopporta i vuoti e riempie ogni angolo che l’uomo abbandona di erbe selvatiche, di rovi spinosi, di ortiche infestanti (…) La natura è la creazione alla quale l’uomo collabora. E appena non lo fa, sottovalutando la presenza del male - le vipere, le spine, i rovi che strisciano e si aggrovigliano- queste  divorano tutto” (S.T.).

Da ciò emerge quell’impronta panteistica di Susanna Tamaro, che per il suo protagonista, Matteo, si è “ispirata a tanti nuovi eremiti che hanno scelto di vivere nelle montagne dell’Appennino” – lei inclusa – “persone che adesso in tanti, magari di domenica, vanno a trovare alla ricerca di un dialogo autentico sulle cose che contano. È una scelta di rinuncia alla civiltà e anche alla velocità”. Esemplare a tal proposito è il dialogo tra Matteo e una giornalista (emblema del pensiero relativista corrente) che va ad indagare il suo modo di vivere fuori dal comune; durante quell’intervista viene dimostrato che l’estrema libertà del non credere in nulla sia peggiore dell’assolutismo di chi crede di avere la verità in tasca. Per la Tamaro, invece, la verità non proviene da una auctoritas (a tal proposito si veda il colloquio tra Matteo e un giovane sacerdote all’indomani dell’incidente), ma è continua ricerca, è la scoperta del rapporto che lega l’uomo (essere così misterioso) alla natura e al cosmo. Una “corrispondenza d’amorosi sensi” – direbbe il materialista Foscolo - che lega le creature al loro Creatore e che emerge anche nel toccante racconto del bambino down.

Ma a questa conclusione Matteo giunge solo dopo quell’odissea di eventi che è la vita stessa. L’infanzia trascorsa a contatto con la terra dei nonni, il racconto del matrimonio dei suoi genitori (il padre ricorda l’ambiente natale della scrittrice stessa), le prime domande di senso – poste con estrema perspicacia - all’età del catechismo; poi l’“autosospensione” durante gli studi di medicina e il sovraccarico di lavoro. Al culmine di tutto c’è lei, Nora, l’amata che riempie di vita le sue giornate, che in ogni cosa che fa scova la poesia, in ogni atto la bellezza, in ogni meditazione mattutina il dialogo con il Mistero. Poi, d’un tratto, quella luce di spegne ed ancora più misterioso si presenta il suo tentato suicidio: perché una donna così appassionata del profumo della vita, madre di un bambino e in attesa di un altro, non ha tirato il freno in quella curva? Questa domanda rimbomba nelle orecchie del protagonista per tutto il romanzo e “spadroneggia” su di lui, inducendolo a bere e a cambiare donne nell’illusione di superare il doloroso passato. Ma poi, alla fine, del romanzo sarà di nuovo giorno…

La narrazione è tutta in prima persona. È Matteo cresciuto ed eremita che racconta la sua storia, non in modo cronologico ma per associazione di idee e di ricordi. Il lettore, pian piano, viene a conoscere la sua storia e “simpatizza” (nel senso greco del termine) con il protagonista. Il linguaggio è metaforico e lascia trasparire la formazione cinematografica dell’autrice che, anche in questo romanzo, esorta il lettore ad andare là “dove ti porta il cuore”.

