venerdì 28 ottobre 2011

Per me SIC rimarrà sempre "così"

è passata quasi una settimana e tra i tanti commenti sulla tragica morte del motociclista 24enne Simoncelli non ho trovato nessuno che, invece di esaltare come sapeva correre bene e che il moto GP ha perso l'erede di Valentino Rossi, abbia speso due parole per la sua giovane vita, spezzata da un finto "sport" (sì...perchè gli sport veri, quelli in cui si suda, non ammazzano nessuno....)
Nessuno pensa che se a 19 anni avesse salito le scale dell'università, invece che una sella, avrebbe avuto meno soldi e successo ma non avrebbe perso la sua incommensurabile vita?

giovedì 27 ottobre 2011

Perchè Bruno Vespa imita Moccia?

Forse perchè la politica non tira più nemmeno lui.
Esce così il suo nuovo libro sugli amori adolescenziali di minorenni romane...
indovinate chi c'era alla presentazione?

martedì 25 ottobre 2011

ANCHE L’INSEGNANTE “VA A BOTTEGA”

Di Olga Sanese su L'Ottimista del 19/10/2011
Anche quest’anno si è  tenuta la Convention Scuola di Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica), associazione nata da un gruppo di insegnanti desiderosi di unire le loro esperienze per metterle a disposizione degli altri docenti e ultimamente nota per aver sostenuto l’appello dei giovani insegnanti privi dell’abilitazione.  Il  15 e 1 6 ottobre scorsi 800 insegnanti di ogni parte d’Italia si sono dati appuntamento a Bologna per l’incontro di inizio anno intitolato “Insegnare e imparare cioè guardare”, con lo scopo di fare il punto sulla situazione in cui versa la scuola italiana e proporre nuovi percorsi di lavoro.
Il tema principale della convention di quest’anno è stato l’insegnamento come comunicazione di un modo di guardare la realtà che implica la persona stessa dell’insegnante. L’ambito scolastico è, infatti, un luogo di trasmissione di conoscenze vive, continuamente testimoniate dall’entusiasmo del docente, il cui profilo professionale non può essere separato dalla scelta vocazionale del suo lavoro,  che si trasforma in desiderio di apprendere dell’alunno.
La novità di questo tipo di iniziativa nel panorama scolastico nazionale sta nelle cosiddette “Botteghe dell’Insegnare”: 15 luoghi di elaborazione didattico/culturale su argomenti disciplinari (dalla matematica al latino), metodologici (dalla valutazione alla valenza formativa del lavoro) e organizzativi (dalla governance della scuola alla progettazione), nel comune impegno volto alla sfida educativa. La “piazza della didattica”, poi, ha offerto un ricco spazio espositivo costituito da iniziative editoriali e strumenti per l’insegnamento oltre al fatto di aver messo a disposizione dei convegnisti validi e innovativi supporti all’attività didattica.
L’adesione sincera dei partecipanti al metodo delle Botteghe ha raccontato un modo nuovo dei professori di rapportarsi al proprio lavoro, in cui la compagnia tra docenti diventa tangibile. Posizione, quest’ultima, illustrata nella relazione di apertura della Convention da parte del prof. Giorgio Vittadini (Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e docente di statistica).
Alla fine della due giorni il Presidente Fabrizio Foschi ha sottolineato il grande valore del patrimonio di cultura professionale dell’associazione e ha annunciato che sul sito di Diesse sarà presto attivata una piattaforma informatica per proseguire e sviluppare il lavoro in atto.
Dunque, dal complesso dell’assise di Diesse, emerge l’idea di una sfida rivolta al mondo della scuola, a chi vi opera e a tutti coloro che dall’esterno detengono in qualche modo le chiavi del suo futuro. Il confronto deve avvenire, oggi, non solo su ciò che la scuola in modo autoreferenziale pensa di sé, ma su un compito che  gli insegnanti devono assumere di fronte alla società: quello di aiutare gli alunni ad esprimere il massimo di competenza e creatività possibile tramite i percorsi di istruzione e formazione. Affinché ciò sia possibile, la scuola deve ri-diventare una priorità per il Paese, sia in termini di investimento sulle strutture, sia in termini di valorizzazione della funzione docente, la cui fisionomia professionale dovrebbe essere liberalizzata nelle modalità di impiego e reclutamento.
Ben venga allora che non solo i ragazzi, ma anche i “principali” – cioè i loro maestri - vadano a bottega!

