martedì 28 febbraio 2012

Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio

pubblicato su L'Ottimista del 23/2/2012

No, non è il ritornello della canzone vincitrice di Sanremo, “Non è l’inferno”, ma un noto brano de “Le città invisibili” (1972) di Italo Calvino che inizia così: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. (…) Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui”, ma è proprio quello citato all’inizio dell’articolo e scelto (volontariamente?) dagli autori della canzone di Emma.
Il brano tratta di come un centenario ex combattente della I e II guerra mondiale si ritrovi oggi “a non tirare a fine mese, in mano a Dio le sue preghiere” con un figlio precario “che a 30 anni teme il sogno di sposarsi e la natura di diventare padre”.

Tuttavia da questo dramma esistenziale e ormai comune – tanto che si parla di “nuovi poveri” – nasce una speranza, almeno quella di affermare la vita, l’unica cosa che resta, e che nemmeno in queste tragiche situazioni “è possibile pensare che sia più facile morire”; la vita non è mai  “inferno” perché come diceva Calvino, nell’esistenza bisogna aggrapparsi a tutto ciò che “inferno non è, farlo durare e dargli spazio”.

Questa è la ricetta di una vita che chiede di essere vissuta degnamente e che qualche volta ci regala delle vittorie, come quella dell’ “amica” Emma al Festival di Sanremo di quest’anno.

martedì 21 febbraio 2012

Emma ha vinto Sanremo? No, Calvino...

di 0lga Sanese puibblicato su L'Ottimista del 15/2/2012

Ho fatto un sogno. Ero seduta in prima fila al Teatro Ariston di Sanremo perché avevo pagato il canone Rai prima di tutti gli italiani, orgogliosa di una tv pubblica che non deve dipendere dal mercato pubblicitario e che può esprimersi liberamente senza chiedere il permesso alla casta-politica (e s’intenda la parola “casta” come sostantivo).
Al mio fianco sedevano semplici italiani fieri di essere a Sanremo come me: non erano del mondo dello spettacolo né di quello del calcio; non c’erano fotografi di professione né dirigenti. Il presentatore era vestito in smoking; la valletta aveva un viso color dei gigli, come le fanciulle cantate dallo Stilnovo. Nonostante non avesse scollature, né spacchi avanzava “gentile” e sensuale sulle scale del palco.
Il Festival della canzone italiana iniziava, appunto, con una canzone-bandiera dell’Italia, Azzurro, un nobile aggettivo, non una parolaccia. Proseguiva con i cantautori in gara che facevano vibrare le corde del cuore degli spettatori prima che quelle delle loro chitarre e che parlavano d’amore, anche senza nominarlo, perché lo sapevano descrivere in modo talmente mirabile da non aver bisogno di ripetere suoni già uditi migliaia di volte. I loro accordi erano nuovi e del tutto originali, anche senza il copyright e la SIAE. E non cantavano solo con musica e parole, ma anche con gesti e “accoramenti”.
Le loro parole si libravano nell’aria e davano sollievo agli italiani che, dopo una giornata di lavoro, si riunivano nelle case di chi aveva la televisione per vedere, oltre che per sentire come facevano abitualmente per radio, il festival del mese di san Valentino. La bellezza salverà il mondo, dicevano, e ci credevano sul serio, al punto che lo spettacolo veniva trasmesso in tutte le altre “stelline” che rappresentano i Paesi europei, come vanto nazionale.
Poi, ad un certo punto, è arrivato uno che si molleggiava di qua e di là. Non parlava, ma sapeva cantare più di tutti gli altri. E con la sua voce parlava d’amore alla stregua di Mina e Battisti; lasciava Dio ai preti e il piano regolatore ai politici.
Tra una canzone e l’altra c’era la satira di costume sull’Italia, sulla diversità tra uomo e donna, e via  beffe e motto arguti. Senza sentire nemmeno un’espressione volgare, ho riso talmente “a crepapelle” che mi sono svegliata.
Ho letto i giornali e tutti parlavano di un Festival mai visto dove Celentano era definito “profeta decadente”; il voto della giuria non funzionava; la valletta, a letto con la cervicale, era stata sostituita da altre; Luca e Paolo avevano lasciato il posto a “I soliti idioti”…
Mi sono chiesta: ma il vero festival di Sanremo, quello di cui in passato parlavano tutti perché faceva cultura, dov’è andato a finire? Mi sono riaddormentata e ho preferito vedere il vincitore del festival dei miei sogni. Lì ha vinto il miglior cantante dell’anno: non quello più televotato, ma quello che nel giudizio univa tutti, dal critico musicale all’ultimo spettatore. Non c’erano cantanti-amici, perché la musica era per tutti.

