martedì 28 giugno 2011

Vacanza giovane e divertimento sano? Gli Young People Hotels di Rimini

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 20/6/2011

Quest’estate vuoi divertirti tanto in un ambiente amichevole, informale ma senza esagerare e mancare di rispetto agli altri?

Da sempre negli alberghi di Rimini la convivenza forzata tra i giovani e le famiglie è stata spesso motivo di attriti. Ovviamente i più bistrattati sono sempre stati i giovani – considerati spesso clienti di serie B, rumorosi, disturbatori della quiete delle famiglie - che dovevano adattarsi alle impostazioni manageriali 'family-oriented'.... come ad esempio la 'familiare' pensione completa o, peggio, il rischio di trovare la porta dell’hotel chiusa a chiave dopo la notte passata in riviera...

Per questo motivo a Rimini nascono gli Young People Hotels, primo gruppo alberghiero in Italia riservato solo ai giovani fino ai 35 anni, che offrono servizi ad hoc modellati su esigenze diverse dal turismo tradizionale: la reception e' aperta 24 ore su 24 e l'hotel è controllato da servizio security e telecamere a circuito chiuso (divertirsi è importante, meglio farlo in sicurezza). Il gruppo è formato ad oggi da 3 hotel a 3 stelle (Hotel Morfeo 1, Hotel Morfeo 2 e Hotel Elba) situati tutti nella stessa zona, vicini alle spiagge e alla ‘zona calda’ del divertimento serale.
Per chi ama fare le ore piccole in giro per discoteche e locali di Rimini, e dormire qualche ora in più alla mattina, nessun problema: la colazione (a Buffet) e' servita fino alle 12.30. Questo permette all'hotel di non servire il pranzo e di abbassare quindi il costo del soggiorno, che diventa mezza pensione con la cena a buffet che comprende sempre tante scelte diverse: da pasta, carne, pesce e cucina romagnola a specialità etniche; da bontà vegetariane a golosità metropolitane... famose poi le serate "pizza party" e "hamburger night". A ciò si aggiungono altri servizi come l’uso gratuito delle biciclette, l’internet point, la sala biliardo, i  videogiochi, la Party room con megaschermo al plasma e, soprattutto, la possibilità di costruire pacchetti vacanza più orientati alla vita notturna (con disco inclusa tutte le sere) o con un po' meno vita notturna e magari più attività diurne (giochi in spiaggia, animazioni, escursioni a Mirabilandia o Acquafan). Da quest’anno, per esempio, la stessa  Mirabilandia ha incluso il Carnaby Club (discoteca gestita dalla stesso gruppo)  nei pacchetti "Mira e Disco" in cui di giorno visiti il parco giochi e di notte hai la convenzione con la discoteca.

Rispetto ad altri locali riminesi di impostazione trendy-chic, un’atmosfera molto informale si respira al Carnaby, discoteca convenzionata con gli hotel Young People Hotels, ed è l'unico locale a Rimini a tre piani, con tre piste da ballo diverse e tre bar, attiva dal 1968. Sempre per un divertimento sano e sicuro, il locale mette a disposizione un servizio navetta gratuito che accompagna i giovani in discoteca e li riporta in hotel. Una volta entrati in questo club inizia la festa: al primo piano c’è musica HipHop, RnB & Soul: è il sound che oggi domina nel Cave, rendendolo uno dei principali punti di riferimento del genere in Riviera. Con 10 anni di esperienza, specializzazione e costante aggiornamento sulla “black music”, il primo piano ricrea l'atmosfera del clubbing in stile americano ed è il luogo dove tutto ebbe inizio nel 1968. In più di 40 anni di storia ha sempre cavalcato l'onda del divertimento, assecondando i gusti di ogni generazione e mantenendo sempre il suo spirito di puro divertimento senza eccessi.
Il secondo piano è la Dance Area in cui è possibile ballare tutte le maggiori dance hits del momento, ma dove ci sono anche serate dedicate alla House & Electro.
 Si tratta del cuore pulsante del Carnaby alla cui console si alternano i Dj resident o vengono invitati dj guest nazionali ed internazionali.
Il terzo piano, infine, è la ‘Party Zone’ dove la musica è quella degli anni '60/'70/'80/’90: è il sound dei ricordi, del pop, del rock e dei balli latini. Qui si balla nell'informale atmosfera di un affollato discobar estivo: tavolini e divanetti per bere un drink e farsi una sigaretta (è zona fumatori), pista da ballo e una grandissima vetrata che dà al piano di sotto. Sempre in questo piano, a inizio serata, è possibile ascoltare musica dal vivo, ma anche far sentire la propria voce con l’intramontabile karaoke.
E non finisce qui … di giorno il Carnaby continua a stupirti con l’animazione dei balli in spiaggia nel cosiddetto “Carna -by-day”, presso la vicina spiaggia “Cocobeach”.
Insomma, per un’estate diversa e più giovane, la Rimini degli Young people hotels e del Carnaby ti aspetta!

