martedì 27 dicembre 2011

Appassionati del domani


di Olga Sanese pubblicato su l'Ottimista del 21/12/2011

Il movimento degli studenti cattolici ha tenuto il suo XVIII convegno nazionale a Viterbo dal 1 al 4 dicembre. I ragazzi di moltissimi licei italiani si sono riuniti per affermare – attraverso le parole del coordinatore del Nord Italia, Renato La vezzi - che oggi c’è bisogno del coraggio di impegnarsi perché non è più tempo di delegare ad altri le scelte della loro vita; e per “altri” intende quegli adulti che hanno provocato tanti problemi e che ora non sanno risolvere, come ha detto il Coordinatore nazionale Martino Merigo.
La prima giornata è stata aperta da don Maurizio Viviani che ha posto l’attenzione sul fatto che i giovani d’oggi non sono solo il futuro, ma soprattutto il presente e questo deve essere vissuto facendo memoria del passato. D’altronde, come diceva Pablo Picasso:  “ci vuole molto tempo per diventare giovani”. Ha fatto poi scalpore la serata in compagnia del collaboratore - fotografo di Giovanni Paolo II., Arturo Mari, l’uomo che ha vissuto accanto a sei Papi dalla seconda metà del XX secolo sino ai nostri giorni, facendo scatti “ad un millimetro dallo Spirito Santo”.
Ma il convegno è stato anche un incontro di fede per molti dei partecipanti. Secondo don Davide Vicentini, infatti, “la difficoltà di tanti giovani di incontrare Dio non sta nell’impossibilità di vederlo, ma nel fatto che non si è consapevoli dei propri desideri. Il cambiamento è possibile solo se abbiamo il coraggio di toglierci le maschere che gli altri ci propinano e di insistere nella ricerca del nostro essere uomini”. E la fede, soprattutto quando si è giovani, passa attraverso le persone. Anche per questo c’è stata la testimonianza di Claudio Gentili, direttore di Education Confindustria e della rivista “La Società” ,  il quale ha raccontato di come da giovane marxista, nel  1982 ha incontrato il Papa Giovanni Paolo II. Dopo questo avvenimento ha avviato un cammino di catechesi per gli scout del Masci affinché potessero capire – come aveva fatto lui - che “le opere senza il cuore non sono sufficienti  a salvare l’uomo”. Tuttora è impegnato con la moglie anche nell’ambito della consulenza familiare attraverso il centro “Betania ”.
Anche il Ministro dell’Istruzione Profumo è intervenuto telefonicamente al convegno sottolineando l’importanza di creare alcune Tavole Rotonde a cui partecipino tutte le associazione studentesche, la collaborazione con gli studenti stranieri e un adeguato orientamento.  Ma l’apice dell’incontro nazionale dell’MSC è stata la redazione, da parte delle scuole che vi hanno partecipato, del documento “La Scuola che vorrei” presentato poi al convegno della Fidae (Federazioni Istituti di attività educative).
L’ultima giornata è stata tutta all’insegna del rapporto tra Scienza e Fede attraverso l’intervento del prof. Umberto Fasol, Preside del liceo alle Stimate di Verona, che ha trattato della presenza di Dio nella storia della natura; infatti, come diceva Keplero: “studiare i pianeti è come studiare Dio”. Così i ragazzi sono rimasti estasiati di fronte alla spiegazione del Dna, definito “linguaggio di Dio” perché contiene una quantità di informazioni tale da occupare 3.2 giga. “Se non c’è lì la firma di Dio, dove allora?”.
Infine è toccato a Mons. Samuele Sangalli, professore presso la Pontificia Università Gregoriana, di analizzare i risultati del Censis, secondo cui la società italiana “è fragile, isolata ed eterodiretta”. Consapevole del fatto che essa é caratterizzata da un individualismo dilagante e corrosivo tale da cancellare l’azione collettiva e che nessuno attende più la salvezza dall’esterno, la collettività è importante, così come la vita di relazioni. “Noi siamo i nostri legami, quelli che ci hanno portato al mondo, quelli che danno colore alla nostra vita. Ma chi ci educa alla vita di relazioni?”. Occorrono perciò bravi maestri . Solo così il passato diventa presente e il presente futuro. E se i ragazzi si impegnano sin da subito nella costruzione del bene comune, il loro futuro farà storia.

