martedì 27 dicembre 2011

Appassionati del domani


di Olga Sanese pubblicato su l'Ottimista del 21/12/2011

Il movimento degli studenti cattolici ha tenuto il suo XVIII convegno nazionale a Viterbo dal 1 al 4 dicembre. I ragazzi di moltissimi licei italiani si sono riuniti per affermare – attraverso le parole del coordinatore del Nord Italia, Renato La vezzi - che oggi c’è bisogno del coraggio di impegnarsi perché non è più tempo di delegare ad altri le scelte della loro vita; e per “altri” intende quegli adulti che hanno provocato tanti problemi e che ora non sanno risolvere, come ha detto il Coordinatore nazionale Martino Merigo.
La prima giornata è stata aperta da don Maurizio Viviani che ha posto l’attenzione sul fatto che i giovani d’oggi non sono solo il futuro, ma soprattutto il presente e questo deve essere vissuto facendo memoria del passato. D’altronde, come diceva Pablo Picasso:  “ci vuole molto tempo per diventare giovani”. Ha fatto poi scalpore la serata in compagnia del collaboratore - fotografo di Giovanni Paolo II., Arturo Mari, l’uomo che ha vissuto accanto a sei Papi dalla seconda metà del XX secolo sino ai nostri giorni, facendo scatti “ad un millimetro dallo Spirito Santo”.
Ma il convegno è stato anche un incontro di fede per molti dei partecipanti. Secondo don Davide Vicentini, infatti, “la difficoltà di tanti giovani di incontrare Dio non sta nell’impossibilità di vederlo, ma nel fatto che non si è consapevoli dei propri desideri. Il cambiamento è possibile solo se abbiamo il coraggio di toglierci le maschere che gli altri ci propinano e di insistere nella ricerca del nostro essere uomini”. E la fede, soprattutto quando si è giovani, passa attraverso le persone. Anche per questo c’è stata la testimonianza di Claudio Gentili, direttore di Education Confindustria e della rivista “La Società” ,  il quale ha raccontato di come da giovane marxista, nel  1982 ha incontrato il Papa Giovanni Paolo II. Dopo questo avvenimento ha avviato un cammino di catechesi per gli scout del Masci affinché potessero capire – come aveva fatto lui - che “le opere senza il cuore non sono sufficienti  a salvare l’uomo”. Tuttora è impegnato con la moglie anche nell’ambito della consulenza familiare attraverso il centro “Betania ”.
Anche il Ministro dell’Istruzione Profumo è intervenuto telefonicamente al convegno sottolineando l’importanza di creare alcune Tavole Rotonde a cui partecipino tutte le associazione studentesche, la collaborazione con gli studenti stranieri e un adeguato orientamento.  Ma l’apice dell’incontro nazionale dell’MSC è stata la redazione, da parte delle scuole che vi hanno partecipato, del documento “La Scuola che vorrei” presentato poi al convegno della Fidae (Federazioni Istituti di attività educative).
L’ultima giornata è stata tutta all’insegna del rapporto tra Scienza e Fede attraverso l’intervento del prof. Umberto Fasol, Preside del liceo alle Stimate di Verona, che ha trattato della presenza di Dio nella storia della natura; infatti, come diceva Keplero: “studiare i pianeti è come studiare Dio”. Così i ragazzi sono rimasti estasiati di fronte alla spiegazione del Dna, definito “linguaggio di Dio” perché contiene una quantità di informazioni tale da occupare 3.2 giga. “Se non c’è lì la firma di Dio, dove allora?”.
Infine è toccato a Mons. Samuele Sangalli, professore presso la Pontificia Università Gregoriana, di analizzare i risultati del Censis, secondo cui la società italiana “è fragile, isolata ed eterodiretta”. Consapevole del fatto che essa é caratterizzata da un individualismo dilagante e corrosivo tale da cancellare l’azione collettiva e che nessuno attende più la salvezza dall’esterno, la collettività è importante, così come la vita di relazioni. “Noi siamo i nostri legami, quelli che ci hanno portato al mondo, quelli che danno colore alla nostra vita. Ma chi ci educa alla vita di relazioni?”. Occorrono perciò bravi maestri . Solo così il passato diventa presente e il presente futuro. E se i ragazzi si impegnano sin da subito nella costruzione del bene comune, il loro futuro farà storia.