lunedì 20 febbraio 2012

Filtra il web dei tuoi figli e della tua azienda


di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 13 febbraio 2011


Quante volte ci chiediamo se la navigazione dei nostri figli è sicura, se non vanno su siti pericolosi, se lo schermo li ripara automaticamente da insidie sconosciute? Ma soprattutto cosa possiamo fare, da genitori, per evitare che l’uso del pc in famiglia si trasformi in una trappola? Da oggi esiste un “filtro” che non danneggia la nostra salute come quello delle sigarette ma che ci fa stare senz’altro meglio: è  Web-filter. Si tratta di un servizio che ha lo scopo di rendere la navigazione in rete Internet più sicura, veloce, intelligente ed affidabile grazie ad un particolare sistema di Domain Name System (DNS). Web-Filter, oltre a migliorare i tempi di risposta nella navigazione, è in grado di impedire l’accesso ai siti contenenti virus, malware e phishing. È ormai noto che una delle insidie più pericolose che si presenti durante la navigazione è la possibilità che un utente possa essere indotto a fornire dati sensibili come il numero di carta di credito o le credenziali di accesso al conto corrente on-line ad un sito che appare come l'originale, ma che in realtà ha il solo scopo di acquisire tali informazioni per usarle in maniera fraudolenta.
A questo si aggiunga il controllo parentale dei contenuti Web che agisce sia sui contenuti mediante categorie predefinite sia nel definire delle proprie blacklist e/o whitelist che blocchino o consentano l'accesso a determinati siti.
Ma come funziona questo sistema sensazionale? Semplicissimo. Web-filter agisce riconoscendo te ed i tuoi familiari ogni volta che navigate in Internet da un qualsiasi computer della casa, senza dover installare complessi programmi. Attraverso una semplice registrazione Webfilter inizierà da subito a proteggere te e la tua famiglia dai contenuti offensivi che circolano su Internet. Il servizio costa solo un 1 € al mese e garantisce la protezione di tutti i computer ed i dispositivi connessi ad internet di casa.
Il tutto nasce da un'indagine della Commissione europea che ha evidenziato punti forti e debolezze dei programmi di controllo parentale; per questo è nato Web-Filter, grazie al lavoro di un’azienda del gruppo “WeMakeWeb” che si propone così di migliorare la navigazione in rete e non solo in famiglia. Questo sistema, infatti, dà ottimi risultati anche per la tua azienda; insomma non è mai stato così difficile andare su Facebook mentre sei a lavoro…

lunedì 13 febbraio 2012

La chiave della Memoria

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 6 febbraio 2012

Qual è lo scopo della Giornata della Memoria (27 gennaio) se non ricordare il genocidio degli ebrei affinché nulla di simile riaccada nella storia dell’umanità? Proprio questo è il fine anche de “La chiave di Sara”, il film di Gilles Paquet-Brenner uscito nelle sale il 13 gennaio. Il regista si propone di far conoscere ai giovani francesi di oggi (e a tutti gli spettatori, ovviamente) uno degli episodi più ignobili della storia francese: il rastrellamento di tredicimila ebrei nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942 sotto gli occhi della polizia francese.
Trattando il tema della Memoria storica, il film è basato sulla ricostruzione di quel che è stato da parte di Julia Jarmond, giornalista americana, che da vent'anni vive a Parigi, sposata con il proprietario di una casa dove abitò una della famiglie ebraiche deportate al Velodromo. Attraverso il suo reportage sull’argomento e grazie alle notizie fornite dal suocero, “incrocia” la storia di Sara, una fanciulla deportata che, per salvare il fratellino Michel, portò con sé la chiave dell’armadio dove lo nascose il giorno del rastrellamento.  Un rimorso che durerà per lei tutta la vita e che rappresenta un “tòpos” per gli ebrei scampati ai campi di sterminio (cfr. Primo Levi): quello di essere sfuggiti alla morte nel lager e, al tempo stesso, l’aver lasciato lì la “vita”, i familiari, il ricordo, a tal punto da non riuscire ad affrontare il tempo dell’esistenza che resta.   
Ad ogni modo “La chiave di Sara” si discosta abbastanza da tutti gli altri film sull’argomento come Shindler’s list, Canone Inverso o  La vita è bella in quanto lo scopo del regista non è stato quello di soffermarsi sulla vita degli ebrei all’interno del campo di concentramento quanto la necessità della trasmissione del passato: quel “fare memoria” che altrimenti rischia di cancellare pagine di storia vergognose o, peggio ancora, di favoleggiarle se non addirittura smentirle. Al tempo stesso però il film indugia in particolari forse inopportuni per la drammaticità del tema (la separazione tra la giornalista e il marito, le loro discussioni sull’aborto, il giro del mondo della protagonista che sembra perdersi tra i parenti di Sara…). Degna di nota, invece, è la scena del bagno di Sara nel lago al di fuori del campo di concentramento che la “purifica” dalla malvagità umana vista e sentita là dentro e che poi si ripete quando ella abbandona la famiglia di adozione in cerca del suo spazio nel mondo.
Un film che commuove e che fa riflettere, ma che è soprattutto una chiave per non dimenticare