L’educazione salesiana: 150 anni di buoni cristiani e onesti cittadini:



di Olga Sanese pubblicato su ZENIT del 17/12/2011

Nonostante la crisi, la famiglia salesiana ha voluto dare il suo contributo ai festeggiamenti per i 150 anni dall’Unità del nostro Paese attraverso un seminario di studio tenuto il 26 ottobre scorso presso  la
Sala della Promoteca del Comune di Roma, organizzato dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium e dall’Istituto Storico Salesiano.
L'incontro intitolato “Fare gli italiani con l’educazione. Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice da 150 anni accanto ai giovani”, prende spunto da due libri recentemente pubblicati: “Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione. Documentazione e saggi”, a cura di Grazia Loparco e Maria Teresa Spiga (Roma, LAS 2011) e “Salesiani di Don Bosco in Italia. 150 anni di educazione” a cura di Francesco Motto (Roma, LAS 2011).
Il Convegno è stato rivolto “alle comunità educanti, a quanti lavorano nelle istituzioni civili ed ecclesiali con attenzione all’educazione, a studiosi e giornalisti, nella consapevolezza che è necessario operare in rete per favorire realmente l’interesse per i giovani” e ha visto come protagonisti del dibattito il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, il professor Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, la professoressa Marianna Pacucci, e gli interventi di madre Yvonne Reungoat, superiora generale, e di don Pierfausto Frisoli, consigliere regionale d’Italia, oltre che delle autorità istituzionali. Ha moderato l’incontro il vice direttore dell’ “Osservatore Romano”,  dottor Carlo Di Cicco.

Il fondatore dell’Opera Salesiana, don Bosco, è stata una figura cruciale nella storia dei rapporti tra Chiesa e Stato italiano; egli non si è mai rassegnato alla rottura delle relazioni fra il Papa e l’Italia, anzi, si è adoperato a rimuovere gli ostacoli perché la nuova nazione sorgesse, nel segno della pace religiosa, su basi condivise. Con la sua opera educativa e popolare ebbe una parte nel Risorgimento morale e spirituale degli italiani. Ma se la sua azione è nota, lo è meno quella dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sorti gli uni a Torino alla vigilia dell’unità d’Italia e le altre a Mornese (Alessandria) nel 1872.
Il convegno si è posto come fine quello di “suscitare la riflessione sul contributo educativo di migliaia di educatori che in 150 anni hanno raggiunto moltissimi ragazzi e ragazze di tutte le regioni d’Italia, offrendo una formazione che li preparasse alla vita e al contempo ne facesse cittadini onesti e cristiani convinti”.
I Salesiani hanno cercato, con le risorse disponibili, di “fare il bene che potevano e come potevano”, di costruire di ogni italiano un uomo maturo, un lavoratore capace, un cittadino onesto, un buon cristiano attraverso l’educazione della gioventù, lo sviluppo dell’istruzione professionale, la diffusione della cultura di base, l’assistenza religiosa alle popolazioni. Si è inserito operativamente nella vita dell’Italia nuova, specialmente in settori per i quali lo Stato non aveva sufficienti risorse da spendere; ha evidenziato come si possano realizzare risultati estremamente positivi nell’ambito della cooperazione tra pubblico e privato e in un’ottica di solidarietà e sussidiarietà.
La loro presenza è attiva in 131 Paesi del mondo e conta 1500 opere in tutta Italia. A Roma spiccano l’istituto S. Maria Ausiliatrice di Via Dalmazia, l’Istituto S. Maria Mazzarello di Piazza S. Maria Ausiliatrice, i San Giovanni Bosco di Viale P. Togliatti, Via Appia Nuova e Piazza Decemviri; infine il Sacro Cuore di Via Morrone.

martedì 20 dicembre 2011

Dalla cioccolata di Modica all’involtino primavera cinese

di Olga Sanese pubblicato su Mag Magazine di ottobre/novembre 2011 

Giulia Iemmolo è nata a Modica (Ragusa) nell’85. Si è laureata nel 2009 in Lingua e cultura cinese presso la Sapienza di Roma. Nel 2010 ha fatto un master in “Global Management: società ed istituzioni della Cina contemporanea”  con una tesina sullo sviluppo della Responsabilità Sociale d’Impresa in Cina, RSI). Dal 2010 è a Pechino dove collabora con il China Desk dello Studio di consulenza tributaria e legale Pirola Pennuto Zei & Associati, dove fornisce servizi in materia di RSI ad aziende italiane e straniere che operano in Cina.

Dott.ssa Iemmolo, perché ha scelto proprio la Cina?
Semplicemente perché ho seguito l’irrazionale necessità di provare a capire qualcosa che era profondamente diverso da me. Prima di intraprendere gli studi orientali la Cina era, nel mio immaginario, irraggiungibile ed incomprensibile: il luogo ideale per provare a me stessa di essere diversa dagli altri, di essere capace di imparare una lingua che in pochi riuscivano a conoscere.

Di cosa si occupa esattamente?
Di responsabilità sociale delle imprese, intesa come componente dell’eccellenza imprenditoriale e parte integrante della strategia delle aziende. Ogni impresa, infatti, può individuare le modalità d’intervento più corrette e coerenti con la propria identità e raggiungere un equilibrio ottimale tra il profitto ed una maggiore attenzione alla trasparenza, alla qualità e allo sviluppo sostenibile. Per questo il mio Studio ha avviato una collaborazione con Officina Etica Consulting (attraverso la Dott.ssa Paola Gennari Santori), società di consulenza nel settore della responsabilità sociale e della filantropia, dando vita alla “Sustainability Unit”.
In Cina siamo i primi italiani ad operare in questo settore e seguiamo le imprese che operano in Cina nell’iter di sviluppo e di implementazione di policy di responsabilità sociale, nella predisposizione del loro Codice Etico, nelle attività di reporting e accountability (report sociale, biliancio sociale, bilancio di sostenibilità), nelle attività di engagement con i vari stakeholders. Inoltre siamo molto attivi nella diffusione di una cultura delle responsabilità sociale attraverso l’organizzazione di training, corsi di formazione ed incontri con gli imprenditori italiani in Cina.