martedì 7 febbraio 2012

Come conciliare otium e negotium? Risposta a G(igante) Vittadini

di Olga Sanese pubblicato su "Ilsussidiario.net" del 28/1/2012


Ho letto con interesse l’intervento di G. Vittadini all’ultima Convention Diesse, pubblicato recentemente dal Sussidiario, tanto da volerne sottolineare qualche punto in particolare.
Ispirata dal metodo di Coluccio Salutati, vorrei parlare dell’articolo del Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà iniziando, come lui, dal significato della parola “crisi”. Tuttavia non mi rifarò alla radice greca bensì a quella cinese. È significativo, infatti, che in questa lingua venga usato lo stesso ideogramma per indicare sia la parola “crisi” che il vocabolo “opportunità”. È in questi “termini”, infatti, che vorrei inquadrare la riflessione sulla figura dell’insegnante di oggi; un “artigiano” della scuola che offre una opportunità educativa essenziale a tal punto che non può permettersi di andare in crisi, come l’economia.
Infatti il docente di oggi, pur non essendo un “funzionario”, è chiamato ad esercitare un’importantissima funzione nella vita di un adolescente: essere veramente un “maestro”. Perché se un ragazzo non scopre a scuola la bellezza della vita (comprese le sue difficoltà), non sarà certo la TV ad accendergli la giornata.
 E allora come ci si appassiona alla conoscenza? Risponde il Prof. Cittadini: “educando al desiderio” che, “per essere vero, non deve far fuori nulla di ciò che razionalmente esiste”: la realtà. E come si appaga questo desiderio di sapere? Innanzitutto dando qualche risposta attraverso l’ “esempio degli antiquiii”, come direbbe Machiavelli, cioè facendo amicizia con (o, per usare termini facebookiani “chiedendo l’amicizia a”) coloro che prima di noi si sono appassionati allo studio di ciò che ci circonda e che hanno provato a ricercare un senso. Poi, per educare il desiderio, bisogna passare, per esempio, attraverso l’humanitas, quel connotato che, facendoci essere meno “bruti”, ci invita a “seguir virtute e conoscenza”; bisogna incontrare Galileo che ha sperimentato come le leggi matematiche e fisiche non siano scritte nei libri di scuola prima che nella natura. E si potrebbe andare avanti all’infinito nel citare tutte le esperienze che la storia dell’umanità ha fatto per farci ritrovare ora davanti ad un pc.
Ad ogni modo concordo con Vittadini anche quando dice che l’insegnante deve “guardare al fine” (direbbe Machiavelli) quando spiega, pur partendo da quel “particulare” che tanto piaceva a Guicciardini.

Ma se la scuola deve stimolare domande e dare qualche risposta (e fare qualche proposta) “non può essere onnicomprensiva” (G.V.) né deve organizzare il tempo libero  dei ragazzi “attraverso attività di ogni sorta. Organizzare la vita a un ragazzo significa soffocarlo” e soprattutto  non lo “sfida, perché non crede nella (loro) libertà”. E si può dire di più: nel tempo libero i ragazzi trovano la loro vocazione. Infatti è  proprio disponendo di “vacanze” (nel senso latino del termine) che i giovanissimi, usando la libertà in attività che corrispondono alla loro personalità,  scoprono cosa vogliono fare da grandi.

Inoltre, riguardo al tema “Educazione come istruzione”, sembra che l’ideatore della riforma di Berlinguer non sia lo stesso Umberto Eco che, su L’Espresso del 25/11/2011, ha scritto: “Steve Jobs è diventato famoso non perchè ha inventato oggetti (hardware) ma perchè ha creato nuovi programmi (software). Questo spiega che anche nel mondo delle tecnologie l'avvenire è di chi sappia ragionare e chi compie degli studi classici avrà una mente molto più allenata per farlo”. E’ quello che Vittadini, convinto di smentirlo,  esprime con queste parole:  “oggi l’attività produttiva non richiede solamente persone preparate, capaci e con conoscenze specifiche, ma persone capaci di cambiare, che sappiano adattarsi.” Addirittura, nei concorsi pubblici per dirigenti, non si guarderà più al titolo di studio ma alle capacità e alla professionalità acquisite dalla persona nel corso della sua vita (Corriere della Sera del 23/1).