giovedì 9 febbraio 2012

Susanna Tamaro incontra gli studenti


di Olga Sanese

Ieri, 8 febbraio, Susanna Tamaro ha risposto alle domande degli studenti del Liceo Dalmazia di Roma che hanno letto il suo ultimo romanzo intitolato “Per sempre”. Matteo, il protagonista del romanzo (e forse alter-ego dell’autrice) alla stessa domanda "Esiste il per sempre?" – posta nel libro - risponde: “Esiste solo il per sempre”, dimostrando che nulla di ciò che si perde (nel caso di Matteo, la moglie e i figli, a causa di un incidente stradale) appartiene a qualcos’altro che non sia l’eternità, motore immobile del tempo umano, origine e destino di tutto e di tutti.
 Nel suo ultimo capolavoro l’autrice triestina va dritta all’essenziale che, come diceva il Piccolo Principe, “è invisibile agli occhi”. Per questo nel modo di vivere quotidiano l’umanità sembra a tratti cieca di fronte all’evidenza della realtà ed è proprio per questo che la scrittrice mostra sotto il profilo del padre di Matteo (cieco fisicamente ma con una notevole “vista interiore”) e descrivendo la natura, altro grande “personaggio” del romanzo: questa “non sopporta i vuoti e riempie ogni angolo che l’uomo abbandona di erbe selvatiche, di rovi spinosi, di ortiche infestanti (…) La natura è la creazione alla quale l’uomo collabora. E appena non lo fa, sottovalutando la presenza del male - le vipere, le spine, i rovi che strisciano e si aggrovigliano- queste  divorano tutto” (S.T.).

Da ciò emerge quell’impronta panteistica di Susanna Tamaro, che per il suo protagonista, Matteo, si è “ispirata a tanti nuovi eremiti che hanno scelto di vivere nelle montagne dell’Appennino” – lei inclusa – “persone che adesso in tanti, magari di domenica, vanno a trovare alla ricerca di un dialogo autentico sulle cose che contano. È una scelta di rinuncia alla civiltà e anche alla velocità”. Esemplare a tal proposito è il dialogo tra Matteo e una giornalista (emblema del pensiero relativista corrente) che va ad indagare il suo modo di vivere fuori dal comune; durante quell’intervista viene dimostrato che l’estrema libertà del non credere in nulla sia peggiore dell’assolutismo di chi crede di avere la verità in tasca. Per la Tamaro, invece, la verità non proviene da una auctoritas (a tal proposito si veda il colloquio tra Matteo e un giovane sacerdote all’indomani dell’incidente), ma è continua ricerca, è la scoperta del rapporto che lega l’uomo (essere così misterioso) alla natura e al cosmo. Una “corrispondenza d’amorosi sensi” – direbbe il materialista Foscolo - che lega le creature al loro Creatore e che emerge anche nel toccante racconto del bambino down.