L’educazione salesiana: 150 anni di buoni cristiani e onesti cittadini:



di Olga Sanese pubblicato su ZENIT del 17/12/2011

Nonostante la crisi, la famiglia salesiana ha voluto dare il suo contributo ai festeggiamenti per i 150 anni dall’Unità del nostro Paese attraverso un seminario di studio tenuto il 26 ottobre scorso presso  la
Sala della Promoteca del Comune di Roma, organizzato dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium e dall’Istituto Storico Salesiano.
L'incontro intitolato “Fare gli italiani con l’educazione. Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice da 150 anni accanto ai giovani”, prende spunto da due libri recentemente pubblicati: “Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione. Documentazione e saggi”, a cura di Grazia Loparco e Maria Teresa Spiga (Roma, LAS 2011) e “Salesiani di Don Bosco in Italia. 150 anni di educazione” a cura di Francesco Motto (Roma, LAS 2011).
Il Convegno è stato rivolto “alle comunità educanti, a quanti lavorano nelle istituzioni civili ed ecclesiali con attenzione all’educazione, a studiosi e giornalisti, nella consapevolezza che è necessario operare in rete per favorire realmente l’interesse per i giovani” e ha visto come protagonisti del dibattito il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, il professor Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, la professoressa Marianna Pacucci, e gli interventi di madre Yvonne Reungoat, superiora generale, e di don Pierfausto Frisoli, consigliere regionale d’Italia, oltre che delle autorità istituzionali. Ha moderato l’incontro il vice direttore dell’ “Osservatore Romano”,  dottor Carlo Di Cicco.

Il fondatore dell’Opera Salesiana, don Bosco, è stata una figura cruciale nella storia dei rapporti tra Chiesa e Stato italiano; egli non si è mai rassegnato alla rottura delle relazioni fra il Papa e l’Italia, anzi, si è adoperato a rimuovere gli ostacoli perché la nuova nazione sorgesse, nel segno della pace religiosa, su basi condivise. Con la sua opera educativa e popolare ebbe una parte nel Risorgimento morale e spirituale degli italiani. Ma se la sua azione è nota, lo è meno quella dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sorti gli uni a Torino alla vigilia dell’unità d’Italia e le altre a Mornese (Alessandria) nel 1872.
Il convegno si è posto come fine quello di “suscitare la riflessione sul contributo educativo di migliaia di educatori che in 150 anni hanno raggiunto moltissimi ragazzi e ragazze di tutte le regioni d’Italia, offrendo una formazione che li preparasse alla vita e al contempo ne facesse cittadini onesti e cristiani convinti”.
I Salesiani hanno cercato, con le risorse disponibili, di “fare il bene che potevano e come potevano”, di costruire di ogni italiano un uomo maturo, un lavoratore capace, un cittadino onesto, un buon cristiano attraverso l’educazione della gioventù, lo sviluppo dell’istruzione professionale, la diffusione della cultura di base, l’assistenza religiosa alle popolazioni. Si è inserito operativamente nella vita dell’Italia nuova, specialmente in settori per i quali lo Stato non aveva sufficienti risorse da spendere; ha evidenziato come si possano realizzare risultati estremamente positivi nell’ambito della cooperazione tra pubblico e privato e in un’ottica di solidarietà e sussidiarietà.
La loro presenza è attiva in 131 Paesi del mondo e conta 1500 opere in tutta Italia. A Roma spiccano l’istituto S. Maria Ausiliatrice di Via Dalmazia, l’Istituto S. Maria Mazzarello di Piazza S. Maria Ausiliatrice, i San Giovanni Bosco di Viale P. Togliatti, Via Appia Nuova e Piazza Decemviri; infine il Sacro Cuore di Via Morrone.

martedì 20 dicembre 2011

Dalla cioccolata di Modica all’involtino primavera cinese

di Olga Sanese pubblicato su Mag Magazine di ottobre/novembre 2011 

Giulia Iemmolo è nata a Modica (Ragusa) nell’85. Si è laureata nel 2009 in Lingua e cultura cinese presso la Sapienza di Roma. Nel 2010 ha fatto un master in “Global Management: società ed istituzioni della Cina contemporanea”  con una tesina sullo sviluppo della Responsabilità Sociale d’Impresa in Cina, RSI). Dal 2010 è a Pechino dove collabora con il China Desk dello Studio di consulenza tributaria e legale Pirola Pennuto Zei & Associati, dove fornisce servizi in materia di RSI ad aziende italiane e straniere che operano in Cina.