giovedì 23 giugno 2011

i maturandi hanno fame di fama?

Le tracce che hanno riscosso più successo sono state l'alimentazione (Feuerbach diceva che "l'uomo è ciò che mangia") e la fama che oggi dura circa 15 minuti.
Mentre sulla prima nonmi viene nula di sensato da dire (tranne "Lotta tosta per l'amposta!"), il secondo mi fa pensare ai miei amati classici, ai quali non interessava la gloria in questa vita (diversamente da ora!) perchè premeva loro molto di più l'eternità, il fatto di rimanere "vivi" post mortem, attraverso le loro opere, che l'hic et nunc.
Il mo auspicio, dunque, è che qualche studente si sia ricordato di inserire questa riflessione nel tema.

il giornalista che dovrebbe rifare a maturità

Stamattina leggo su Leggo che l'editorialista si lamentava sulla maturità perchè gli studenti non avevano scelto Ungaretti, l'ERMETISTA.
Ma non si dice ermetico?Che gaffe!
e il bello è che dopo continuava a dire che bisogna cambiare la scuola e bla, bla, bla...
Ma questo non è l'unico caso.
Sul 90 % dei giornali c'era scritto "Diversamente dalla traccia tanto attesa sui 150 anni dall'Unità d'Italia..."

peccato che era già uscita due anni fa!
Ma questi giornalisti, prima di scrivere, si informano su ciò che accade nella scuola?

mercoledì 22 giugno 2011

notte prima degli esami

Leggo che oggi i ragazzi passano la notte prima degli esami davanti al pc a vedere quale traccia uscirà il giorno dopo e, quando credono di averla trovata, vanno su Wikipedia e scaricano il tema che faranno dopo poche ore rimaste prima che la terzultima campanella della loro vita suoni.
Io, invece, la passai a piangere perchè qualcuno (uno che mi ama ancora oggi) che non poteva accompagnarmi a scuola quel giorno con la moto o con la sua bat-car mi fece ascolatare per telefono la famosa canzone di Venditti (che solo io a 19 anni non conoscevo).
Beh la frasi che mi colpì di più fu "Maturità, t'avessi prima". Allora pensai "perchè starei all'università con il mio ragazzo a fare due cuori e una capanna".
Oggi, invece, sarebbe stato molto più utile... perchè sarei abilitata...

martedì 21 giugno 2011

n. di posti disponibili per il nuovo TFA

Per Lettere sono solo 75 il n. di posti disponibili per il nuovo TFA in tutta Italia!
possibili le aggregazioni di città diverse.
e presto la facoltà diventerà a numero chiuso...

Mi chiudo nel mio "sine verbis".

Van Gogh + Leopardi = Emanuele Dottori

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 14/6/2011

C’è tempo fino al 2 luglio per visitare la mostra a cura di Andrea Dall’Asta S.I della Galleria San Fedele di Milano che ospita un premio pittorico - prima parte di un progetto triennale - sul tema dell’ultimo verso dell’Inferno dantesco “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.  L’uomo ha sempre guardato alle stelle e al cielo come meta del proprio desiderio. Di fatto, “de-siderare” significa etimologicamente “smettere di guardare alle stelle” e di conseguenza sentirne la mancanza. Le stelle sono punti di riferimento essenziale per ogni uomo, se è vero che il navigatore che le guarda  per orientarsi in un mare è il simbolo stesso dell’uomo alla ricerca di un porto sicuro ove approdare. Nella Divina Commedia Dante pone significativamente la parola“stelle” alla fine di ogni cantica. Tuttavia, se nell’Inferno e nel Purgatorio lo stelle sono l’oggetto verso il quale si solleva il suo sguardo, nel Paradiso le stelle sono l’oggetto dell’azione di Dio: “l’amor che move il sol e le altre stelle”. Il desiderio implica, infatti, un movimento, una tensione che spinge verso un luogo e un tempo originari, da cui trae origine e senso ogni aspetto della realtà (www.sanfedele.it).