Ma a questa conclusione Matteo giunge solo dopo quell’odissea di eventi che è la vita stessa. L’infanzia trascorsa a contatto con la terra dei nonni, il racconto del matrimonio dei suoi genitori (il padre ricorda l’ambiente natale della scrittrice stessa), le prime domande di senso – poste con estrema perspicacia - all’età del catechismo; poi l’“autosospensione” durante gli studi di medicina e il sovraccarico di lavoro. Al culmine di tutto c’è lei, Nora, l’amata che riempie di vita le sue giornate, che in ogni cosa che fa scova la poesia, in ogni atto la bellezza, in ogni meditazione mattutina il dialogo con il Mistero. Poi, d’un tratto, quella luce di spegne ed ancora più misterioso si presenta il suo tentato suicidio: perché una donna così appassionata del profumo della vita, madre di un bambino e in attesa di un altro, non ha tirato il freno in quella curva? Questa domanda rimbomba nelle orecchie del protagonista per tutto il romanzo e “spadroneggia” su di lui, inducendolo a bere e a cambiare donne nell’illusione di superare il doloroso passato. Ma poi, alla fine, del romanzo sarà di nuovo giorno…

La narrazione è tutta in prima persona. È Matteo cresciuto ed eremita che racconta la sua storia, non in modo cronologico ma per associazione di idee e di ricordi. Il lettore, pian piano, viene a conoscere la sua storia e “simpatizza” (nel senso greco del termine) con il protagonista. Il linguaggio è metaforico e lascia trasparire la formazione cinematografica dell’autrice che, anche in questo romanzo, esorta il lettore ad andare là “dove ti porta il cuore”.

martedì 7 febbraio 2012

Come conciliare otium e negotium? Risposta a G(igante) Vittadini

di Olga Sanese pubblicato su "Ilsussidiario.net" del 28/1/2012


Ho letto con interesse l’intervento di G. Vittadini all’ultima Convention Diesse, pubblicato recentemente dal Sussidiario, tanto da volerne sottolineare qualche punto in particolare.
Ispirata dal metodo di Coluccio Salutati, vorrei parlare dell’articolo del Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà iniziando, come lui, dal significato della parola “crisi”. Tuttavia non mi rifarò alla radice greca bensì a quella cinese. È significativo, infatti, che in questa lingua venga usato lo stesso ideogramma per indicare sia la parola “crisi” che il vocabolo “opportunità”. È in questi “termini”, infatti, che vorrei inquadrare la riflessione sulla figura dell’insegnante di oggi; un “artigiano” della scuola che offre una opportunità educativa essenziale a tal punto che non può permettersi di andare in crisi, come l’economia.
Infatti il docente di oggi, pur non essendo un “funzionario”, è chiamato ad esercitare un’importantissima funzione nella vita di un adolescente: essere veramente un “maestro”. Perché se un ragazzo non scopre a scuola la bellezza della vita (comprese le sue difficoltà), non sarà certo la TV ad accendergli la giornata.
 E allora come ci si appassiona alla conoscenza? Risponde il Prof. Cittadini: “educando al desiderio” che, “per essere vero, non deve far fuori nulla di ciò che razionalmente esiste”: la realtà. E come si appaga questo desiderio di sapere? Innanzitutto dando qualche risposta attraverso l’ “esempio degli antiquiii”, come direbbe Machiavelli, cioè facendo amicizia con (o, per usare termini facebookiani “chiedendo l’amicizia a”) coloro che prima di noi si sono appassionati allo studio di ciò che ci circonda e che hanno provato a ricercare un senso. Poi, per educare il desiderio, bisogna passare, per esempio, attraverso l’humanitas, quel connotato che, facendoci essere meno “bruti”, ci invita a “seguir virtute e conoscenza”; bisogna incontrare Galileo che ha sperimentato come le leggi matematiche e fisiche non siano scritte nei libri di scuola prima che nella natura. E si potrebbe andare avanti all’infinito nel citare tutte le esperienze che la storia dell’umanità ha fatto per farci ritrovare ora davanti ad un pc.
Ad ogni modo concordo con Vittadini anche quando dice che l’insegnante deve “guardare al fine” (direbbe Machiavelli) quando spiega, pur partendo da quel “particulare” che tanto piaceva a Guicciardini.