Dott.ssa Iemmolo, perché ha scelto proprio la Cina?
Semplicemente perché ho seguito l’irrazionale necessità di provare a capire qualcosa che era profondamente diverso da me. Prima di intraprendere gli studi orientali la Cina era, nel mio immaginario, irraggiungibile ed incomprensibile: il luogo ideale per provare a me stessa di essere diversa dagli altri, di essere capace di imparare una lingua che in pochi riuscivano a conoscere.

Di cosa si occupa esattamente?
Di responsabilità sociale delle imprese, intesa come componente dell’eccellenza imprenditoriale e parte integrante della strategia delle aziende. Ogni impresa, infatti, può individuare le modalità d’intervento più corrette e coerenti con la propria identità e raggiungere un equilibrio ottimale tra il profitto ed una maggiore attenzione alla trasparenza, alla qualità e allo sviluppo sostenibile. Per questo il mio Studio ha avviato una collaborazione con Officina Etica Consulting (attraverso la Dott.ssa Paola Gennari Santori), società di consulenza nel settore della responsabilità sociale e della filantropia, dando vita alla “Sustainability Unit”.
In Cina siamo i primi italiani ad operare in questo settore e seguiamo le imprese che operano in Cina nell’iter di sviluppo e di implementazione di policy di responsabilità sociale, nella predisposizione del loro Codice Etico, nelle attività di reporting e accountability (report sociale, biliancio sociale, bilancio di sostenibilità), nelle attività di engagement con i vari stakeholders. Inoltre siamo molto attivi nella diffusione di una cultura delle responsabilità sociale attraverso l’organizzazione di training, corsi di formazione ed incontri con gli imprenditori italiani in Cina.

Cosa significa oggi vivere in Cina?
Significa vivere in una sorta di gioco d’azzardo: non si sa chi sarà il vincitore ma se non si gioca bene la partita, si rischia di perdere tutto, sia sul piano del business che su quello personale. La Cina non è più il Paese in cui venire per arricchirsi facilmente perché fa fortuna solo chi dimostra di avere davvero un investimento, un progetto migliore di quello di altri.
Relazionalmente, essendo questa una realtà troppo grande, facilmente si rischia di perdere se stessi, di non riuscire a ricreare una dimensione “umana” in mezzo al vortice di superficialità che domina i rapporti sociali.
Dall’altra parte, però, quasi tutti gli “expats” sono arrivati qui per sei mesi e poi sono (siamo) entrati ne  “l’1+1+1”, ovvero gli anni in cui si protrae la permanenza.

Quali analogie e differenze ci sono tra siciliani e cinesi?
Sono scettica sulla possibilità di comprendere l’essenza profonda della cultura cinese e ciò dipende dal grado di interazione che si riesce a raggiungere con questo popolo, dal capire della loro logica, dal riuscire a diventare “uno di loro”.
Durante i primi anni di studio, il travolgente ritmo di Pechino, metropoli che stava crescendo sotto i miei occhi, mi ha portato a considerare questa realtà come una sorta di paradiso dove tutto era possibile. Il costante ricambio di amicizie avrebbe soddisfatto la mia sete di conoscere culture diverse e la possibilità di iniziare una carriera di successo qui, e solo qui, era concreta.  Certo il mio spirito siculo, forte, fiero e a tratti autoritario, mi ha aiutato a sopravvivere in questa giungla in cui la fatica impiegata per raggiungere i propri obiettivi è superiore che altrove.
Le lunghe chiacchierate con i tassisti pechinesi durante le interminabili mi hanno fatto realizzare che tra la mia cultura d’origine e quella cinese esistono molti tratti comuni: l’importanza della famiglia, centro della vita di ogni persona, il rispetto nei confronti degli anziani e alcuni riti sociali come il pranzo della domenica presso i nonni. In Cina è lo stesso: in ogni casa c’è un piccolo altare consacrato agli “avi” - proprio come da mia nonna ce n’è uno che ricorda i defunti - che i più giovani devono rispettare e, poi, ricreare all’interno del loro futuro nido.
Un’ulteriore somiglianza sta nel sistema di “guangxi”, le relazioni che ciascuno intrattiene con persone che potrebbero rivelarsi “utili”. Nulla è realizzabile altrimenti, ed in Sicilia non mi sembra molto diverso, anche se “guangxi”  non è necessariamente sinonimo di corruzione, ma esprime un sistema di relazioni necessarie.