Cosa significa oggi vivere in Cina?
Significa vivere in una sorta di gioco d’azzardo: non si sa chi sarà il vincitore ma se non si gioca bene la partita, si rischia di perdere tutto, sia sul piano del business che su quello personale. La Cina non è più il Paese in cui venire per arricchirsi facilmente perché fa fortuna solo chi dimostra di avere davvero un investimento, un progetto migliore di quello di altri.
Relazionalmente, essendo questa una realtà troppo grande, facilmente si rischia di perdere se stessi, di non riuscire a ricreare una dimensione “umana” in mezzo al vortice di superficialità che domina i rapporti sociali.
Dall’altra parte, però, quasi tutti gli “expats” sono arrivati qui per sei mesi e poi sono (siamo) entrati ne  “l’1+1+1”, ovvero gli anni in cui si protrae la permanenza.

Quali analogie e differenze ci sono tra siciliani e cinesi?
Sono scettica sulla possibilità di comprendere l’essenza profonda della cultura cinese e ciò dipende dal grado di interazione che si riesce a raggiungere con questo popolo, dal capire della loro logica, dal riuscire a diventare “uno di loro”.
Durante i primi anni di studio, il travolgente ritmo di Pechino, metropoli che stava crescendo sotto i miei occhi, mi ha portato a considerare questa realtà come una sorta di paradiso dove tutto era possibile. Il costante ricambio di amicizie avrebbe soddisfatto la mia sete di conoscere culture diverse e la possibilità di iniziare una carriera di successo qui, e solo qui, era concreta.  Certo il mio spirito siculo, forte, fiero e a tratti autoritario, mi ha aiutato a sopravvivere in questa giungla in cui la fatica impiegata per raggiungere i propri obiettivi è superiore che altrove.
Le lunghe chiacchierate con i tassisti pechinesi durante le interminabili mi hanno fatto realizzare che tra la mia cultura d’origine e quella cinese esistono molti tratti comuni: l’importanza della famiglia, centro della vita di ogni persona, il rispetto nei confronti degli anziani e alcuni riti sociali come il pranzo della domenica presso i nonni. In Cina è lo stesso: in ogni casa c’è un piccolo altare consacrato agli “avi” - proprio come da mia nonna ce n’è uno che ricorda i defunti - che i più giovani devono rispettare e, poi, ricreare all’interno del loro futuro nido.
Un’ulteriore somiglianza sta nel sistema di “guangxi”, le relazioni che ciascuno intrattiene con persone che potrebbero rivelarsi “utili”. Nulla è realizzabile altrimenti, ed in Sicilia non mi sembra molto diverso, anche se “guangxi”  non è necessariamente sinonimo di corruzione, ma esprime un sistema di relazioni necessarie.

Cosa Le manca della Sicilia?
Il profumo del mare e del cibo casalingo; i raggi del sole che rendono le fatiche quotidiane più gradevoli.
Il profumo dei mandorli siciliani in fiore sovrasta tutto il resto mentre qui è difficile distinguere cosa provochi un odore. In Cina gli odori sono confusi, i colori inesistenti: il grigio domina incontrastato; le aiuole e i prati non crescono ma vengono appositamente piantati per la durata di una stagione per cedere il passo ai sassi nei periodi più aridi. È la magia di un Paese in cui tutto è possibile.