Ma se la scuola deve stimolare domande e dare qualche risposta (e fare qualche proposta) “non può essere onnicomprensiva” (G.V.) né deve organizzare il tempo libero  dei ragazzi “attraverso attività di ogni sorta. Organizzare la vita a un ragazzo significa soffocarlo” e soprattutto  non lo “sfida, perché non crede nella (loro) libertà”. E si può dire di più: nel tempo libero i ragazzi trovano la loro vocazione. Infatti è  proprio disponendo di “vacanze” (nel senso latino del termine) che i giovanissimi, usando la libertà in attività che corrispondono alla loro personalità,  scoprono cosa vogliono fare da grandi.

Inoltre, riguardo al tema “Educazione come istruzione”, sembra che l’ideatore della riforma di Berlinguer non sia lo stesso Umberto Eco che, su L’Espresso del 25/11/2011, ha scritto: “Steve Jobs è diventato famoso non perchè ha inventato oggetti (hardware) ma perchè ha creato nuovi programmi (software). Questo spiega che anche nel mondo delle tecnologie l'avvenire è di chi sappia ragionare e chi compie degli studi classici avrà una mente molto più allenata per farlo”. E’ quello che Vittadini, convinto di smentirlo,  esprime con queste parole:  “oggi l’attività produttiva non richiede solamente persone preparate, capaci e con conoscenze specifiche, ma persone capaci di cambiare, che sappiano adattarsi.” Addirittura, nei concorsi pubblici per dirigenti, non si guarderà più al titolo di studio ma alle capacità e alla professionalità acquisite dalla persona nel corso della sua vita (Corriere della Sera del 23/1).


Vorrei concludere allora spendendo qualche parola su “uno dei maggiori limiti che vive la scuola: la divisione tra cultura umanistica e cultura tecnica”. È quello che i latini chiamavano rispettivamente  “otium” e “negotium” e della cui aspirata fusione nella scuola odierna ho già detto su queste colonne il 12/8/2011  nell’articolo intitolato “Quella lezione del passato per capire a che servono gli insegnanti”.  Cosa può unire “otium e nogotium” oggi per far sì che scuole tecniche e licei non si facciano la guerra per le iscrizioni? Una risposta potrebbe essere: la visione cristiana del lavoro che ho imparato guardando le formelle del campanile di Giotto e ascoltando la spiegazione che ne ha fatto una prof.ssa di Storia dell’arte di un liceo toscano. Da lì si evince che, se il lavoro non è solo per gli schiavi, come sostenevano gli antichi, ma è per tutti (perchè ognuno è chiamato a dare il suo contributo e il suo talento alla società che lo circonda) bisogna innanzitutto che la scuola prepari ad essere uomini, e non servi.

vocabolario anti-casta (dalla Q alla Z)

di Olga Sanese pubblicato su PAGINE di dicembre 2011

Q
Qualunquisti, Qualunquemente, (la)Qualunque Cetto
Movimento in voga dagli anni Settanta. Qualunquisti si sentivano tutti coloro che non andavano a votare perché si sentivano spersonalizzati dalla politica che rendeva tutti uguali, persone qualunque, senza un volto e soprattutto privi di alcuna possibilità di mandare a casa i “tronisti” di Montecitorio.
Tuttavia un uomo qualunque, che di cognome fa La Qualunque (nomen – omen), riesce persino a vincere le elezioni nel film “Qualunquemente” (gennaio 2011) interpretato da Antonio Albanese, imprenditore e leader del Partitu du pilu. Figura immorale, indecente e ignorante, fa dei luoghi comuni il suo programma elettorale, al suon di slogan come: “I have no dream but I like u puli; basta con la giustizia!, un impegno concreto: cchiù pilu pe’ tutti; attivismo politico orizzontale e verticale; sotto una quarta di reggiseno non è vera passione politica, basta con la lotta alla povertà e alla criminalità…” A ciò si aggiungano un comizio in chiesa, l'offerta di ragazze seminude come fossero caramelle scartate, l'incarceramento del figlio Melo per salvarsi dalla prigione, colate di cemento sulla spiaggia, fogne che scaricano in mare.  Qualunquemente, parola che fa il verso al noto “serenamente, pacatamente” veltroniano, ha portato in scena in modo brutale una certa politica odierna,  quella dei pregiudicati e delle “assessore” scelte in base al fisico mozzafiato che  da sempre gli anti-casta vogliono mandare a casa.