Dei più di trenta quadri in mostra, il critico d’arte Michele Tavola ha dedicato un testo in catalogo all’opera del giovanissimo Emanuele Dottori, milanese di origine, romano di adozione. Nella capitale, infatti, è professore di Discipline Pittoriche presso il liceo artistico dell’Istituto Sant’Orsola.
Le stelle, si sa, dalla città non si vedono più. Ma la metropoli, con le sue luci che brillano tutta la notte, vista dal cielo può sembrare lei stessa una stella caduta come un angelo precipitato dall’empireo agli inferi. Oppure, se la si osserva un poco più da vicino, sovrastandola a volo radente o guardandola dalla cima di un grattacielo, può apparire un labirinto di costellazioni rimescolate caoticamente da uno tsunami celeste o dai capricci di un dio dispettoso che si diverte a giocare a biliardo con gli astri. Nell’opera di Emanuele Dottori il cielo è annerito e oscurato dai bagliori effimeri emanati da quei surrogati di stelle che sono i lampioni, le illuminazioni dei condomini, i fari delle automobili, le insegne dei bar, i laser delle discoteche. […]. La visione d’insieme avvolge lo spettatore e la prospettiva scelta da Dottori offre uno spicchio di paesaggio urbano che potrebbe estendersi all’infinito”. (Michele Tavola)
E proprio questa tensione verso l’infinito è la cifra stilistica di Emanuele Dottori. Per l’artista, infatti, Leopardi è un maestro come lo potrebbe essere Van Gogh. Infatti la siepe di Recanati da una parte e i notturni del pittore olandese dall’altra impediscono all’uomo di vedere cosa si celi al di là di essi. Solo scrutando a fondo è possibile trovare la strada, quella “retta via” che oggi sembra essere “smarrita” alla maggior parte di noi, ma che anche grazie all’arte è possibile ritrovare. Cosa, infatti, se non la bellezza di questo quadro, così come di molto altro che ci circonda, può farci assaporare così intensamente il nostro destino? Qual è il compito dell’artista se non quello di far vivere ai suoi spettatori quell’anelito che ci spinge verso l’infinito? Tutto questo e molto altro è nell’opera “ottimista” e piena di speranza del Dottori di cui adesso aspettiamo un’esposizione al Museo di arte contemporanea di Roma. E siamo sicuri che sarà un MAXXI successo!

giovedì 16 giugno 2011

Dietro giusti principi non si nasconde un bocciato in più ma un insegnante in meno