Cosa Le manca della Sicilia?
Il profumo del mare e del cibo casalingo; i raggi del sole che rendono le fatiche quotidiane più gradevoli.
Il profumo dei mandorli siciliani in fiore sovrasta tutto il resto mentre qui è difficile distinguere cosa provochi un odore. In Cina gli odori sono confusi, i colori inesistenti: il grigio domina incontrastato; le aiuole e i prati non crescono ma vengono appositamente piantati per la durata di una stagione per cedere il passo ai sassi nei periodi più aridi. È la magia di un Paese in cui tutto è possibile.

GROSSE E GRASSE NOVITA’ AL Geppy-Day

di Olga Sanese pubblicato su La fonte 2004 di novembre 2011
L’immancabile G-day,  il preserale de La7, in onda dal lunedì al venerdì dalle 19,30 al Tg di Mentana delle 20,00.
Il varietà che sta sulla notizia del giorno riparte con tante novità. A comiciare dalle risate: non sono più quelle finte usate fino a giugno – forse costavano troppo!? - , ma quelle del “vero” pubblico di ragazzi che sta davanti alla conduttrice sarda. Rinnovato e ingrandito, dunque, anche lo studio: si allarga lo schermo della “gran domanda”, i titoli scorrono in basso  insieme alle principali battute ma resta piccolo il frigo in cui Geppy mette a rinfrescare l’ospite della puntata per far lamentare chi c’è dentro e dare lo spunto per qualche battuta. Anche il target degli ospiti è leggermente cambiato: l’anno scorso erano perlopiù altri conduttori de La7 che approfittavano delle domande di Geppy per fare pubblicità ai loro programmi; quest’anno è intervenuto persino Scilipoti!
Dopo la lettura della biografia del personaggio racchiusa in un post-it attaccato al frigorifero (abitudine delle migliori famiglie italiane o comunque delle case di studenti), si passa alla “gran domanda” del televoto che dà il via al sondaggio (tecnica con cui Geppy si è fatta strada sin dal programma “Victor Victoria”). Segue la lettura della notizia della giornata a cura del barbuto Matteo Bordone in “posa Gruber” sulla scrivania – vittima preferita della Geppy nazionale che lo assale con una miriade di battute. Poi i nuovi schetch: “l’Opinione rotante”, “Sfogati in 7 secondi” e “Ce lo dicono i mevcati”. Nella prima gli intervistati sono tenuti a rispondere alla domanda dell’inviato di Geppy in strada e a cambiare la propria opinione a seconda del canale televisivo servito dal giornalista - costui fa credere, infatti, di dover vendere lo stesso servizio a più reti, un po’ sulla scia di quel comico di Zelig che presentava la stessa notizia da Tg di diverse emittenti; nella seconda lo sfogo è invece a senso unico, non c’è il dialogo come quando Geppy riceve le telefonate da casa, e si solo sente la voce delle persone mentre sullo schermo compaiono le vecchie onde radio di alcuni programmi del passato. Ma in tempi di crisi e di frasi tremontiane del tipo “ce lo chiede l’Euvopa” arriva la terza novità: l’intervista alle signore del mercato di quartiere con le loro “borse”, simbolo in nome dell’economia reale, al posto degli economisti della Borsa e dei mercati finanziari. 
Comunque lo show di Geppy va alla grande, nonostante il “televisologo” Aldo Grasso sul Corriere evidenziava due punti deboli del programma: la fascia oraria (più adatta per i quiz, mentre lo show di Geppy starebbe meglio in seconda serata sulla scia di “Parla con me”) e il fatto che la conduttrice sia più intelligente dei suoi ospiti che così rischiano di sfigurare. Tuttavia questi sono proprio i punti forti del programma: è ora che in TV si moltiplichino programmi satirici anche in orario pre-serale perché non c’è nulla di improprio nel ridere mentre si prepara la cena! Anche Mentana è contento e sponsorizza parecchio G-Day…anche mettendo a repentaglio il suo TG, dato che negli ultimi secondi del suo show Geppy è così caparbia da soffiargli il posto con i “suoi” titoli, anticipando e parodiando proprio quelli del TG che verrà..