Vorrei concludere allora spendendo qualche parola su “uno dei maggiori limiti che vive la scuola: la divisione tra cultura umanistica e cultura tecnica”. È quello che i latini chiamavano rispettivamente  “otium” e “negotium” e della cui aspirata fusione nella scuola odierna ho già detto su queste colonne il 12/8/2011  nell’articolo intitolato “Quella lezione del passato per capire a che servono gli insegnanti”.  Cosa può unire “otium e nogotium” oggi per far sì che scuole tecniche e licei non si facciano la guerra per le iscrizioni? Una risposta potrebbe essere: la visione cristiana del lavoro che ho imparato guardando le formelle del campanile di Giotto e ascoltando la spiegazione che ne ha fatto una prof.ssa di Storia dell’arte di un liceo toscano. Da lì si evince che, se il lavoro non è solo per gli schiavi, come sostenevano gli antichi, ma è per tutti (perchè ognuno è chiamato a dare il suo contributo e il suo talento alla società che lo circonda) bisogna innanzitutto che la scuola prepari ad essere uomini, e non servi.

vocabolario anti-casta (dalla Q alla Z)

di Olga Sanese pubblicato su PAGINE di dicembre 2011

Q
Qualunquisti, Qualunquemente, (la)Qualunque Cetto
Movimento in voga dagli anni Settanta. Qualunquisti si sentivano tutti coloro che non andavano a votare perché si sentivano spersonalizzati dalla politica che rendeva tutti uguali, persone qualunque, senza un volto e soprattutto privi di alcuna possibilità di mandare a casa i “tronisti” di Montecitorio.
Tuttavia un uomo qualunque, che di cognome fa La Qualunque (nomen – omen), riesce persino a vincere le elezioni nel film “Qualunquemente” (gennaio 2011) interpretato da Antonio Albanese, imprenditore e leader del Partitu du pilu. Figura immorale, indecente e ignorante, fa dei luoghi comuni il suo programma elettorale, al suon di slogan come: “I have no dream but I like u puli; basta con la giustizia!, un impegno concreto: cchiù pilu pe’ tutti; attivismo politico orizzontale e verticale; sotto una quarta di reggiseno non è vera passione politica, basta con la lotta alla povertà e alla criminalità…” A ciò si aggiungano un comizio in chiesa, l'offerta di ragazze seminude come fossero caramelle scartate, l'incarceramento del figlio Melo per salvarsi dalla prigione, colate di cemento sulla spiaggia, fogne che scaricano in mare.  Qualunquemente, parola che fa il verso al noto “serenamente, pacatamente” veltroniano, ha portato in scena in modo brutale una certa politica odierna,  quella dei pregiudicati e delle “assessore” scelte in base al fisico mozzafiato che  da sempre gli anti-casta vogliono mandare a casa.

R
Rottamatori
Seguaci di Matteo Renzi (Sindaco di Firenze) e Pippo Civati (Consigliere lombardo), rampanti trentenni del PD che il 28 ottobre – strana data per un movimento di sinistra – di un anno fa riunirono un nutrito gruppo di “Rottamatori” alla stazione Leopolda di Firenze con lo scopo di azzerare la vecchia classe dirigente del loro stesso partito. E quest’anno la rottamazione si ripete anche se contemporaneamente Bersani organizza un altro evento del Pd. Non solo. Nella nuova edizione del meeting fiorentino mancherà lo stesso co-fondatore del “Big-Bang” dell’antipolitica,  Civati, che si è staccato da “Renzi il Magnifico” (cit. Il fatto quotidiano) il 29 agosto scorso, quando ha criticato il Sindaco di Firenze per l’attacco alla Cgil, il plauso a Marchionne, la freddezza sui quesiti referendari e il famoso incontro ad Arcore (quartiere di elezione proprio di Pippo!).  Quindi il popolo rottamatore di Civati,  ormai una corrente della corrente, organizzerà un incontro di piazza in Emilia per fare le sue cinque proposte: primarie, questione morale, patrimoniale ragionata, legge contro il consumo del suolo, riforma delle pensioni. Insomma già strizza l’occhio all’Italia dei Valori e ai vendoliani.