di Olga Sanese pubblicato su "Ilsussidiario.net" il 7/6/2011
La fine dell’anno scolastico è un momento importante per fare il punto della situazione. In particolare, in questi pomeriggi di giugno si svolgono i Consigli di classe in cui i Professori si riuniscono per decidere le “sorti” dei loro studenti. Su questo sfondo e in questa atmosfera balzano alla mente degli insegnanti alcune delle novità apportate alla scuola dal Ministero Gelmini e quanto queste incidano sugli studenti, ma anche sui loro insegnanti. Infatti misure come la bocciatura con il cinque in condotta o l'impossibilità di essere ammessi all'esame di Stato con una sola insufficienza si rivelano un boomerang anche per coloro che, inizialmente, avevano salutato questi provvedimenti come un mezzo necessario per ritornare alla scuola seria e selettiva di una volta, proprio quella che è ancora agognata da insegnanti come la scrittrice Paola Mastrocola, autrice dell’acutissimo e quindi fortunatissimo libro“Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di (non) studiare” (Guanda).
Infatti i suddetti provvedimenti scolastici, nati probabilmente con l’intento di portare rigore tra i ragazzi e un ruolo dignitoso agli insegnanti, in realtà, si sono rivelati dei “nobili” strumenti per fare tagli alla scuola poiché, se venissero realisticamente attuati dalle scuole, ci sarebbe la fuga dei numerosissimi studenti ripetenti verso altre scuole (che magari non li mettono in pratica) o, ancor peggio, verso quei “Neet” che né studiano né lavorano. Il venir meno di studenti porta, di conseguenza, alla inevitabile perdita di cattedre, dal momento che le scuole ricevono soldi dallo Stato in base alla quantità degli iscritti e non alla qualità di istruzione offerta. Forse anche perché la valutazione di quest’ultima, anche attraverso le prove Invalsi, suscita ancora tante critiche.
Ad ogni modo, per far sì che non perdano il posto di lavoro, guadagnato con decenni di precariato, gli insegnanti sono costretti a mentire sull'andamento dei loro studenti; è possibile quindi imbattersi in registri che non presentano note né provvedimenti del dirigente Scolastico (o vengono cancellate!) nei confronti di studenti che non si comportano affatto come dovrebbero ma che rischiano di incorrere nel cinque in condotta e, quindi, nell’automatica bocciatura di fine anno; allo stesso modo, ragazzi che non arriverebbero all’esame con tutte sufficienze vedono lievitare i loro 4 (che devono trasformarsi magicamente in 6) per non ripetere l’anno.
Ancora una volta, dunque, gli insegnanti vengono sviliti da quelle leggi dello Stato che nascondono, dietro giusti principi, la falce dei tagli. E invece i politici dovrebbero sapere che la scuola può rinascere e ridiventare un ascensore sociale solo se si adottano misure non solo giuste ma anche costose. Basti pensare allo stesso Invalsi, macchina valutativa del livello scolastico dei ragazzi, per la quale si pretende di non investire un centesimo, né pagando i professori nella correzione di prove emanate dall’alto su scala nazionale, né inviando nelle scuole personale appositamente addetto a verificare che le prove si svolgano correttamente. D’altronde se l’Invalsi è un istituto in cui lavorano a tempo indeterminato solo 20 persone (in Olanda, nazione grande come il Piemonte, 300) di che ci vogliamo meravigliare? Per fortuna ci sono i Professori che, grazie alla loro vocazione, hanno a cuore più la crescita dei ragazzi che il loro portafoglio..sempre che riescano ad avere una supplenza.  Ma, come direbbe Cicerone, fino a quando si abuserà della loro pazienza?

mercoledì 15 giugno 2011

TFA pronti....via?

L'On. Aprea incontra l'Associazione Diesse a Milano il 20 giugno p.v., ore 17-19 presso l'Aula Magna dell'Istituto Cavalieri in via Olona 14, per fare il punto della situazione. In particolare dovrebbe svelare quanti posti saranno aperti per coloro che aspirano all'abilitazione all'insegnamento e per quali classi di concorso.Le Università sono state invitate a far partire i TFA il prossimo autunno ma dichiarano di non essere pronte.
Quanto ancora dovranno aspettare gli insegnanti invisibili?
Questo ed altro nella prossima puntata...

martedì 14 giugno 2011

Andiamo a "riveder le stelle"