R
Rottamatori
Seguaci di Matteo Renzi (Sindaco di Firenze) e Pippo Civati (Consigliere lombardo), rampanti trentenni del PD che il 28 ottobre – strana data per un movimento di sinistra – di un anno fa riunirono un nutrito gruppo di “Rottamatori” alla stazione Leopolda di Firenze con lo scopo di azzerare la vecchia classe dirigente del loro stesso partito. E quest’anno la rottamazione si ripete anche se contemporaneamente Bersani organizza un altro evento del Pd. Non solo. Nella nuova edizione del meeting fiorentino mancherà lo stesso co-fondatore del “Big-Bang” dell’antipolitica,  Civati, che si è staccato da “Renzi il Magnifico” (cit. Il fatto quotidiano) il 29 agosto scorso, quando ha criticato il Sindaco di Firenze per l’attacco alla Cgil, il plauso a Marchionne, la freddezza sui quesiti referendari e il famoso incontro ad Arcore (quartiere di elezione proprio di Pippo!).  Quindi il popolo rottamatore di Civati,  ormai una corrente della corrente, organizzerà un incontro di piazza in Emilia per fare le sue cinque proposte: primarie, questione morale, patrimoniale ragionata, legge contro il consumo del suolo, riforma delle pensioni. Insomma già strizza l’occhio all’Italia dei Valori e ai vendoliani.

S
SALVIAMO LA POLITICA
Salvagenti ai muri di tutta Roma senza che il Tevere abbia straripato. È l’idea del Consigliere comunale di Roma Capitale (PDL) Fabrizio Santori che, sentendosi sul set di BayWatch, vuole lanciare un ultimo appiglio alla politica. “E' inutile nasconderlo: è un momento difficile per il Partito, per il Paese, per noi Cittadini ed eletti. E’ quanto mai necessario, quindi, essere uniti, operare insieme per salvare la Politica: quella con la P maiuscola.”  Con queste parole invita i romani a lavorare con il suo gruppo “perché ad abbandonare siano invece quelle solite “facce”, quelle di bronzo di chi si è approfittato degli ideali e della buona fede, delle speranze, dei sogni, delle aspirazioni di chi vuole realizzare una società più onesta. Una società senza privilegi e raccomandazioni, fondata sul merito e solidale, ma senza sconti per i parassiti e per i furbi. Riforme attese  non sono state fatte, a cominciare da quella sulla giustizia, non si sono abolite le Province, non si è tagliato il numero dei parlamentari, non si sono ridotti gli sprechi della politica, non si è colpito abbastanza duro contro l’evasione fiscale, non si sono prese misure severe contro l’invasione degli stranieri e dei nomadi irregolari. Abbiamo assistito invece alla passerella dei soliti raccomandati inetti e sfrontati, ignoranti, capaci solo di fare il proprio interesse e conservare i propri privilegi”.
Un linguaggio tipicamente anti-politico in cui ricorrono tutti i termini e “topoì” della letteratura anti-casta.
Inutile dire che la conclusione è degna di una televendita: “Cerchiamo Italiani Coraggiosi, Capaci, Positivi, Determinati, Onesti, Ottimisti, Sognatori, Generosi, Liberi, Appassionati. Iscriviti anche Tu!!”



S
Se non ora quando?
Costola femminile dei movimenti anti-casta, organizzata da comitati autonomi e supportata dai Movimenti Viola (vedi sotto), nata all’indomani del Ruby-gate e culminata con la manifestazione del 13 febbraio scorso in Piazza del Popolo a Roma e in altre 200 piazze italiane. In testa al movimento ci sono il Direttore de “L’Unità” Concita De Gregorio e la regista Comencini.
Il loro slogan potrebbe essere Tremate, tremate le femministe son tornate perché, in fondo, di questo si tratta. Una vera “donna incendiaria”, Lucetta Scaraffia, infatti, le ha bacchettate dalla culla affermando che nel ’68 erano libertine e ora si lamentano di come hanno dis-educato le ragazzine di oggi.

T
Tav (no) Costola dei no-global nata all’indomani del progetto della ferrovia ad alta velocità tra  Torino a Lione che passa per la Val di Susa. Appostati lì, con spranghe e scudi “non violenti”, nonostante l’inizio dei lavori, sono contrari al deturpamento dell’ambiente in cambio degli interessi economici del loro stesso territorio e dell’Italia tutta. Sono gli stessi che protestarono a Vicenza contro la base Nato (“NonDalMolin”) nel 2007.