venerdì 16 dicembre 2011

CRISI: bisogna che tutto cambi… se vogliamo che tutto rimanga com’ è

di Olga Sanese pubblicato su La Fonte 2004

I momenti di crisi sono intrinseci ai periodi storici, permettono all’uomo di ingegnarsi,  progredire e, soprattutto – come diceva Hannah Arendt - di “tornare alle domande” di senso. Anche Steve Jobs, se non fosse andato in crisi quando venne respinto dalla Apple, non avrebbe inventato tutti quei marchingegni che gli permisero di rimettere piede nella sua azienda e di diventare il “principe” dell’informatica. E un altro Principe, quello immaginato da Machiavelli già 500 anni fa, metteva in guardia dai periodi di crisi: “La fortuna dimostra tutta la sua potenza dove la virtù non è preparata a resisterle e dove sa che non sono stati costruiti argini per contrastarla. E se voi considererete l’Italia, che è la sede di tutti i rivolgimenti politici, vedrete che è una campagna senza argini e senza riparo: perché, se fosse stata riparata da conveniente virtù come la Germania e la Francia, questa “piena” non sarebbe venuta”.
Più recentemente il giornalista Pansa, nel suo nuovo libro, “Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri” (Rizzoli, 2011), evidenzia quale sia la differenza tra i suoi genitori e i nostri: “I miei non si sono concessi alcun lusso, non hanno mai posseduto un’automobile e non sono mai andati in vacanza. Però hanno avuto sempre una certezza: tanto io che mia sorella avremmo vissuto una vita migliore della loro. Una certezza che oggi molti genitori non possiedono più. (…) Il benessere non è una conquista definitiva. E può essere perduto”. Cosa che sempre più spesso accade, trascinati da quella strana “euforia dell’effimero” che induce i più ad utilizzare i propri risparmi per vivere intensamente il presente e ad abbandonarsi a un consumismo compulsivo come ha detto S. Petrosino (Avvenire del 20/9/2011).
C’è bisogno invece di persone che non si sentono condannate alla delusione ma che vivano all’altezza dei propri desideri e che riconoscano - mossi dalla passione per l’uomo - quel qualcosa che nella realtà c’è già. In fondo “le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo” (http://www.clonline.com/). Allora, come uscire dalla crisi che stiamo vivendo? Sicuramente attraverso l’esperienza e l’esempio che molti offrono in modo “invisibile” tutti i giorni nella nostra società: Ci sono persone che non si lasciano trascinare dal flusso delle cose, ma remano controcorrente. Proprio nel mezzo di una crisi tra le più gravi della nostra storia, esistono fatti virtuosi, segno che le persone si sono rimesse in azione senza aspettare una risoluzione dei problemi dall’alto. Così, non potendo cambiare tutto e subito, hanno cominciato a cambiare i loro stili di vita, affrontando la realtà senza preclusioni e dandosi da fare senza rinnegare e dimenticare nulla” (http://www.clonline.com/), tutti tesi a “costruire il futuro accettando le sfide della realtà, rispondendo ad esse con intelligenza, creatività  e spirito di sacrificio”, richiamati al lavoro e alla solidarietà da parte del Presidente della Cei Bagnasco a Todi il 17 ottobre scorso, quando aveva detto “Nei momenti di crisi i cristiani sono chiamati in causa” anche perché “in ogni campo, non sono l’organizzazione efficiente o il coagulo di interessi materiali o ideologici che reggono gli urti della storia e degli egoismi di singoli o di parti, ma la consonanza delle anime e dei cuori, la verità e la forza degli ideali”.
Solo così si può tornare a desiderare e a sperare, cioè a vivere.

venerdì 9 dicembre 2011

“Cose che nessuno …” ha chiesto a D'Avenia

di Olga Sanese pubblicato su "Il quotidiano del Molise"



Come aveva promesso agli assidui lettori del suo blog, il prof. 2.0 Alessandro D’Avenia ha pubblicato il suo secondo romanzo. S’intitola “Cose che nessuno sa”, è edito da Mondatori e racconta la storia di un’adolescente, un Odisseo al femminile, che va alla ricerca del padre perduto. Tuttavia il giovane D’Avenia, professore, scrittore e giornalista per Avvenire e La Stampa, deve fare i conti con quei critici che non hanno digerito il suo successo e che gli pongono alcune obiezioni. Per questo l’autore ha scelto di chiarire le ragioni della sua fortuna attraverso questa intervista:

Sia nel primo romanzo (“Bianca come come il latte, rossa come il sangue”)che nel secondo  compare la figura del Professore, per nulla svilita come è spesso nella realtà, ma capace di essere un maestro di vita che apre gli occhi agli adolescenti e illumina la loro strada...non credi di dare un'immagine troppo idealizzata e lontana dalla quotidianità?