di Olga Sanese pubblicato su "IlSussidiario.net" il 25/5/2011

Nell’attesa della realizzazione del Museo d’arte contemporanea a City Life, il 26 maggio, alle ore 18.30, si apre la mostra della Galleria San Fedele di Milano che ospita una gara pittorica sul tema dell’ultimo verso dell’Inferno dantesco “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Il premio che si aggiudicheranno i due vincitori, e che sarà loro assegnato da otto critici d’arte, è la possibilità di fare una mostra su un tema sacro in autunno.
Dei quadri in gara, quello che colpisce di più l’occhio di un comune osservatore e al quale il critico Michele Tavola ha dedicato un testo in catalogo, è l’opera del giovanissimo Emanuele Dottori, milanese, professore di Discipline Pittoriche presso il liceo artistico dell’Istituto Sant’Orsola di Roma. Fu proprio Michele Tavola ha scoprire il talento di Dottori, durante la seconda edizione della mostra collettiva “Giorni Felici”, tenutasi nel giugno 2010 a Casa Testori, per la quale il prof-pittore propose una monumentale installazione pittorica fatta di 196 acquarelli monocromi e un coloratissimo collage fotografico, il tutto avente per soggetto il Buco della metropolitana della Centrale di Milano. Un lavoro nato grazie al prezioso aiuto di Giovanni  Frangi (1959), pittore milanese, “art director” della collettiva, attento alla valorizzazione e al dialogo con i giovani talenti.
Il dipinto presentato per la mostra alla San Fedele ha trovato la sua forma definitiva su una tela di imponenti dimensioni (due metri per tre circa), concepita come un grande acquarello, in cui tutto avviene rapidamente, quasi d’un fiato. Dottori, che già in passato aveva dipinto degli skylights, per questa gara ha completamente ribaltato il verso dantesco, buttando giù dal cielo le stelle, che non sono più in alto, irraggiungibili, ma s’incarnano nelle luci della città: sono fari di auto, semafori, insegne dei negozi, etc. Attraverso le sue pennellate è come se il pittore volesse dire che il cielo è più vicino di quello che sembra: anche se dalle nostre città le stelle non sono più visibili a causa dell’inquinamento luminoso, ciò non significa che gli astri non ci siano più. Riveder le stelle” significa, perciò, ritrovare la strada della vita, cioè quello stato d’animo che permette di contemplare la bellezza e, attraverso quella, ritrovare se stessi e il senso delle cose. Perciò lo scintillio delle luci della città sembra essere lo specchio di quel cielo che non si vede più, “annerito” com’è dal progresso umano, ma che resta insondabile mistero dell’Infinito” (E.D.). La città/cielo (di agostiniana memoria) si fa spazio, piuttosto che come descrizione di elementi architettonici, emergendo dal buio e perdendosi in esso. Da ciò si evince la volontà di Dottori di fare spazio al soggetto in quanto tale, pulendo il nostro sguardo dalle immagini stereotipate della città che affollano la mente e la tela ancor prima che l’artista si metta al lavoro e l’osservatore si avvicini ad ammirarla. Questa concezione dell’arte sembra appoggiarsi alla filosofia di Francis Bacon, il quale sosteneva l’importanza di levare gli “idola”, i fantasmi, le incrostazioni dell’abitudine che ormai appartengono alle cose, per riuscire a conoscerle veramente.
Il metodo di lavoro di Dottori nei confronti dell’oggetto è quello dell’anatomia, imparato in accademia dalla sua professoressa, Maria Cristina Galli: per dipingere una cosa bisogna conoscerla fino alla sua essenza, identificarsi profondamente con essa, così che anche l’ osservatore possa immedesimarsi con l’artista e cogliere qualcosa di sé nell’oggetto rappresentato (come chi scrive un testo deve mettersi nei panni di chi poi leggerà per farsi capire). Eppure, guardando l’opera in concorso, sembra che Dottori voglia superare un livello esclusivamente descrittivo: “Ogni volta che imparo a disegnare qualcosa, il mio desiderio è di andare oltre, perché so di poter raggiungere un livello sempre più profondo: la conoscenza di un oggetto è sempre infinita. E per cercare nuovi modi di rappresentare lo stesso oggetto non resta che uscire da te stesso” (E.D.)
Dunque chi meglio di lui per rappresentare la Milano che conosce così a fondo? Come si può notare dal suo blog http://emanueledottori.blogspot.com/, dopo averla vista dal di dentro delle sue viscere, Dottori ha osservato e fotografato la città che ama da uno dei suoi simboli, salendo al trentunesimo “girone” del Pirellone, tanto per rimaner in tema con Dante. L’indaco è il colore prescelto per il cielo: con pochi passaggi di tono l’infinito è davanti ai nostri occhi; poi, con mano sicura, ha fatto venir fuori il disegno scuro dei palazzi in pochi minuti, senza quindi i disegni preliminari; infine oro e rame per le luci della città. Tutto si è svolto così,  correndo il rischio di sbagliare piuttosto che di ripensare, per cui il gesto che non funziona non è stato corretto, ma raschiato e rifatto. La tela di cotone grezzo, con una preparazione magra, assorbe il colore e con esso anche il nostro sguardo, che si perde nella profondità oscura e nel tumulto metropolitano.
L’opera presentata fa parte di un ciclo di lavori “notturni” ed è stata occasione di crescita reale per il nostro ventottenne: il confronto con il tema gli ha permesso di far emergere nuove componenti della sua pittura a ogni livello, dai supporti alla tecnica, dalle tematiche alle  modalità, fino alle dimensioni.
Dopo Milano, Dottori ha promesso di impegnarsi anche per la sua città adottiva, Roma, dove vive con moglie e figlia. E magari, chissà, un giorno potremmo apprezzare le sue opere anche all’Urbe: in fondo, “la notte è giovane!”