S
SALVIAMO LA POLITICA
Salvagenti ai muri di tutta Roma senza che il Tevere abbia straripato. È l’idea del Consigliere comunale di Roma Capitale (PDL) Fabrizio Santori che, sentendosi sul set di BayWatch, vuole lanciare un ultimo appiglio alla politica. “E' inutile nasconderlo: è un momento difficile per il Partito, per il Paese, per noi Cittadini ed eletti. E’ quanto mai necessario, quindi, essere uniti, operare insieme per salvare la Politica: quella con la P maiuscola.”  Con queste parole invita i romani a lavorare con il suo gruppo “perché ad abbandonare siano invece quelle solite “facce”, quelle di bronzo di chi si è approfittato degli ideali e della buona fede, delle speranze, dei sogni, delle aspirazioni di chi vuole realizzare una società più onesta. Una società senza privilegi e raccomandazioni, fondata sul merito e solidale, ma senza sconti per i parassiti e per i furbi. Riforme attese  non sono state fatte, a cominciare da quella sulla giustizia, non si sono abolite le Province, non si è tagliato il numero dei parlamentari, non si sono ridotti gli sprechi della politica, non si è colpito abbastanza duro contro l’evasione fiscale, non si sono prese misure severe contro l’invasione degli stranieri e dei nomadi irregolari. Abbiamo assistito invece alla passerella dei soliti raccomandati inetti e sfrontati, ignoranti, capaci solo di fare il proprio interesse e conservare i propri privilegi”.
Un linguaggio tipicamente anti-politico in cui ricorrono tutti i termini e “topoì” della letteratura anti-casta.
Inutile dire che la conclusione è degna di una televendita: “Cerchiamo Italiani Coraggiosi, Capaci, Positivi, Determinati, Onesti, Ottimisti, Sognatori, Generosi, Liberi, Appassionati. Iscriviti anche Tu!!”



S
Se non ora quando?
Costola femminile dei movimenti anti-casta, organizzata da comitati autonomi e supportata dai Movimenti Viola (vedi sotto), nata all’indomani del Ruby-gate e culminata con la manifestazione del 13 febbraio scorso in Piazza del Popolo a Roma e in altre 200 piazze italiane. In testa al movimento ci sono il Direttore de “L’Unità” Concita De Gregorio e la regista Comencini.
Il loro slogan potrebbe essere Tremate, tremate le femministe son tornate perché, in fondo, di questo si tratta. Una vera “donna incendiaria”, Lucetta Scaraffia, infatti, le ha bacchettate dalla culla affermando che nel ’68 erano libertine e ora si lamentano di come hanno dis-educato le ragazzine di oggi.

T
Tav (no) Costola dei no-global nata all’indomani del progetto della ferrovia ad alta velocità tra  Torino a Lione che passa per la Val di Susa. Appostati lì, con spranghe e scudi “non violenti”, nonostante l’inizio dei lavori, sono contrari al deturpamento dell’ambiente in cambio degli interessi economici del loro stesso territorio e dell’Italia tutta. Sono gli stessi che protestarono a Vicenza contro la base Nato (“NonDalMolin”) nel 2007.

U ?

VIOLA (popolo): gruppo nato in occasione della manifestazione politica di massa “No Berlusconi Day” tenuta il 5 dicembre 2009 a Roma per chiedere le dimissioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Fiero di essere libero e lontano da qualunque partito, il popolo Viola organizzò un dibattito con Vendola (SEL) schierandosi inevitabilmente. Prestissimo si è diviso in Rete Viola eResistenza viola”. Il loro giornale è “Lettera viola”, le inziative che li hanno resi pseudo-famosi sono: Libera rete in libero stato, Roma (23 dicembre 2009; Sit-in in difesa della Costituzione in diverse città italiane (30 gennaio 2010); Battiquorum (giugno 2011) sui recenti referendum abrogativi; Facciamo Piazza Pulita! (10-11 settembre 2011), manifestazione contro i privilegi della classe dirigente e contro i provvedimenti socio-economici presi dal Governo Berlusconi IV.  I loro amici più noti sono San Precario, la conoscenza rende liberi, Andrea Camilleri, la Costituzione, Margherita Hack, Micromega e Paolo Flores d'Arcais.
Da notare la pessima scelta del viola, colore funereo: forse indica che la loro morte è vicina.