GROSSE E GRASSE NOVITA’ AL Geppy-Day

di Olga Sanese pubblicato su La fonte 2004 di novembre 2011
L’immancabile G-day,  il preserale de La7, in onda dal lunedì al venerdì dalle 19,30 al Tg di Mentana delle 20,00.
Il varietà che sta sulla notizia del giorno riparte con tante novità. A comiciare dalle risate: non sono più quelle finte usate fino a giugno – forse costavano troppo!? - , ma quelle del “vero” pubblico di ragazzi che sta davanti alla conduttrice sarda. Rinnovato e ingrandito, dunque, anche lo studio: si allarga lo schermo della “gran domanda”, i titoli scorrono in basso  insieme alle principali battute ma resta piccolo il frigo in cui Geppy mette a rinfrescare l’ospite della puntata per far lamentare chi c’è dentro e dare lo spunto per qualche battuta. Anche il target degli ospiti è leggermente cambiato: l’anno scorso erano perlopiù altri conduttori de La7 che approfittavano delle domande di Geppy per fare pubblicità ai loro programmi; quest’anno è intervenuto persino Scilipoti!
Dopo la lettura della biografia del personaggio racchiusa in un post-it attaccato al frigorifero (abitudine delle migliori famiglie italiane o comunque delle case di studenti), si passa alla “gran domanda” del televoto che dà il via al sondaggio (tecnica con cui Geppy si è fatta strada sin dal programma “Victor Victoria”). Segue la lettura della notizia della giornata a cura del barbuto Matteo Bordone in “posa Gruber” sulla scrivania – vittima preferita della Geppy nazionale che lo assale con una miriade di battute. Poi i nuovi schetch: “l’Opinione rotante”, “Sfogati in 7 secondi” e “Ce lo dicono i mevcati”. Nella prima gli intervistati sono tenuti a rispondere alla domanda dell’inviato di Geppy in strada e a cambiare la propria opinione a seconda del canale televisivo servito dal giornalista - costui fa credere, infatti, di dover vendere lo stesso servizio a più reti, un po’ sulla scia di quel comico di Zelig che presentava la stessa notizia da Tg di diverse emittenti; nella seconda lo sfogo è invece a senso unico, non c’è il dialogo come quando Geppy riceve le telefonate da casa, e si solo sente la voce delle persone mentre sullo schermo compaiono le vecchie onde radio di alcuni programmi del passato. Ma in tempi di crisi e di frasi tremontiane del tipo “ce lo chiede l’Euvopa” arriva la terza novità: l’intervista alle signore del mercato di quartiere con le loro “borse”, simbolo in nome dell’economia reale, al posto degli economisti della Borsa e dei mercati finanziari. 
Comunque lo show di Geppy va alla grande, nonostante il “televisologo” Aldo Grasso sul Corriere evidenziava due punti deboli del programma: la fascia oraria (più adatta per i quiz, mentre lo show di Geppy starebbe meglio in seconda serata sulla scia di “Parla con me”) e il fatto che la conduttrice sia più intelligente dei suoi ospiti che così rischiano di sfigurare. Tuttavia questi sono proprio i punti forti del programma: è ora che in TV si moltiplichino programmi satirici anche in orario pre-serale perché non c’è nulla di improprio nel ridere mentre si prepara la cena! Anche Mentana è contento e sponsorizza parecchio G-Day…anche mettendo a repentaglio il suo TG, dato che negli ultimi secondi del suo show Geppy è così caparbia da soffiargli il posto con i “suoi” titoli, anticipando e parodiando proprio quelli del TG che verrà..

venerdì 16 dicembre 2011

CRISI: bisogna che tutto cambi… se vogliamo che tutto rimanga com’ è

di Olga Sanese pubblicato su La Fonte 2004

I momenti di crisi sono intrinseci ai periodi storici, permettono all’uomo di ingegnarsi,  progredire e, soprattutto – come diceva Hannah Arendt - di “tornare alle domande” di senso. Anche Steve Jobs, se non fosse andato in crisi quando venne respinto dalla Apple, non avrebbe inventato tutti quei marchingegni che gli permisero di rimettere piede nella sua azienda e di diventare il “principe” dell’informatica. E un altro Principe, quello immaginato da Machiavelli già 500 anni fa, metteva in guardia dai periodi di crisi: “La fortuna dimostra tutta la sua potenza dove la virtù non è preparata a resisterle e dove sa che non sono stati costruiti argini per contrastarla. E se voi considererete l’Italia, che è la sede di tutti i rivolgimenti politici, vedrete che è una campagna senza argini e senza riparo: perché, se fosse stata riparata da conveniente virtù come la Germania e la Francia, questa “piena” non sarebbe venuta”.
Più recentemente il giornalista Pansa, nel suo nuovo libro, “Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri” (Rizzoli, 2011), evidenzia quale sia la differenza tra i suoi genitori e i nostri: “I miei non si sono concessi alcun lusso, non hanno mai posseduto un’automobile e non sono mai andati in vacanza. Però hanno avuto sempre una certezza: tanto io che mia sorella avremmo vissuto una vita migliore della loro. Una certezza che oggi molti genitori non possiedono più. (…) Il benessere non è una conquista definitiva. E può essere perduto”. Cosa che sempre più spesso accade, trascinati da quella strana “euforia dell’effimero” che induce i più ad utilizzare i propri risparmi per vivere intensamente il presente e ad abbandonarsi a un consumismo compulsivo come ha detto S. Petrosino (Avvenire del 20/9/2011).
C’è bisogno invece di persone che non si sentono condannate alla delusione ma che vivano all’altezza dei propri desideri e che riconoscano - mossi dalla passione per l’uomo - quel qualcosa che nella realtà c’è già. In fondo “le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo” (http://www.clonline.com/). Allora, come uscire dalla crisi che stiamo vivendo? Sicuramente attraverso l’esperienza e l’esempio che molti offrono in modo “invisibile” tutti i giorni nella nostra società: Ci sono persone che non si lasciano trascinare dal flusso delle cose, ma remano controcorrente. Proprio nel mezzo di una crisi tra le più gravi della nostra storia, esistono fatti virtuosi, segno che le persone si sono rimesse in azione senza aspettare una risoluzione dei problemi dall’alto. Così, non potendo cambiare tutto e subito, hanno cominciato a cambiare i loro stili di vita, affrontando la realtà senza preclusioni e dandosi da fare senza rinnegare e dimenticare nulla” (http://www.clonline.com/), tutti tesi a “costruire il futuro accettando le sfide della realtà, rispondendo ad esse con intelligenza, creatività  e spirito di sacrificio”, richiamati al lavoro e alla solidarietà da parte del Presidente della Cei Bagnasco a Todi il 17 ottobre scorso, quando aveva detto “Nei momenti di crisi i cristiani sono chiamati in causa” anche perché “in ogni campo, non sono l’organizzazione efficiente o il coagulo di interessi materiali o ideologici che reggono gli urti della storia e degli egoismi di singoli o di parti, ma la consonanza delle anime e dei cuori, la verità e la forza degli ideali”.
Solo così si può tornare a desiderare e a sperare, cioè a vivere.