mercoledì 8 giugno 2011

Il punto G de LA7

E' "G-Day" : La striscia comica condotta da Geppy Cucciari prima del Tg La7 delle 20,00

di Olga Sanese su L'Ottimista del 1 giugno 2011

Dopo l’exploit avuto con Zelig, la sardissima Geppy Cucciari è uscita dal carcere della sit-com di Italia Uno ed è entrata part- time in Victor Victoria, senza peli sulla lingua, per il sondaggio rivolto agli intervistati della Cabello cui rivolgeva domande molto scomode… Poi è stata su Canale 5 per far ridere i telespettatori ridicolizzando i partecipanti di Italians got Talents condotto da Gerry Scotti e Maria de Filippi.
Ma un programma tutto suo non l’aveva mai avuto prima di G’ Day che da qualche tempo produce e conduce: in soli 20 minuti, dalle 19,30 alle 19,50, il vulcano Cucciari riesce a sorprendere, far ridere e, al tempo stesso, riflettere gli spettatori che la seguono da casa… visto che nello studio le fanno compagnia solo risate finte.
La puntata inizia con una brevissima intervista all’ospite del giorno, chiuso in un frigorifero (allusione alla Prova del cuoco), la cui biografia è riassunta in un solo post-it. Poi passa al “Domandone” del sondaggio  – sempre molto pungente (come per esempio “Lei pensa che è meglio festeggiare la festa del lavoro o trovare un lavoro?”) – per il quale dà il via al televoto, il cui risultato verrà letto alla fine del programma, preannunciato dalla storpiatura della massima cesariana “Il dato è tratto”. Segue il commento della notizia del giorno da parte del suo collaboratore occhialuto che richiama un po’ il ruolo di Massimo Gramellini a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio.
Da lì si parte per una veloce presa in giro di altri programmi televisivi (ma senza polemiche), un po’ come Striscia la Notizia, e seguono alcuni schetch: c’è quello de “I Cinesoni” (famiglia cinese che commenta abitudini italiane), “I vostri titoli” (presa in giro di come danno le notizie Studio Aperto) e “Mangia come parli”, ossia le ricette dettate da persone incontrate per strada, in cui una Geppy travestita da Anna Moroni fa a pezzi programmi come “La prova del cuoco” della veterana Clerici o “Cotto e mangiato” della baby-Parodi. A tutto questo bisogna aggiungere ogni sera uno schetch diverso a scelta fra le notizie de “Il meteo”, dove un’audace Cucciari dimostra che quando non si sa che dire si parla del tempo e che i telegiornali si specializzano in quella rubrica quando non hanno altre notizie più importanti da dare, oppure “Hollywood”, in cui un film viene recensito da un mosaico di voci intervistate. Non può mancare, infine, la telefonata della gente da casa, cui Geppy rivolge domande curiose domande per sondare l’animo degli italiani.
Tutta la puntata viene affrontata da Geppy con grande eleganza: le battute non sono mai volgari ma sempre piccanti, l’umorismo non è sciocco ma pungente e colpisce il fatto che la conduttrice non manchi affatto di autoironia.
Insomma tra rottura dell’illusione scenica e di qualsiasi luogo comune, l’intraprendente Geppy è il punto G di Mentana col quale duetta a distanza di pochi minuti, poco prima che lui racconti i fatti della giornata come un cantastorie all’ascoltatissimo Tg di La7.