mercoledì 19 ottobre 2011

ARRUOLATI NEL SERVIZIO CIVILE

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 13/10/2010

Da circa una settimana è uscito il nuovo bando del servizio civile nazionale cui è possibile fare domanda fino al 21 ottobre. Le borse prevedono 433,80 € mensili per un lavoro-volontario di 25-30 ore a settimana. Sono tantissimi i progetti nazionali “messi in palio” dalle varie associazioni, cooperative o Onlus che hanno necessità di volontari. Ma che cos’è il servizio civile? Nasce come un “lavoro” fatto per lo Stato e la società in alternativa al servizio militare. Col passare del tempo ha preso su di sé una carica positiva tale da essere una delle prime occupazioni per neolaureati.
Alla base di tutto ci sono i principi di cooperazione e di volontariato, sale e pepe della vita sociale. Le Cooperative, sedi di molti progetti del servizio civile, sono le uniche “aziende”che, in tempi di crisi, hanno assunto invece di licenziare. Il Cardinale Tarcisio Bertone, nella conferenza organizzata dalle Acli intitolata “Il lavoro scomposto”, le ha lodate e difese poiché sono state “punite” dai tagli della recente manovra economica. 
Per il mondo del volontariato e dell’associazionismo bisognerà ricordare che il non profit è come una “leva” capace di moltiplicare la ricchezza sociale, secondo l’indicatore VIVA (Volunteer Investment and value audit): in Italia, ad ogni euro speso per i volontari corrisponde un ritorno economico di circa 12 €. Sin dal “Primo rapporto Cnel-Istat sul non profit” (realizzato nel 2008) erano 221mila le realtà che nel 1999  operavano nel Terzo Settore muovendo risorse per 38 miliardi di euro grazie a 4 milioni di persone, di cui oltre 3 milioni di volontari. A questo bisogna aggiungere che nel 2009 l’Istat ha stimato essere triplicata la propensione degli italiani a svolgere attività di volontariato nell’arco del quindicennio compreso tra il 1993 e il 2008. Basti pensare che il censimento dell’Istat previsto per la primavera del 2012 segnale un raddoppiamento delle istituzioni nonprofit che passano dalle 221.000 del 1999 a ben 450.000. Si tratta di corpi intermedi che, secondo alcuni studiosi, sgravano lo Stato di circa 10 miliardi di euro, contando solo il controvalore economico delle attività socio-assistenziali per la popolazione anziana.
Anche i dati relativi al cinque per mille, caposaldo per eccellenza del welfare sussidiario, strada maestra che conduce lo Stato a riconoscere le innumerevoli attività del Terzo Settore volte al bene comune, riportano che gli italiani scelgono con sempre maggior fiducia di finanziare la propria associazione del cuore - sono stati 15.400.000 nel 2009 (+5,6 % rispetto al 2008) – e che le organizzazioni non profit ammesse al beneficio di questo ormai noto strumento di sussidiarietà fiscale sono state 41.000 nel 2010, indice della necessità di una sua sempre più cogente  stabilizzazione.

Il 2011, poi, come Anno Europeo del Volontariato, ha avuto il merito di rilanciare ancora di più l’importanza del volontariato europeo: tante sono state le iniziative promosse dai vari Stati Europei, tra cui il Meeting dell’ “European Youth Forum” a Bruxelles in cui si sono riunite 100 associazioni di volontariato – ed è stato calcolato che il volontariato pesa tra l’1 e il 3 % del PIL mondiale - per chiedere una Carta dei diritti dei volontari e la detassazione di chi investe nel non profit.