venerdì 9 dicembre 2011

“Cose che nessuno …” ha chiesto a D'Avenia

di Olga Sanese pubblicato su "Il quotidiano del Molise"



Come aveva promesso agli assidui lettori del suo blog, il prof. 2.0 Alessandro D’Avenia ha pubblicato il suo secondo romanzo. S’intitola “Cose che nessuno sa”, è edito da Mondatori e racconta la storia di un’adolescente, un Odisseo al femminile, che va alla ricerca del padre perduto. Tuttavia il giovane D’Avenia, professore, scrittore e giornalista per Avvenire e La Stampa, deve fare i conti con quei critici che non hanno digerito il suo successo e che gli pongono alcune obiezioni. Per questo l’autore ha scelto di chiarire le ragioni della sua fortuna attraverso questa intervista:

Sia nel primo romanzo (“Bianca come come il latte, rossa come il sangue”)che nel secondo  compare la figura del Professore, per nulla svilita come è spesso nella realtà, ma capace di essere un maestro di vita che apre gli occhi agli adolescenti e illumina la loro strada...non credi di dare un'immagine troppo idealizzata e lontana dalla quotidianità?

Nel secondo romanzo il professore è pieno di buchi e fragilità, e si nasconde dietro i libri. In realtà deve ancora imparare a vivere, a rischiare, ad amare veramente; mentre nel primo romanzo era una specie di Keating de L'Attimo fuggente: ha il compito di illuminare la scena e la vita priva di orizzonte del protagonista. D’altronde la letteratura si occupa delle cose come potrebbero essere, non di come sono: non è sociologia, ma nostalgia di un paradiso perduto, da riconquistare. Ho conosciuto professori come quelli che racconto: dunque esistono.

Alcuni credono che tu sappia parlare solo di adolescenti, puoi fare un esempio per dimostrare il contrario?

Basta leggere il secondo romanzo: personaggi di tutte le età, da un bambino di 5 anni alla nonna di 80.

La mia professione mi porta a conoscere questo pezzo di mondo in profondità per cui cerco di parlare di quello che conosco meglio: è la mia finestra sulla realtà. Inoltre l'adolescenza oggi non è la stessa di 20 anni fa. C'è sempre qualcosa di nuovo da interpretare, amare, scoprire.

Nel tuo terzo romanzo il tuo alter ego sarà sempre un Professore o c'è un
Alessandro nascosto che vorrebbe indossare un altro ruolo?

Cose che nessuno sa... Vedremo, sto facendo un percorso. Il primo pubblico per cui scrivo sono io. Mi lascio guidare dalla scrittura, dai personaggi che mi bussano al cuore e con i quali voglio entrare in dialogo. Senz'altro nei miei progetti ci sono personaggi molto diversi da me.

Veniamo al romanzo. un grande classico come l'Odissea alla base della storia raccontata.
Credi che per far amare i classici bisogna rimodernizzarli come fa Baricco o c'è un modo nuovo di interpretarli per come sono nati?

Credo che bisogna rispettarli per quello che sono e metterli in dialogo con il presente. Più che rimodernizzarli a me piace siano loro a modernizzare noi. Non siamo noi che leggiamo Dante, è lui che legge noi. Ci dà lui le parole per possederci, per dirci, per conoscerci. Si tratta di scovare quei tratti profondamente umani e universali che la grande letteratura ha, altrimenti non sarebbero e non diventerebbero dei classici. Chiaramente per avvicinare alla lettura i classici è necessario renderli più permeabili ai sensi dei contemporanei: ben vengano le operazioni che avvicinano senza semplificare. In questo il Baricco di Totem ha molto da dare agli insegnanti che fa venire voglia di leggere l’originale, senza sostituirlo.