Z
Zapateristi (italiani)

Fan dell’ex leader socialista della Spagna contemporanea che ha portato la Penisola Iberica a un boom economico improvviso quanto flebile. Noto per le sue simpatie nei confronti delle coppie gay che ha letteralmente eguagliato per costituzione alla famiglie basate sul matrimonio. Due volte premier, è stato recentemente costretto alle dimissioni per non aver saputo affrontare la crisi economica e su pressione degli indignados. In Italia Sabina Guzzanti gli ha dedicato persino un film “Viva Zapatero” ( 2005), ritrasmesso ad ottobre su La7. Per non far “riprodurre” la classe politica di cui vorrebbero l’estinzione sono dei grandissimi fautori delle coppie di fatto.

OPEN DAY: SCUOLE APERTE A NUOVE ISCRIZIONI


di Olga Sanese

Nonostante il freddo le scuole aprono i battenti ai ragazzi delle medie inferiori che devono scegliere l’istituto superiore da frequentare l’anno prossimo, dato che le iscrizioni sono previste a fine gennaio.
Il bello degli Open day consiste nel fatto che sono gli alunni interni a darsi da fare per accogliere nel migliore dei modi ragazzi e genitori che fanno capolino nella loro scuola; in alcuni casi intervengono anche ex alunni proprio per raccontare come la loro storia educativa li abbia portati a raggiungere questa o quella occupazione nella società attuale.

Siamo andati a vedere come si sta organizzando il Liceo salesiano di Via Dalmazia per l’Open day del 15 dicembre. Le figlie di S. Maria Ausiliatrice che reggono la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado sono note a Roma per il loro progetto didattico ed educativo, frutto del rapporto dialogico tra scuola e famiglie. “Abbiamo a cuore la crescita integrale di ciascun ragazzo secondo il sistema educativo di don Bosco e madre Mazzarello” è la cifra che rappresenta il carisma dei tre indirizzi superiori (classico, scientifico e linguistico) che coabitano in via Dalmazia.
La Scuola Secondaria di Secondo Grado “Maria Ausiliatrice”, infatti, conformemente agli orientamenti ministeriali si pone come finalità “il processo di crescita e di valorizzazione della persona umana, reso possibile dall’interiorizzazione  personale e dall’elaborazione critica di conoscenze, abilità, comportamenti” attraverso quattro macro aree di riferimento: senso di identita’ e giusto uso della liberta’;  progetto di vita e orientamento;  convivenza civile e assi culturali, nella convinzione che “L’educazione è cosa di cuore; le chiavi del cuore le ha solo Dio” (don Bosco).
Il liceo Dalmazia, situato nel cuore di Corso Trieste, è l’unica scuola che si apre con unBuongiorno”, cioè con un incontro di 15 minuti (dalle 8,10 alle 8,25) in teatro dedicato a una riflessione su un tema formativo, il miglior modo possibile per iniziare la giornata di studenti e insegnanti. Questo momento ha una funzione simile a quel “Buongiorno” che il Cardinal Ravasi scrive sulla prima pagina di Avvenire e che spalanca l’anima ad affrontare la giornata. Peculiarità di questa scuola sono i laboratori delle ultime due ore del giovedì in cui i ragazzi possono scegliere quale materia approfondire; oppure possono seguire lezioni di giornalismo - “Wow” è il nome della bellissima rivista trimestrale prodotta dagli alunni della scuola -, di economia, di lingua o anche attività di volontariato. Nel pomeriggio, invece, è possibile partecipare al corso per la patente europea informatica (corso ecdl base, parte 1^ e parte 2^ ) o al progetto lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo e anche giapponese) in preparazione  agli esami di certificazione. Inoltre, accanto al corso di musica (chitarra classica, flauto traverso, batteria, musica di insieme) e all’attivita’ sportiva giovanile salesiana (ginnastica artistica, pallavolo, pallacanestro), molto interessante è il corso di “turismo giovanile e sociale” teso alla formazione di  animatori turistici, proprio perchè le esperienze di animazione costituiscono una partecipazione corresponsabile all’attuazione del progetto educativo. Degna di nota è senz’altro la “simulazione ONU”, attività che porterà i ragazzi a New York per discutere le proposte di politica internazionale da loro approfondite durante appositi incontri pomeridiani. Lo scorso mese, invece, gli studenti del triennio hanno organizzato alcuni eventi – basti pensare al “talent show” – in cui hanno reperito fondi per sostenere le missioni. Concludendo è evidente come il piano dell’offerta formativa dell’Istituto S. Maria Ausiliatrice di Via Dalmazia a Roma ha come fine quello di educare i futuri cittadini del mondo facendo di loro costruttori di ponti di solidarietà, proprio ciò di cui la nostra società ha più bisogno.

