Un nutrito gruppo di ragazzi delle più diverse facoltà si ritrova una sera al mese nel bar dell’Università per leggere e commentare un canto della Divina Commedia. All’inizio erano solo in dieci, ora sono quasi settanta gli universitari che riconoscono nell'esperienza di Dante e in quello che comunica loro una così grande umanità da ritrovare se stessi almeno in un punto di ogni canto, come se fossero davanti a uno specchio che permette loro di vedere meglio chi sono.
Una tipica serata dantesca inizia con la domanda “Come abbiamo lasciato Dante la scorsa volta?” , ricordando anche perché dedicano tempo a un’opera che, per la maggior parte di loro, non è neanche oggetto di esame.
Si procede poi alla spiegazione del canto da parte di chi l’ha preparato in vista dell’incontro; non si tratta di un dantista e quindi, con il suo commento, dimostra di essere tutto se stesso in quel canto proclamato con la sua voce e col supporto degli altri convitati. Capita spesso che l’evento si concluda con un canto, come quando hanno ascoltato “ La mente torna” di Battisti, Mogol e Mina dopo la spiegazione del II dell’Inferno: parole come “apro già la porta ma … arrivi tu, la mente torna, il cuore mio quasi si ferma” fa pensare a Dante quando sente nominare Beatrice e poi rivolgendosi a Virgilio dice: “Tu duca, tu segnore e tu maestro”. Vedendo Dante, all’inizio, dubbioso sulla sua guida e, tre minuti dopo, “saltare in braccio” a Virgilio, si potrebbe pensare: “Questo è matto, che cosa si è bevuto?”. Eppure noi siamo tutti un po’ così.
Si procede poi alla spiegazione del canto da parte di chi l’ha preparato in vista dell’incontro; non si tratta di un dantista e quindi, con il suo commento, dimostra di essere tutto se stesso in quel canto proclamato con la sua voce e col supporto degli altri convitati. Capita spesso che l’evento si concluda con un canto, come quando hanno ascoltato “ La mente torna” di Battisti, Mogol e Mina dopo la spiegazione del II dell’Inferno: parole come “apro già la porta ma … arrivi tu, la mente torna, il cuore mio quasi si ferma” fa pensare a Dante quando sente nominare Beatrice e poi rivolgendosi a Virgilio dice: “Tu duca, tu segnore e tu maestro”. Vedendo Dante, all’inizio, dubbioso sulla sua guida e, tre minuti dopo, “saltare in braccio” a Virgilio, si potrebbe pensare: “Questo è matto, che cosa si è bevuto?”. Eppure noi siamo tutti un po’ così.
Ma ciò che colpisce di più è che i ragazzi che partecipano alle serate dantesche non siano solo di Lettere; questi, per esempio, si entusiasmano molto soprattutto per il rapporto che Dante ha con i classici antichi, dei quali colgono tutta la portata, attraverso la valorizzazione senza censure degli aspetti essenziali (inteso nel senso dell'essenza più profonda della loro natura). I ragazzi di Fisica, invece, si soffermano su cose che i letterati non noterebbero mai, come la teorizzazione dei buchi neri che si intravede nel III canto. Da lì, infatti, emerge che la terra si è spostata a causa dell’arrivo di Lucifero (scagliato da Dio al centro della terra, nel punto più lontano, dopo la sua ribellione con tutti gli angeli del suo cerchio). In particolare Dante dice che Lucifero ha, intorno alla vita, come una cinta (materia condensata) che è la forza in grado di tenere fermo lui e tutta la terra, bilanciando l’intero sistema. E i matematici non sono da meno nel trovare spunti interessanti; come afferma uno di loro: “Per Dante scrivere una cosa all’inizio o alla fine del verso cambia totalmente il senso della frase (è come se qualcuno sostituisse la x con la y): la sua scrittura, infatti, è precisa e ogni parola ha il giusto peso. Inoltre l’Alighieri ha la inimitabile capacità di condensare in un'espressione pregnante un mondo di significati che si spalanca davanti al lettore quasi all’improvviso. Per esempio si può discutere se viene portato da Caronte, dall’angelo o chissà da chi altro, ma il maestro spinge l’allievo a capire soprattutto qual è il senso dell’azione e ciò lo induce ad entrare dentro le sue parole ed averne la spiegazione. Per esempio, quando compriamo un giornale, si ha la pretesa di capire tutto da una notizia. Per Dante non è così, la scrittura è solo un rimando a qualcos’altro: il maestro scrive, poi c’è tutto il lavoro dell’ allievo. Anche nella Vita Nova dice che “è meglio che il lettore capisca da solo quello che ho scritto”.
In una serata dantesca, insomma, è possibile sentire spiegazioni dell’episodio di Caronte alla stregua del seguente: “Più lieve legno convien che ti porti si riferisce a qualcun altro che accompagnerà Dante su una barca più bella e più leggera di quella di Caronte. Immaginate un ragazzo con la 500 che invita una fanciulla a ritornare a casa con lui dopo scuola e intanto arriva un altro con la Ferrari che gliela ruba. A quel punto il ragazzo della 500 parlerebbe in modo un po’ sdegnato, proprio come Caronte.”
Cosa vuol dire dunque “avere in faccia” ciò che dice Dante nella Divina Commedia, che è il fine di queste serate? La risposta è nel paragone tra noi e Dante che sa (se si vede il II canto) che quando ci si perde non si è più in grado di stare di fronte all’evidenza immediata della verità. Beatrice è stata la causa della sua conversione e Dante avrebbe bisogno di lei, ma adesso che lei non c’è, l’immediatezza concreta su cui fare affidamento è Virgilio. Questi, che a volte dice a Dante di non “scocciare” con quel “ te lo dico dopo”, spinge l’Alighieri ad abbassare gli occhi come se pensasse: “Porca miseria, ho fatto una cazzata”. Succede così anche a noi quando abbiamo molti dubbi e vorremmo che le persone vicine ci dicessero quello che vorremmo sentirci dire. E, invece, chi ci troviamo davanti – come Virgilio - ci fa vergognare, che è proprio quello che accadde a Dante!
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