martedì 6 dicembre 2011

Tutti pazzi per Orlando

Parafrasando la fiction Rai, in classe stiamo studiando l'Orlando Furioso di Ariosto, l'opera che, apparentemente noiosa e "antica" nei contenuti e nel linguaggio, ha suscitato un inaspettato interesse nei ragazzi tanto che non c'è stato nemmeno bisogno di dire che vedere i nomi di Angelica e Medoro incisi sulla corteggia degli alberi era, per Orlando, come se oggi un amico mettesse l'emoticon del cuore sulla bacheca della vostra fidanzata...
In particolare l'episodio della follia è l'emblema di come, nonstante i tanti segni di tradimento di Angelica con Medoro, l'amore renda Orlando completamente cieco davanti al quella evidenza che rifiuta di accettare così come non riesce a piegarsi a ciò che il Destino ha deciso per lui.
 La sua coscienza rimuove di essere stato tradito fino all'incontro con il pastore, con "l'altro", che è capace di sollevare i "prosciutti" dai suoi occhi e ciò indica che abbiamo bisogno degli altri per scoprire la Verità.
Così Orlando arriva alla gelosia, quell'insana passione, che ci fa credere di essere possessori dei nostri amati, invece che loro compagni di viaggio e, quindi, alla famosa "pazzia".
Sarà un altro amico, Astolfo, a farlo rinsavire, arrivando fin sulla Luna a riprendere l'ampolla contenente il senno di Orlando, segno che l'amicizia ci salva sempre. 

martedì 15 novembre 2011

Marystar se n'è andata e non torna più

Facciamo i conti… alla scuola gelminiana
di Olga Sanese pubblicato dall'editore PAGINE nel mese di ottobre 2011

Con la fine di ogni "Magistero scolastico" è d’obbligo fare un bilancio delle riforme realizzate per valutare ciò che si può ancora fare nel corso dell’anno e guardare in prospettiva al futuro. Il 2010/2011 è stato pieno di provvedimenti scolastici e, ovviamente, di polemiche; avrà aiutato sicuramente la giovinezza della Ministra, un po’ meno la scure dei tagli di Tremonti. La Gelmini infatti, da quando ha iniziato il suo Ministero, ha sempre avuto a cuore i principali problemi della scuola italiana: insegnanti sviliti e poco pagati, l’assorbimento del precariato, la valutazione del livello dei ragazzi attraverso l’Invalsi, l’allacciamento tra il mondo della scuola e quello del lavoro; il tutto attraverso una parola chiave fondamentale per la crescita qualitativa dell’istruzione: il merito. Termine che fa ancora paura alla sinistra sessantottina ma che è alla base di una vera uguaglianza sociale.  
La bocciatura con il cinque in condotta (valido strumento per dare un voto al comportamento disciplinare dei ragazzi) o l'impossibilità di essere ammessi all'esame di Stato con una sola insufficienza sono stati salutati come un mezzo necessario per ridare auctoritas alla figura del docente e per ritornare alla scuola seria e selettiva di una volta, proprio quella che è agognata da insegnanti come la scrittrice Paola Mastrocola, autrice del libro fortunatissimo “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di (non) studiare” (Guanda), fotografia della scuola italiana di oggi scattata con una disincantata lucidità ma al tempo stesso con la voglia e l’esperienza necessaria per poterla cambiare. L’odierna condizione scolastica risalgono – secondo la Prof. Mastrocola – a Don Milani e Gianni Rodari, De Mauro e Berlinguer, due coppie micidiali per la scuola del secondo Novecento che sono  passate per il fatidico (e fatale) Sessantotto. Don Milani, infatti, fu avverso al sapere letterario giudicato appannaggio dei ricchi, svalutando così il concetto di conoscenza e Gianni Rodari trasformò il sapere in gioco, eliminandone la serietà e la profondità; ma secondo tali ragionamenti tutto ciò che era difficile e noioso andava eliminato per dare spazio a ciò che aveva delle ricadute pratiche immediate. E qui si riallacciano i Ministri dell’Istruzione di sinistra che hanno deprezzato gli studi speculativi non profit (per dirla con la filosofa Nussbaum)  per far aumentare il “consumo” di quelli tecnico-pratici senza farli, tuttavia, decollare. Il colpo letale fu poi inferto - in nome di uno pseudo egualitarismo - dal “diritto al successo formativo”, tomba della scuola meritocratica e, dunque, democratica, ma figlio di quel Sessantotto che ostentava il sei politico e la sovversione della figura dell’insegnante, che voleva appiattire talenti e meriti, rei di essere vivi nelle persone in modi e quantità differenti.
Di queste idee il Ministero Gelmini ha cercato di riprendere il rilancio degli istituti professionali con l’alternanza scuola-lavoro dando dunque un incentivo a quella formazione tecnico-pratica di cui l’Italia ha bisogno ma che, puntualmente, viene sdegnata. Anche quest’anno, infatti, le iscrizioni dei quattordicenni hanno rivelato che continua la massificazione dei licei, lievemente quanto incomprensibilmente riformati.
Questi ultimi, per accogliere studenti numerosi e non sempre preparati, hanno dovuto abbassarsi di livello, anche per una dilagante disaffezione verso gli studi umanistici, dai più superficialmente considerati “inutili”. Costoro infatti ignorano che i classici insegnano un’ineguagliabile metodo di studio e uno stile di vita che i Paesi stranieri ci invidiano e che dovrebbe far parte del nostro “made in Italy”.
Ma questo è stato anche l’anno che ha introdotto le prove Invalsi, macchina valutativa del livello scolastico dei ragazzi, al biennio delle superiori. Tra le polemiche di chi li ha ideologicamente boicottati c’è da dire che la scuola ha bisogno di valutazione innanzitutto per migliorarsi: se non si misurano le conoscenze dei ragazzi come si potrà intervenire per innalzare il loro livello? E da qui è facile a passare a un altro criticato aspetto delle novità gelminiane: la valutazione dei docenti, necessaria per gli aumenti di stipendio tanto desiderati. Anche se le scuola che hanno aderito a questa prima sperimentazione si contano sulle dita di una mano, i docenti migliori sono stati finalmente premiati con una mensilità in più. È strano come si parli sempre dei nostri insegnanti come dei meno pagati d’Europa e poi quando arrivano gli incentivi non si trova nessuno che voglia aderire!
Ma anche i ragazzi hanno avuto i loro premi. Alcune scuole italiane hanno iniziato a incentivare economicamente gli studenti più bravi. Forse qui si è andati un po’ oltre il buon senso: in realtà studiare è un dovere, non un merito, visto che imparare e crescere è la “retribuzione” al “lavoro” dei ragazzi. Viceversa se l’impegno quotidiano vale solo per un interesse economico sarebbe quasi diseducativo insegnare a non fare mai “niente per niente”, anche perché, una volta cresciuti, si troveranno in un mondo che funziona all’opposto, in cui cioè chi lavora sul serio riceve uno stipendio da stage.