Nel secondo romanzo il professore è pieno di buchi e fragilità, e si nasconde dietro i libri. In realtà deve ancora imparare a vivere, a rischiare, ad amare veramente; mentre nel primo romanzo era una specie di Keating de L'Attimo fuggente: ha il compito di illuminare la scena e la vita priva di orizzonte del protagonista. D’altronde la letteratura si occupa delle cose come potrebbero essere, non di come sono: non è sociologia, ma nostalgia di un paradiso perduto, da riconquistare. Ho conosciuto professori come quelli che racconto: dunque esistono.

Alcuni credono che tu sappia parlare solo di adolescenti, puoi fare un esempio per dimostrare il contrario?

Basta leggere il secondo romanzo: personaggi di tutte le età, da un bambino di 5 anni alla nonna di 80.

La mia professione mi porta a conoscere questo pezzo di mondo in profondità per cui cerco di parlare di quello che conosco meglio: è la mia finestra sulla realtà. Inoltre l'adolescenza oggi non è la stessa di 20 anni fa. C'è sempre qualcosa di nuovo da interpretare, amare, scoprire.

Nel tuo terzo romanzo il tuo alter ego sarà sempre un Professore o c'è un
Alessandro nascosto che vorrebbe indossare un altro ruolo?

Cose che nessuno sa... Vedremo, sto facendo un percorso. Il primo pubblico per cui scrivo sono io. Mi lascio guidare dalla scrittura, dai personaggi che mi bussano al cuore e con i quali voglio entrare in dialogo. Senz'altro nei miei progetti ci sono personaggi molto diversi da me.

Veniamo al romanzo. un grande classico come l'Odissea alla base della storia raccontata.
Credi che per far amare i classici bisogna rimodernizzarli come fa Baricco o c'è un modo nuovo di interpretarli per come sono nati?

Credo che bisogna rispettarli per quello che sono e metterli in dialogo con il presente. Più che rimodernizzarli a me piace siano loro a modernizzare noi. Non siamo noi che leggiamo Dante, è lui che legge noi. Ci dà lui le parole per possederci, per dirci, per conoscerci. Si tratta di scovare quei tratti profondamente umani e universali che la grande letteratura ha, altrimenti non sarebbero e non diventerebbero dei classici. Chiaramente per avvicinare alla lettura i classici è necessario renderli più permeabili ai sensi dei contemporanei: ben vengano le operazioni che avvicinano senza semplificare. In questo il Baricco di Totem ha molto da dare agli insegnanti che fa venire voglia di leggere l’originale, senza sostituirlo.

martedì 6 dicembre 2011

Tutti pazzi per Orlando

Parafrasando la fiction Rai, in classe stiamo studiando l'Orlando Furioso di Ariosto, l'opera che, apparentemente noiosa e "antica" nei contenuti e nel linguaggio, ha suscitato un inaspettato interesse nei ragazzi tanto che non c'è stato nemmeno bisogno di dire che vedere i nomi di Angelica e Medoro incisi sulla corteggia degli alberi era, per Orlando, come se oggi un amico mettesse l'emoticon del cuore sulla bacheca della vostra fidanzata...
In particolare l'episodio della follia è l'emblema di come, nonstante i tanti segni di tradimento di Angelica con Medoro, l'amore renda Orlando completamente cieco davanti al quella evidenza che rifiuta di accettare così come non riesce a piegarsi a ciò che il Destino ha deciso per lui.
 La sua coscienza rimuove di essere stato tradito fino all'incontro con il pastore, con "l'altro", che è capace di sollevare i "prosciutti" dai suoi occhi e ciò indica che abbiamo bisogno degli altri per scoprire la Verità.
Così Orlando arriva alla gelosia, quell'insana passione, che ci fa credere di essere possessori dei nostri amati, invece che loro compagni di viaggio e, quindi, alla famosa "pazzia".
Sarà un altro amico, Astolfo, a farlo rinsavire, arrivando fin sulla Luna a riprendere l'ampolla contenente il senno di Orlando, segno che l'amicizia ci salva sempre.