U ?

VIOLA (popolo): gruppo nato in occasione della manifestazione politica di massa “No Berlusconi Day” tenuta il 5 dicembre 2009 a Roma per chiedere le dimissioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Fiero di essere libero e lontano da qualunque partito, il popolo Viola organizzò un dibattito con Vendola (SEL) schierandosi inevitabilmente. Prestissimo si è diviso in Rete Viola eResistenza viola”. Il loro giornale è “Lettera viola”, le inziative che li hanno resi pseudo-famosi sono: Libera rete in libero stato, Roma (23 dicembre 2009; Sit-in in difesa della Costituzione in diverse città italiane (30 gennaio 2010); Battiquorum (giugno 2011) sui recenti referendum abrogativi; Facciamo Piazza Pulita! (10-11 settembre 2011), manifestazione contro i privilegi della classe dirigente e contro i provvedimenti socio-economici presi dal Governo Berlusconi IV.  I loro amici più noti sono San Precario, la conoscenza rende liberi, Andrea Camilleri, la Costituzione, Margherita Hack, Micromega e Paolo Flores d'Arcais.
Da notare la pessima scelta del viola, colore funereo: forse indica che la loro morte è vicina.

Z
Zapateristi (italiani)

Fan dell’ex leader socialista della Spagna contemporanea che ha portato la Penisola Iberica a un boom economico improvviso quanto flebile. Noto per le sue simpatie nei confronti delle coppie gay che ha letteralmente eguagliato per costituzione alla famiglie basate sul matrimonio. Due volte premier, è stato recentemente costretto alle dimissioni per non aver saputo affrontare la crisi economica e su pressione degli indignados. In Italia Sabina Guzzanti gli ha dedicato persino un film “Viva Zapatero” ( 2005), ritrasmesso ad ottobre su La7. Per non far “riprodurre” la classe politica di cui vorrebbero l’estinzione sono dei grandissimi fautori delle coppie di fatto.

OPEN DAY: SCUOLE APERTE A NUOVE ISCRIZIONI


di Olga Sanese

Nonostante il freddo le scuole aprono i battenti ai ragazzi delle medie inferiori che devono scegliere l’istituto superiore da frequentare l’anno prossimo, dato che le iscrizioni sono previste a fine gennaio.
Il bello degli Open day consiste nel fatto che sono gli alunni interni a darsi da fare per accogliere nel migliore dei modi ragazzi e genitori che fanno capolino nella loro scuola; in alcuni casi intervengono anche ex alunni proprio per raccontare come la loro storia educativa li abbia portati a raggiungere questa o quella occupazione nella società attuale.