Ma veniamo ora alle dolenti note: i tagli, le classi pollaio, l’insufficienza dei finanziamenti per i corsi di recupero e per il sostegno dei disabili ma anche l’infinito precariato degli insegnanti. Quest’ultimo è da sempre una spina nel fianco del Ministero dell’Istruzione che usa il 97% dei suoi fondi per pagare gli stipendi. Ad ogni modo il duetto Gelmini-Tremonti quest’anno ha dovuto assumere 65.000 precari tra docenti e personale ATA, che diventeranno di ruolo (cioè, fuori dal gergo scolastico, a tempo indeterminato) in tre anni, per evitare di perdere altre cause giudiziarie milionarie come quella di Genova del 25 marzo scorso, quando il Ministero della Pubblica Istruzione fu condannato dal Tribunale del Lavoro a un maxi risarcimento di 500mila euro per la mancata stabilizzazione di quindici lavoratori della scuola (non supplenti ma stabilmente su cattedre vacanti) cui era stato reiterato il contratto a tempo determinato per dieci anni. Nonostante ciò essi venivano regolarmente licenziati da giugno ad agosto per poi essere riassunti a settembre anche se la legge europea stabilisce il dovere di assunzione da parte del datore di lavoro (in questo caso il MIUR) dopo tre anni di contratto a tempo. A questo punto il Ministero è corso ai ripari attraverso una legge relativa solo al mondo della scuola che invalida quella europea, per evitare di perdere altri ricorsi simili su sentenza del giudice di turno.
Il precariato però è la conseguenza di anni di governi di Sinistra che fecero della scuola un ammortizzatore sociale, allungando le graduatorie all’infinito. Prima della Gelmini, Fioroni le chiuse, trasformandole da “permanenti” ad “esaurimento”, sbarrando l’ingresso anche agli ultimi abilitati. A quel punto la prima cosa che fece il Ministro del Governo Berlusconi fu riaprirle per far rientrare gli abilitati, ma - a sua volta - chiuse le SSIS togliendo ai laureati la possibilità di abilitarsi, con questa parola d’ordine: “Assorbire il precariato e non farne più”. Per questo il Tirocinio Formativo Attivo – nato sulle ceneri delle scuole di specializzazione chiuse tre anni fa- che abiliterà nuovi insegnanti da quest’autunno ha un numero limitatissimo di posti che coincidono con il reale fabbisogno di insegnanti. A questo punto, però, si dovrà pensare anche a un numero chiuso per le facoltà umanistiche, se per costoro non c’è possibilità di insegnare. Tuttavia la questione non è così semplice: togliere a un laureato la facoltà di abilitarsi vuol dire anche impedirgli di insegnare nelle scuole non statali, che da quando sono state parificate alle pubbliche (nel 2000, sotto il Governo di Centro Sinistra) offrono un servizio educativo alle famiglie che hanno la possibilità di poter iscrivere lì i loro figli e che fanno risparmiare enormi cifre allo Stato.  
E proprio lo Stato dovrebbe investire sulla scuola di più e bene – dopo che ha eliminato gli sprechi – perché essa è l’ascensore della società, se vuole far ripartire lo sviluppo con criteri democratici e meritocratici. Questi giganti principi, però, non possono fondarsi sul terreno argilloso dei tagli, altrimenti si darebbe ragione a quei manifestanti che il 22 giugno lanciavano i libri, e quindi il nostro patrimonio, le nostre radici e la nostra storia contro Montecitorio.