Insieme a tutti questi numeri è indispensabile, però, sottolineare un altro “dato” che numero non è: il volontariato non profit ha in sé il valore aggiunto della gratuità, specificità del lavoro volontario, e per questo “vale oro”. Per questo in bocca la lupo a tutti i volontari che si arruolano nel servizio civile!

venerdì 14 ottobre 2011

Anche tu sei un Prof. 2.0? Visita Il blog di Alessandro D’Avenia

di Olga Sanese pubblicato su "Mag Magazine" di Agosto-Settembre 2011
Un quaderno a quadretti su cui il Prof. digitale scrive i suoi post; in alto scorrono le frasi più belle del romanzo “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, uscito nel 2009 e ancora nelle classifiche dei primi dieci libri più venduti; a sinistra la foto del giovane professore, barbetta e capelli ricci biondi, alter ego del supplente “Sognatore”, “tutto nero come la Morte di guerre stellari” – così lo descrive Leo, il sedicenne protagonista del romanzo. Tutto questo e molto altro è il blog di Alessandro D’Avenia, 34 enne, siciliano, professore di italiano e latino in un liceo di Milano, editorialista di Avvenire, già di nuovo alle prese con la gestazione di un secondo romanzo (che ha iniziato a “scalciare” da un po’) e indaffarato con le riprese del film tratto dal suo primo libro.   
D’Avenia rappresenta per l’Italia di oggi (e non solo, dato che il suo best-seller è stato tradotto in moltissime altre lingue) una sorta di “angelo caduto in volo” che ha risvegliato la scuola e il mondo della cultura dal sonno del “tanto non cambierà mai nulla” per riportare entrambi al loro principale scopo: educare alla bellezza. E per riuscire in questo si rivolge soprattutto ai ragazzi, dei quali parla la stessa lingua, esortandoli ad avere almeno un sogno… sì, contro ogni luogo comune e a dispetto di una società che li descrive senza neanche un cassetto per poterli custodire e, al momento opportuno, esaudire.  Addio, dunque, ai “vampiri, cioè quei prof succhiasangue che tornano a casa e si chiudono nei loro sarcofaghi aspettando le prossime vittime”, come si legge nel romanzo;  la figura del supplente Sognatore non è più un “concentrato di sfiga cosmica”, sfigato che porta sfiga agli altri Professori - magari anche “vecchio stampo” - che si trova a sostituire. Il Prof. 2.0 è un homo novus capace di spalancare gli occhi e il cuore dei ragazzi davanti alle meraviglie della realtà.
E come? Anche attraverso quei post che scrive sul suo blog, sempre illuminanti; a partire dal quotidiano D’Avenia riesce, con poche parole, a svelare verità inaspettate. È possibile così leggere e commentare le sue lezioni di scuola, i pensieri sparsi, i commenti letterari (come la rubrica “Lo zibaldino domenicale”) e, nonostante il supporto usato, non c’è niente di virtuale in quello che si legge su http://www.profduepuntozero.it/. E ora, oltre ai post, ha iniziato a “postare” video, come se il suo blog fosse una rivisitazione letterario-scolastica di You-tube. D’altronde la potenza dell’immagine, visto il seguito di adolescenti e genitori che il Prof. 2.0 ha, è fondamentale: chi non lo può vedere tutti i giorni a scuola ha, così, la possibilità di seguire le sue riflessioni da casa con un pc.
Poi ultimamente ha iniziato una sotto-rubrica dal titolo “La pasta delle cose sono storie” in cui è possibile guardarlo negli occhi mentre racconta quello che gli capita nella giornata, quando parla di amore, dolore, morte, inquietudine, gioia, felicità… con una semplicità che tocca direttamente le corde dei cuori dei più giovani e anche di chi, crescendo, ha dimenticato - o non ha mai visto a fondo - le cose nella loro bellezza. Ma soprattutto D’Avenia è il cantore dell’adolescenza; da novello Peter Pan scava nei cuori dei suoi alunni e scopre che è necessario incanalare le loro forze e la loro voglia di vivere verso cose positive affinché essi abbiano sempre fame di verità e pace. Molti ragazzi oggi sono spenti perché, dopo aver avuto e provato tutto, schiavi delle mode, si rendono conto che non hanno niente né in mano né nel cuore: tutt’altro rispetto a quella definizione di adolescenti - “ricchi di ogni desiderio, pieni di occhi” - che dava non molto tempo fa il poeta Alfonso Gatto.
Per questo la parte più interessante del blog di D’Avenia sono i commenti dei ragazzi e le risposte che lui dà puntualmente a tutti. Non mancano domande forti, vibranti, come quando una ragazza grida più o meno così: “Provi a spiegare Manzoni o Leopardi in una classe di ragazzi spenti dalla droga in una periferia malfamata!”. Cosa rispondere a una provocazione del genere? Difficile dirlo. Ma resta il fatto che anche il ragazzo più disperato ha bisogno di felicità (e la cerca, purtroppo, in posti e persone sbagliate)  proprio come l’Innominato manzoniano; tutti hanno bisogno di giustizia, proprio come la cercava Renzo ne “I Promessi Sposi”; ognuno desidera la libertà, quella che rispetta gli altri ma prima di tutto se stessi e che il gabbiano Jonathan Livingstone pretendeva dal suo stormo.
Perciò ai professori del Terzo Millennio, più che mai, si chiede di far trasparire dalla realtà e da quegli intramontabili amici che sono i classici – padri e madri della nostra storia – il bisogno di quiete che grida ogni animo umano e che è possibile riconoscere in tutti gli scrittori e personaggi della letteratura. Solo così sarà possibile quella “meglio gioventù” di cui il Prof. 2.0 parla con mirabile padronanza.

