di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 14/6/2011
C’è tempo fino al 2 luglio per visitare la mostra a cura di Andrea Dall’Asta S.I della Galleria San Fedele di Milano che ospita un premio pittorico - prima parte di un progetto triennale - sul tema dell’ultimo verso dell’Inferno dantesco “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. L’uomo ha sempre guardato alle stelle e al cielo come meta del proprio desiderio. Di fatto, “de-siderare” significa etimologicamente “smettere di guardare alle stelle” e di conseguenza sentirne la mancanza. Le stelle sono punti di riferimento essenziale per ogni uomo, se è vero che il navigatore che le guarda per orientarsi in un mare è il simbolo stesso dell’uomo alla ricerca di un porto sicuro ove approdare. Nella Divina Commedia Dante pone significativamente la parola“stelle” alla fine di ogni cantica. Tuttavia, se nell’Inferno e nel Purgatorio lo stelle sono l’oggetto verso il quale si solleva il suo sguardo, nel Paradiso le stelle sono l’oggetto dell’azione di Dio: “l’amor che move il sol e le altre stelle”. Il desiderio implica, infatti, un movimento, una tensione che spinge verso un luogo e un tempo originari, da cui trae origine e senso ogni aspetto della realtà (www.sanfedele.it).
Dei più di trenta quadri in mostra, il critico d’arte Michele Tavola ha dedicato un testo in catalogo all’opera del giovanissimo Emanuele Dottori, milanese di origine, romano di adozione. Nella capitale, infatti, è professore di Discipline Pittoriche presso il liceo artistico dell’Istituto Sant’Orsola.
“Le stelle, si sa, dalla città non si vedono più. Ma la metropoli, con le sue luci che brillano tutta la notte, vista dal cielo può sembrare lei stessa una stella caduta come un angelo precipitato dall’empireo agli inferi. Oppure, se la si osserva un poco più da vicino, sovrastandola a volo radente o guardandola dalla cima di un grattacielo, può apparire un labirinto di costellazioni rimescolate caoticamente da uno tsunami celeste o dai capricci di un dio dispettoso che si diverte a giocare a biliardo con gli astri. Nell’opera di Emanuele Dottori il cielo è annerito e oscurato dai bagliori effimeri emanati da quei surrogati di stelle che sono i lampioni, le illuminazioni dei condomini, i fari delle automobili, le insegne dei bar, i laser delle discoteche. […]. La visione d’insieme avvolge lo spettatore e la prospettiva scelta da Dottori offre uno spicchio di paesaggio urbano che potrebbe estendersi all’infinito”. (Michele Tavola)
E proprio questa tensione verso l’infinito è la cifra stilistica di Emanuele Dottori. Per l’artista, infatti, Leopardi è un maestro come lo potrebbe essere Van Gogh. Infatti la siepe di Recanati da una parte e i notturni del pittore olandese dall’altra impediscono all’uomo di vedere cosa si celi al di là di essi. Solo scrutando a fondo è possibile trovare la strada, quella “retta via” che oggi sembra essere “smarrita” alla maggior parte di noi, ma che anche grazie all’arte è possibile ritrovare. Cosa, infatti, se non la bellezza di questo quadro, così come di molto altro che ci circonda, può farci assaporare così intensamente il nostro destino? Qual è il compito dell’artista se non quello di far vivere ai suoi spettatori quell’anelito che ci spinge verso l’infinito? Tutto questo e molto altro è nell’opera “ottimista” e piena di speranza del Dottori di cui adesso aspettiamo un’esposizione al Museo di arte contemporanea di Roma. E siamo sicuri che sarà un MAXXI successo!
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