Siamo andati a vedere come si sta organizzando il Liceo salesiano di Via Dalmazia per l’Open day del 15 dicembre. Le figlie di S. Maria Ausiliatrice che reggono la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado sono note a Roma per il loro progetto didattico ed educativo, frutto del rapporto dialogico tra scuola e famiglie. “Abbiamo a cuore la crescita integrale di ciascun ragazzo secondo il sistema educativo di don Bosco e madre Mazzarello” è la cifra che rappresenta il carisma dei tre indirizzi superiori (classico, scientifico e linguistico) che coabitano in via Dalmazia.
La Scuola Secondaria di Secondo Grado “Maria Ausiliatrice”, infatti, conformemente agli orientamenti ministeriali si pone come finalità “il processo di crescita e di valorizzazione della persona umana, reso possibile dall’interiorizzazione  personale e dall’elaborazione critica di conoscenze, abilità, comportamenti” attraverso quattro macro aree di riferimento: senso di identita’ e giusto uso della liberta’;  progetto di vita e orientamento;  convivenza civile e assi culturali, nella convinzione che “L’educazione è cosa di cuore; le chiavi del cuore le ha solo Dio” (don Bosco).
Il liceo Dalmazia, situato nel cuore di Corso Trieste, è l’unica scuola che si apre con unBuongiorno”, cioè con un incontro di 15 minuti (dalle 8,10 alle 8,25) in teatro dedicato a una riflessione su un tema formativo, il miglior modo possibile per iniziare la giornata di studenti e insegnanti. Questo momento ha una funzione simile a quel “Buongiorno” che il Cardinal Ravasi scrive sulla prima pagina di Avvenire e che spalanca l’anima ad affrontare la giornata. Peculiarità di questa scuola sono i laboratori delle ultime due ore del giovedì in cui i ragazzi possono scegliere quale materia approfondire; oppure possono seguire lezioni di giornalismo - “Wow” è il nome della bellissima rivista trimestrale prodotta dagli alunni della scuola -, di economia, di lingua o anche attività di volontariato. Nel pomeriggio, invece, è possibile partecipare al corso per la patente europea informatica (corso ecdl base, parte 1^ e parte 2^ ) o al progetto lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo e anche giapponese) in preparazione  agli esami di certificazione. Inoltre, accanto al corso di musica (chitarra classica, flauto traverso, batteria, musica di insieme) e all’attivita’ sportiva giovanile salesiana (ginnastica artistica, pallavolo, pallacanestro), molto interessante è il corso di “turismo giovanile e sociale” teso alla formazione di  animatori turistici, proprio perchè le esperienze di animazione costituiscono una partecipazione corresponsabile all’attuazione del progetto educativo. Degna di nota è senz’altro la “simulazione ONU”, attività che porterà i ragazzi a New York per discutere le proposte di politica internazionale da loro approfondite durante appositi incontri pomeridiani. Lo scorso mese, invece, gli studenti del triennio hanno organizzato alcuni eventi – basti pensare al “talent show” – in cui hanno reperito fondi per sostenere le missioni. Concludendo è evidente come il piano dell’offerta formativa dell’Istituto S. Maria Ausiliatrice di Via Dalmazia a Roma ha come fine quello di educare i futuri cittadini del mondo facendo di loro costruttori di ponti di solidarietà, proprio ciò di cui la nostra società ha più bisogno.

giovedì 2 febbraio 2012

Cara Fiat, costruiamo ciò che siamo

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 24/1/2011

Dal 22 gennaio viene trasmessa una delle più belle pubblicità che si siano mai vista nella storia della tv italiana: lo spot della Fiat Panda, definita “una cosa ben fatta”. Fino alla fine non si capisce che è la pubblicità di una macchina: sembra piuttosto il miglior discorso che un Capo di Stato possa fare alla sua nazione in tempi di crisi.

Si tratta di 90 secondi (anche un po’ commoventi) che rappresentano “l’Italia che siamo”, quella di chi la mattina si sveglia e mette il proprio talento al servizio di tutti e del bene comune, facendo il proprio lavoro con passione e creatività; quell’Italia che è innanzitutto una famiglia “allargata” dalla presenza dei nonni che passano il testimoni ai nipoti attraverso la trasmissione del sapere e dei valori; quell’Italia che è orgogliosa di essere italiana, nonostante i giudizi e le immagini stereotipate che vengono dall’estero.
La pubblicità inizia con la domanda “Quante Italie conosci? E quale vorresti essere?”, mentre scorrono sullo schermo le immagini della costruzione della Panda (dal fabbro al designer fino alle prove di tenuta della strada e degli urti) inframmezzate da scene tratte dalla vita quotidiana (il caffè, il divano davanti alla tv, una mamma che prepara i figli che vanno a scuola). Compare persino un bambino avvolto nel tricolore sopra una scalinata in riferimento ai 150 anni dell’unità d’italia appena festeggiati. L’ambientazione è Napoli dove sorge lo stabilimento di Somigliano e le inquadrature sono tutte per gli operai della Fiat e per la città (il Vesuvio, i panni stesi nei violetti, Pulcinella, il piatto di spaghetti…)
Alla fine la rassicurante voce narrante che recita il monologo sulle note di una meravigliosa colonna sonora recita così: “le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo”. Ma è vero soprattutto il contrario, cioè che mettiamo ciò che siamo nelle cose che costruiamo. Infatti l’uomo, indipendentemente se sia muratore, artigiano, artista o ingegnere, collabora nella “costruzione” della bellezza che ci circonda a partire da quel desiderio di grandezza che è inscritto nella sua natura. 

Insomma, per fronteggiare la crisi, bisogna partire da ciò che sappiamo fare: solo così potremmo spiccare il volo verso una nuova era. E tutto sarebbe più facile se la nuova Panda avesse anche le ali…