di Olga Sanese pubblicato su Il Sussidiario.net dell'11/8/2011
Mariella Carlotti, insegnante di storia dell’arte, è diventata ormai una “certezza” per le mostre del Meeting di Rimini. Dopo il successo del ciclo sul lavoro scolpito alla base del Campanile di Giotto, quest’anno è la curatrice, insieme a Marco Barbone, di “Ante gradus – Gli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena”. Il sottotitolo “Quando la certezza diventa creativa” è un richiamo diretto al tema dell’edizione 2011 del Meeting: “L’esistenza diventa un’immensa certezza”.
Professoressa Carlotti, da dove nasce l'idea della mostra di quest'anno?
La mostra di quest’anno vuole brevemente disegnare la fisionomia di una delle più significative opere di carità della storia europea: l’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena. L'opera nacque ante gradus ecclesiae, davanti alla scala della chiesa, collocazione geografica e ideale: dalla Chiesa viene generato questo fiume di carità che attraversa tutta la vita di Siena.
E’ significativo che abbia sviluppato il tema della carità proprio in questo 2011 che è l'Anno europeo del volontariato…
Infatti l’ospedale nacque come xenodochium, come luogo di accoglienza dei pellegrini, che arrivavano a Siena da tutta Europa, percorrendo la Francigena; poi diventò hospitale per i poveri e malati, asilo per i gettatelli, ricovero per i vecchi. Le donazioni e i lasciti ne ingrossarono le proprietà immobiliari e agricole: l'Ospedale offrì mensa e cibo ai poveri, divenne azienda agricola e banca, assicurando prestiti ai privati, ma anche alla Repubblica di Siena, salvandola più volte dalla bancarotta. Anche la struttura architettonica crebbe, mai progettata, inglobando nel tempo, case e strade, una città nella città. Tra le sue mura, uomini e donne si consacrarono a Dio, nel servizio dei poveri: erano gli oblati del Santa Maria, ai quali si aggiunsero tanti senesi – peccatori e grandi santi come Caterina o Bernardino - che sostennero l’opera, regalando ad essa un po’ delle loro energie, del loro tempo o dei loro beni. La mostra illustra la vicenda di questa medievale “compagnia di opere”, attraverso la riproduzione degli affreschi del Pellegrinaio e l'esposizione di quattro registri originali dell’Ospedale nelle cui copertine sono dipinte scene della vita dell’opera.
Questo connubio ospedale-arte, malattia del corpo-cura dell'anima si può riassumere in una sola frase: "la carità si fece bellezza". Come arriva questo messaggio ai nostri giorni?
Al dualismo di cui soffre la nostra cultura di moderni, questa unità di carità e bellezza appare immediatamente strana: la prima volta che sono entrata nel Santa Maria della Scala, sotto le volte decorate da grandi pittori senesi, sono rimasta colpita che un luogo nato per ospitare malati, poveri, orfani fosse così bello, così curato. Non credo che fosse una preoccupazione immediatamente estetica a determinare questo risultato: è che quando un popolo vive un’esperienza di certezza – come recita il tema del Meeting 2011 – questa fiorisce come creatività buona e si stampa sulle cose come bellezza. D’altronde ognuno di noi sa che questa è l’esigenza che ha, quella di qualcuno che si prende a cuore la totalità della propria persona, non riducendola ad un moncone: desideriamo qualcuno che guardi con simpatia tutto il nostro bisogno. Quando siamo malati, non siamo la nostra malattia: restiamo uomini che hanno un’urgenza di cura immediata dentro una più vasta esigenza di verità e di bellezza. Questa esperienza non è finita: se uno visita certe opere – penso, solo per fare due esempi, alla Cometa di Como o all’Impresa di Carate Brianza che accolgono ragazzi in difficoltà ritrova questo “strano” connubio.
Come sceglie l'argomento delle sue mostre sempre così frequentate?
Voglio raccontare come è nata la prima di queste mostre della CDO al Meeting. Nel 2008 avevo portato alcuni miei amici imprenditori pratesi al Meeting e li avevo accompagnati nel padiglione della CDO: dopo la visita a pranzo, uno di loro mi chiese quale fosse la proposta della Compagnia delle Opere. Tornata da Rimini, scrissi al Presidente della CDO Bernhard Scholz che quella domanda a pranzo mi aveva fatto capire che forse occorreva rendere più efficace la comunicazione dell’esperienza nell’allestimento del padiglione. Gli scrissi anche che visto che la CDO aveva messo a tema in quell’anno il lavoro, si poteva curare un allestimento con le formelle di Giotto che lo traducono così suggestivamente. Così è cominciata quest’avventura che svela che quello che i giornali chiamano la “potente Compagnia delle Opere” è un’amicizia che sa coinvolgere chiunque ha un’idea interessante, anche un insegnante come me di un Istituto professionale di provincia. E così è continuata in questi tre anni in cui abbiamo scelto ogni anno di presentare un grande capolavoro della nostra tradizione artistico culturale che traducesse il tema che la CDO ogni anno mette al centro della propria proposta.
Qual è dunque lo scopo di quest'ultima mostra?
Quest’anno la CdO ha scelto come tema “Una responsabilità che cresce con la forza dell’origine”: per questo al cuore della mostra di quest’anno riprodurremo gli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala, dove nel Quattrocento la grande opera senese volle fissare in quattro “fotogrammi” la sua storia, in altri quattro il suo compito. Una realtà cresce quando resta fedele alla sua origine: questa era l’urgenza del Santa Maria nel XV secolo, come oggi della Compagnia delle Opere. A completamento della mostra, ci saranno gli stand di otto opere, tra le tantissime associate alla CDO, scelte per documentare come l’animo da cui è nato il Santa Maria, viva come tentativo anche oggi.
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