mercoledì 12 ottobre 2011

pubblicate le graduatorie di istituto!

se andate sulla vostra istanza on line potete controllare la vostra posizione nelle 20 scuole prescelte!
fatemi sapere com'è andata.
io a Pistoia sono 8 per il liceo classico, non male!

domenica 9 ottobre 2011

Se la sposa non passa al tornello…

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 3/10/2011

Sempre più spose straniere (dalle spagnole alle orientali) scelgono Roma, la capitale mondiale dell’arte e della cultura, come location del loro matrimonio o soltanto dell’album fotografico nuziale. Sempre più spesso, infatti, è possibile incontrare neo-coniugi in giro per Via del Corso o Via Condotti vestiti come nel giorno del fatidico sì, contravvenendo evidentemente a due “miti” o consuetudine tradizionali: il fatto che ci si ammogli nel paese della sposa e che il vestito si metta una sola volta, lo si porti in lavanderia e poi non lo si riumetta più per tutta la vita. Il tutto, ovviamente, in segno di fedeltà.
E invece a Roma te le vedi apparire all’improvviso nelle metro queste spose alla ricerca della cornice più romantica o sfarzosa per una foto mozzafiato insieme al loro marito. Sono pronte a raggiungere tappe tipicamente turistiche e fermate metro super affollate come “Spagna”, “Flaminio-.Piazza del popolo”, “Barberini-Fontana di Trevi” o “Colosseo”. Ma proprio quando arrivano alla prova del vero amore – il tornello d’ingresso – scattano i primi problemi matrimoniali: lui passa mentre lei – col vestitone bianco – resta fuori o, peggio, impigliata nelle porte automatiche!
Questa è la loro prima “separazione”: lui è dentro e non può riuscire, lei è fuori e non riesce ad entrare. Lei inizia a imprecare, i passanti si divertono alle sue spalle. Così, senza conoscere una parola di italiano, la festeggiata inizia a sbuffare davanti al gabbiotto, cercando di far capire a gesti che i tornelli sono troppo stretti per far passare il “cerchione” del vestito bianco. Alla fine, mentre quel “pinguino” del marito – vestito con la famosa giacca a coda - inizia già a distrarsi con tutte le fanciulle che oltrepassano le “barricate”, la sposa viene portata “di peso” nell’aldilà metropolitano.
Dunque, primo ostacolo matrimoniale superato. Ma non finisce qui.
Dentro il vagone è un continuo di “mi calpesti il vestito” e di spintoni da ogni parte. Così lui inizia a spazientirsi e a sfidare chiunque dia fastidio alla sua lei. Alla fine scendono: secondo ostacolo superato.
Dulcis in fundo le sperate foto, causa di tutto questo sconcerto, nelle quali vengono tutti sudati e con un sorriso sbiadito.
Allora viene spontaneo chiedersi: ma non sarebbe stato meglio fare le foto il “vero” giorno in cui gli “innnammorati” (come si dice a Napoli) si sono sposati? Si sarebbero evitati litigi e soprattutto sarebbe stato tutto più spontaneo.
E invece no. Va di moda che quel giorno tutto sia perfetto così che possa essere indimenticabilmente  diverso da tutti gli  altri giorni della vita! Così si ricorre al wedding planner, ci si sposa in una chiesa che non si è mai frequentata, si mangia in una antica villa romana (magari con un catering eccezionale), si fanno le foto in una città d’arte straniera… e alla fine ci si accorge che era tutto perfettamente finto e che non era il “loro” giorno ma quello dei protagonisti di un film mai guardato. Così il matrimonio dei sogni diventa un sogno perché di reale non ha nulla.
E allora perché non tornare a fare i matrimoni “in casa”, nella parrocchia di sempre e con lo stretto indispensabile? Sarebbe meno perfetto, ma di gran lunga più vero. E di sicuro gli sposi non inciamperebbero in nessun tornello d’ingresso… neanche entrando nella loro nuova vita nuziale.

