di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 26/9/2011
C’è stato un bel dibattito su Repubblica e sul Corriere della Sera relativamente al post-modernismo dopo la pubblicazione sul New York Times dell’articolo di Edwars Docx in cui lo scrittore presentava la mostra londinese “Post modernismo: stile e sovversione 1970-1990”, iniziata il 24 settembre. Il clou dell’articolo era che, secondo Docx, si può dire addio anche al post modernismo in nome di una nuova epoca, quella dell’autenticità.
Il modernismo era stato l’esplosione della tradizione Romantica, naturalista e Illuminista messe insieme, basti pensare a una Virginia Woolf o a Picasso. Il post modernismo fu il ribaltamento del modernismo, in nome del Sessantotto e della rivoluzione dei costumi. Anche se, secondo Vittorio Gregotti (Corriere della Sera del 17 settembre), il postmoderno non è stato (solo) sovversione,
dopo aver surclassato il modernismo, il movimento culturale sessantottino non sembra più corrispondere al nostro modo di sentire attuale e ai nostri desideri di tornare alla verità e ai valori che quella emana. Sostiene Docx: “Desideriamo di essere riscattati dalla volgarità dei nostri consumi, dalla simulazione del nostro continuo atteggiarci. Se il problema per i postmodernisti era che i modernisti avevano detto loro cosa fare, il nostro è esattamente il contrario: nessuno ci sta dicendo cosa fare. Questo crescente desiderio di una maggiore veridicità ci circonda da tutte le parti.” Per questo la prospettiva dei distruttori del post-modernismo – che saremmo noi - “è non solo la ricostruzione per il futuro ma anche una questione di memoria e di permanenza e, per chi si occupa di arte, la necessità di concepire la creatività come ricerca della verità per immaginare la libertà come progetto e non solo come assenza di impedimento”.
Riflettendo su queste parole viene in mente il Prof-scrittore Alessandro D’Avenia; costui ha rilanciato in Italia la necessità di un ritorno alla bellezza - a cominciare dalla scuola - come apertura dell’uomo all’infinito in cerca della verità. Un’idea che nacque con Platone e che ebbe il suo exploit con Dante-Giotto e tutto il Rinascimento. Dopo il Medioevo che stiamo vivendo ci sarà una nuova epoca in cui i sogni saranno al centro dell’iniziativa umana e le arti rinasceranno di nuovo come nel 1500 – parafrasando i corsi e ricorsi storici di Gian Battista Vico; costruiremo un mondo in cui la politica tornerà ad occuparsi del bene comune, la scuola delle conoscenze, il lavoro delle competenze.
È finita, dunque, l’età delle veline e dei calciatori (impersonata dalla coppia Totti-Ilary Blasi), sta per terminare anche l’età di Ruby rubacuori: sta per arrivare l’età dell’autenticità, quella in cui si ritornerà alla sostanza, all’ aurea mediocritas, al giusto mezzo, all’equilibrio tra forma e contenuto. E chissà se i posteri la chiameranno epoca “daveniana”, dal nome del suo iniziatore. Ebbene sì, il D’Avenia nazionale che a novembre sfornerà il suo secondo romanzo intitolato “Cose che nessuno sa” (Mondadori) tutto incentrato sul tema della paternità, sintomo che bisogna guardare alle proprie origini per poter rinascere. Quasi contemporaneamente uscirà il film di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, edizione cinematografica del primo romanzo, già tradotto in numerose lingue. Insomma l’epoca dell’autenticità sta per cominciare!
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