giovedì 2 febbraio 2012

Cara Fiat, costruiamo ciò che siamo

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 24/1/2011

Dal 22 gennaio viene trasmessa una delle più belle pubblicità che si siano mai vista nella storia della tv italiana: lo spot della Fiat Panda, definita “una cosa ben fatta”. Fino alla fine non si capisce che è la pubblicità di una macchina: sembra piuttosto il miglior discorso che un Capo di Stato possa fare alla sua nazione in tempi di crisi.

Si tratta di 90 secondi (anche un po’ commoventi) che rappresentano “l’Italia che siamo”, quella di chi la mattina si sveglia e mette il proprio talento al servizio di tutti e del bene comune, facendo il proprio lavoro con passione e creatività; quell’Italia che è innanzitutto una famiglia “allargata” dalla presenza dei nonni che passano il testimoni ai nipoti attraverso la trasmissione del sapere e dei valori; quell’Italia che è orgogliosa di essere italiana, nonostante i giudizi e le immagini stereotipate che vengono dall’estero.
La pubblicità inizia con la domanda “Quante Italie conosci? E quale vorresti essere?”, mentre scorrono sullo schermo le immagini della costruzione della Panda (dal fabbro al designer fino alle prove di tenuta della strada e degli urti) inframmezzate da scene tratte dalla vita quotidiana (il caffè, il divano davanti alla tv, una mamma che prepara i figli che vanno a scuola). Compare persino un bambino avvolto nel tricolore sopra una scalinata in riferimento ai 150 anni dell’unità d’italia appena festeggiati. L’ambientazione è Napoli dove sorge lo stabilimento di Somigliano e le inquadrature sono tutte per gli operai della Fiat e per la città (il Vesuvio, i panni stesi nei violetti, Pulcinella, il piatto di spaghetti…)
Alla fine la rassicurante voce narrante che recita il monologo sulle note di una meravigliosa colonna sonora recita così: “le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo”. Ma è vero soprattutto il contrario, cioè che mettiamo ciò che siamo nelle cose che costruiamo. Infatti l’uomo, indipendentemente se sia muratore, artigiano, artista o ingegnere, collabora nella “costruzione” della bellezza che ci circonda a partire da quel desiderio di grandezza che è inscritto nella sua natura. 

Insomma, per fronteggiare la crisi, bisogna partire da ciò che sappiamo fare: solo così potremmo spiccare il volo verso una nuova era. E tutto sarebbe più facile se la nuova Panda avesse anche le ali…