mercoledì 1 giugno 2011

LA DIVINA COMMEDIA NON FINISCE CON IL PARADISO

Recensione del libro “La quarta Cantica “ di Patrizia Tamarozzi (in arte, Tamà)
di Olga Sanese
E’ possibile studiare e amare  Dante a tal punto  da sognare scene della Vita nova e da immedesimarsi con Beatrice? Questo è proprio quello che accade all’omonima protagonista de “La quarta Cantica”, un thriller italiano (edito da Mondadori) scritto da Patrizia Tamà, una Dan Brown al femminile.
Una  ricercatrice universitaria inglese (proprio come il Professor Robert Langdon de “Il Codice da Vinci”), dopo aver perso la memoria, viene ritrovata a chiedere l’elemosina presso la stazione di Firenze in compagnia di uno strano indiano. Una volta soccorsa non ricorda nulla di sé, tranne che ha delle visioni in cui sogna Dante e vede cose che non sono scritte nemmeno nei suoi libri, come per esempio incontri segreti tra lui e Beatrice. Ad aiutare la ricercatrice a ritrovare la sua identità e a capire cosa ci fa a Firenze c’è l’affascinante medico sotto il quale è in cura. Costui l’aiuterà anche nelle ricerche dantesche sulla quarta cantica, la parte della Divina Commedia che Dante scrisse dopo il Paradiso.
Tra i  frequenti colpi di scena e bozzetti di vita quotidiana (come può essere il litigio tra il medico e la sua ex moglie, gelosa della ricercatrice, o la loro figlia che marina la scuola per fare ricerche su Dante) è il contenuto segreto di questo scritto sconosciuto ad accendere curiosità nuove in un lettore assopito dalla conoscenza scolastica della Divina Commedia. L’idea del libro, infatti, è risvegliare lo studio sulle opere del Divin Poeta, senza dare nulla per scontato. Anche in questo proposito la Tamà è “figlia” di Dan Brown:  riprendere opere artistiche note per riaprire dibattiti chiusi da tempo, come fa l’autore americano per l’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci nel quale ci fa scoprire simboli fino a quel momento ignoti, è un ottimo espediente per l’ambientazione di un thriller storico. Ovviamente tocca poi al lettore distinguere la verità dalla finzione.
Come ne Il Codice da Vinci viene dato largo spazio ai templari, anche nel libro della Tamà, non possono mancare sette esoteriche come quelle dei Rosacroce e dei Dervici turchi che vengono ricollegate al Dante alchimista, quello che - a tutti è noto - era iscritto all’Arte degli speziali, una sorta di sindacato dell’epoca che riuniva coloro che facevano lo stesso mestiere. Secondo la Dan Brown italiana, dunque, è lo stesso Dante a fare una sorta di mappa del tesoro che rivelasse dove era nascosta la quarta cantica, per comprendere la quale bisognava aspettare che i tempi fossero maturi. Così l’Alighieri divise la mappa e diede i frammenti a tre persone diverse. Guarda caso l’erede di una di queste è proprio la nonna della nostra ricercatrice che viene descritta in uno squarcio storico che la Tamà apre sulla Seconda guerra mondiale. Il libro è, dunque, una corsa ad ostacoli contro i detrattori della mappa conservata dalla ricercatrice; al centro della narrazione c’è una lotta contro il tempo per trovare l’ultima parte della Divina Commedia e conoscerne il contenuto. La quarta cantica racconta, infatti, di un regno perfetto, quello dell’uomo (il veltro è identificato dall’autrice con Dante) che ritorna sulla terra dopo aver visto inferno, purgatorio e paradiso, e trova Chiesa e Stato finalmente in pace fra loro.
Ma La quarta Cantica è soltanto una delle tante iniziative che ci ricordano la vita e le opere del Divin poeta; un altro testo recente è “Dante per l’azienda – Come uscire dalla selva oscura  della crisi economica” oppure quello sulla Beatificazione di Dante. Si ricordino anche i commenti di Benigni, volti ad attualizzare la Commedia come pure l’ ”Associazione cento canti” che invita i suoi iscritti a memorizzare le terzine dantesche per non disperdere questo grandissimo patrimonio culturale. Non ultima la Nannini che nella nuova canzone echeggia versi stilnovisti come “Amor che nulla hai dato al mondo”. Ciò dimostra che Dante con le sue opere ha abbracciato tutta l’esistenza, umana e divina, ed è per questo che continua ad essere immortale.

pubblicato su L'Ottimista del 26 maggio