lunedì 3 ottobre 2011

D'Avenia è l'iniziatore di una nuova epoca: l'età dell'autenticità

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 26/9/2011

C’è stato un bel dibattito su Repubblica e sul Corriere della Sera relativamente al post-modernismo dopo la pubblicazione sul New York Times dell’articolo di Edwars Docx in cui lo scrittore presentava la mostra londinese “Post modernismo: stile e sovversione 1970-1990”, iniziata il 24 settembre. Il clou dell’articolo era che, secondo Docx, si può dire addio anche al post modernismo in nome di una nuova epoca, quella dell’autenticità.
Il modernismo era stato l’esplosione della tradizione Romantica, naturalista e Illuminista messe insieme, basti  pensare a una Virginia Woolf o a Picasso. Il post modernismo fu il ribaltamento del modernismo, in nome del Sessantotto e della rivoluzione dei costumi. Anche se, secondo Vittorio Gregotti (Corriere della Sera del 17 settembre), il postmoderno non è stato (solo) sovversione, 
dopo aver surclassato il modernismo, il movimento culturale sessantottino non sembra più corrispondere al nostro modo di sentire attuale e ai nostri desideri di tornare alla verità e ai valori che quella emana. Sostiene Docx: “Desideriamo di essere riscattati dalla volgarità dei nostri consumi, dalla simulazione del nostro continuo atteggiarci.  Se il problema per i postmodernisti era che i modernisti avevano detto loro cosa fare, il nostro è esattamente il contrario: nessuno ci sta dicendo cosa fare. Questo crescente desiderio di una maggiore veridicità ci circonda da tutte le parti.”  Per questo la prospettiva dei distruttori del post-modernismo – che saremmo noi - “è non solo la ricostruzione per il futuro ma anche una questione di memoria e di permanenza e, per chi si occupa di arte, la necessità di concepire la creatività come ricerca della verità per immaginare la libertà come progetto e non solo come assenza di impedimento”.

Riflettendo su queste parole viene in mente il Prof-scrittore Alessandro D’Avenia; costui ha rilanciato in Italia la necessità di un ritorno alla bellezza - a cominciare dalla scuola - come apertura dell’uomo all’infinito in cerca della verità. Un’idea che nacque con Platone e che ebbe il suo exploit con Dante-Giotto e tutto il Rinascimento. Dopo il Medioevo che stiamo vivendo ci sarà una nuova epoca in cui i sogni saranno al centro dell’iniziativa umana e le arti rinasceranno di nuovo come nel 1500 – parafrasando i corsi e ricorsi storici di Gian Battista Vico; costruiremo un mondo in cui la politica tornerà ad occuparsi del bene comune, la scuola delle conoscenze, il lavoro delle competenze.

È finita, dunque, l’età delle veline e dei calciatori (impersonata dalla coppia Totti-Ilary Blasi), sta per terminare anche l’età di Ruby rubacuori: sta per arrivare l’età dell’autenticità, quella in cui si ritornerà alla sostanza, all’ aurea mediocritas, al giusto mezzo, all’equilibrio tra forma e contenuto. E chissà se i posteri la chiameranno epoca “daveniana”, dal nome del suo iniziatore. Ebbene sì, il D’Avenia nazionale che a novembre sfornerà il suo secondo romanzo intitolato “Cose che nessuno sa” (Mondadori) tutto incentrato sul tema della paternità, sintomo che bisogna guardare alle proprie origini per poter rinascere. Quasi contemporaneamente uscirà il film di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, edizione cinematografica del primo romanzo, già tradotto in numerose lingue. Insomma l’epoca dell’autenticità sta per cominciare!