Una campobassana è tra i vincitori del concorsone alla Banca d’Italia
di Olga Sanese pubblicato su "La fonte 2004" del mese di aprile
Prima di partecipare al concorso in banca, la nostra concittadina, ventottenne, aveva solo quel “capitale” di conoscenza, acquistato nel corso degli studi di filologia classica, che avrebbe potuto investire solo nei tornei di Trivial Pursuit.
D’altronde, si sa, i concorsi pubblici sono un terno al lotto e le persone vi partecipano più per non avere rimorsi sulla coscienza di non aver tentato la sorte che con la speranza di passare le prove. Con questo animo la nostra campobassana che, da una decina di anni vive a Roma, ha fatto domanda per quei 40 posti da vice-assistente alla Banca d’Italia a marzo dell’anno scorso.
Dopo aver sfondato la prima selezione per titoli in cui la Banca d’Italia ha sfoltito il gruppo dei 170.000 facenti domanda in 17.000, si è recata alla mega prima prova – un test di 90 domande in 90 minuti su cultura generale, logica, informatica ed inglese – dove ha fatto fuori altre 16.500 persone circa. All’ingresso dell’hotel dove si è tenuta la prova non può non ricordare quel “Decameron” di persone che erano lì come lei: c’erano donne (anche in stato interessante), uomini con i capelli bianchi (a un passo dalla pensione), precari (come sempre la maggior parte) e neolaureati: tutti con quel sogno nel cassetto che si chiama “posto fisso”. Ed è stato divertente ascoltare ciò che la gente diceva prima di entrare. C’era la snob esperta di concorsi (non avendone mai passato uno!) che diceva: “Io il mese scorso ho provato quest’altro concorso ed erano organizzati diversamente”; c’è lo strappalacrime napoletano che esclamava: “Che la Madonna ci accompagni … io tengo famiglia!”. Certo veniva spontaneo chiedersi una cosa: “Ma se tutta questa gente oggi ha preso un permesso dal lavoro, l’intera Italia si ferma per un concorso?”.
Così passata la prima prova, non restava che il temutissimo orale, dove – si sa – bisogna essere più bravi dei raccomandati. E per descrivere com’è andata, la nostra neo-bancaria, che al momento del concorso studiava per diventare archivista, ci ha lasciato una sua riflessione:
Prima o poi, durante l’orale, il fulmine a ciel sereno doveva arrivare: “Perché ha scelto di fare il concorso per entrare in Banca d’Italia?”. Beh, nello stato di tensione generato dal turbinio di formule chimiche e arcipelaghi asiatici che si affollavano nella mia testa, l’unica reazione che sarei riuscita a esternare avrebbe avuto il carattere in tutto simile alla risata isterica e un sincero “chi me l’ha fatto fare” a mezza bocca, tanto per restare alla più sobria delle eventualità. E assistere al profondo sconforto dell’ingegnere elettronico che, poco prima di me, non era riuscito a spiegare il funzionamento della gabbia di Faraday ha un che di surreale e forse di patologico. Ma quando stai per affidare la chance di un posto di lavoro alla tua memoria e alla tua capacità di ragionamento, il tuo cinismo si autocensura perché tutto, in quel momento, si rivela profondamente serio e decisivo. E giù miracoli di diplomazia, se non di disonorevole ruffianeria, o tutt’al più risposte vaghe e incespicanti che a metà viravano sui toni del comizio o della crisi esistenziale. Per fortuna la domanda capitatami poi a bruciapelo è stata su Sacharov e Solzenicyn, forse per quella regola secondo cui, in fondo, ognuno ottiene ciò che si merita. Ad ogni modo, ancora oggi, mentre aspetto di conoscere la mia sede di assegnazione, sento di non essere riuscita a ripristinare del tutto la mia vena ironica.
Auguri, allora, a un’altra giovane di talento sfornata dalla nostra regione!
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