NON DI SOLO PIL VIVE L’UOMO


di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 9 novembre 2011

Venerdì 4 dicembre al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro si è tenuta la presentazione dei nuovi 12 domini, o parametri, per la misurazione della ricchezza di un Paese che in futuro manderanno in soffitta il vecchio PIL,  finora unico strumento utilizzato.
Ma com’è nata questa iniziativa? Sicuramente dalla volontà dei Presidenti Marzano (Cnel) e Giovannini (Istat) che nel dicembre 2010 hanno avviato una inter-Commissione, cioè un’iniziativa congiunta, al fine di misurare il “benessere equo e sostenibile” (Bes). La loro proposta si inquadra in un vivace dibattito internazionale sul cosiddetto "superamento del Pil", stimolato dalla Commissione Stiglitz – Sen – Fitoussi e dalle iniziative dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) per la misura del progresso delle società.
Già nel giugno 2010 il giornalista Donato Speroni con il suo libro “I numeri della felicità” (edizioni Cooper) – con una prefazione del Presidente dell’Istat Enrico Giovannini – aveva dato il suo contributo italiano al dibattito internazionale e oggi ecco i frutti che può raccogliere. Al benessere economico, infatti, sono stati aggiunte altre 12 misure di “felicità”: l’ambiente, la salute, l’istruzione e formazione, il lavoro e la conciliazione tempi di vita, le relazioni sociali, la sicurezza, il  benessere soggettivo, il paesaggio e il patrimonio culturale, la ricerca e l’innovazione, la qualità dei servizi, la politica e le istituzioni.
Da notare il dibattito nato intorno alla “propensione al volontariato” (inserito nel dominio delle “relazioni sociali”): infatti un Paese che dona il suo tempo agli altri è sicuramente più ricco, sia economicamente (perché ha la possibilità di aggiungere alle ore di lavoro, quelle per fare volontariato) sia perché donare dà  felicità a chi è generoso e a chi riceve. Come diceva Baden Powell, infatti, “la vera felicità consiste nel rendere felici gli altri”. Lo stesso Benedetto XVI nella “Deus est caritas” afferma che “La carità sarà sempre necessaria anche nella società più giusta”.
Pertanto il dominio sulle “relazione sociali”, alla fine del dibattito, recita così: “L’intensità delle relazioni sociali che si intrattengono e la rete sociale nella quale si è inseriti non solo influiscono sul benessere psico-fisico dell’individuo, ma rappresentano una forma di “investimento” che può rafforzare gli effetti del capitale umano e sociale. La famiglia costituisce un luogo di osservazione privilegiato delle relazioni, insieme alle altre forme di relazione e di reti: dai rapporti di amicizia e di lavoro, di comunità e di vicinato, all’impegno nel pubblico e nel volontariato”.
Ma non finisce qui: gli studiosi sono ancora al lavoro e hanno istituito un blog (http://www.misuredelbenessere.it/) e un questionario online dove ciascuno di noi può dare il suo contributo  esprimendo sinteticamente la propria opinione in merito alle 12 dimensioni del benessere finora proposte dal “Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana” creato dal Cnel e dall’Istat.
Dunque dal censimento della popolazione alla misurazione del benessere sono i cittadini di oggi che disegnano il mondo di domani.
Allora che aspettate a dire cosa vi fa ricchi, cioè felici? Votate, votate, votate!

mercoledì 9 novembre 2011

Letterati di tutto il mondo, unitevi!

"La rinascita dell’Umanesimo" pubblicato su L'Ottimista del 2/11/2011
di Olga Sanese

Dopo la provocazione  del professore di Letteratura italiana all’Università di Trento Claudio Giunta su Il Sole 24 ore di domenica 16 ottobre si è scatenato su giornali cartacei e su quelli web il dibattito sul nuovo Umanesimo che staremmo vivendo, discussione culminata sulla prima pagina del Corriere della Sera del 27 ottobre.
Due settimane fa Giunta ha mirabilmente spiegato perché, da un lato, c’è un forte desiderio di cultura diffusa (anzi, proprio di istruzione), e dall’altro non è certamente pensabile di laureare in Lettere una nazione intera.  Le facoltà umanistiche, infatti, sono le uniche (o quasi) che non hanno ancora il numero chiuso, nonostante siano quelle che offrano meno sbocchi sul mercato del lavoro; tuttavia metterle ad accesso programmato “va contro gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nel ‘processo formativo” ed “è serenamente ignorata dallo Stato. Più studenti s’iscrivono più soldi arrivano, più insegnamenti si attivano, più docenti si sistemano” (C. Giunta). Per questo il Professore propone “un esame d’ingresso alle facoltà umanistiche (…) selettivo (…) sul programma scolastico svolto negli ultimi tre anni in determinate materie; o su un certo numero di libri fondamentali che bisognerebbe aver letto al liceo”. Per Giunta non si tratta di un vero e proprio numero chiuso ma di un test orientativo che spinga soltanto chi è davvero portato a frequentare Lettere e non coloro che vi si iscrivono solo perché non sanno cosa fare.
Attraverso questa provocazione Giunta approfitta per allargare il discorso e ripensare la mission delle Università umanistiche che è “formare ottimi insegnanti e intellettuali dotati di senso critico che riescano ad innalzare il tono delle professioni pubbliche (giornalismo, politica)”. Ma per far questo bisogna cominciare da un nuovo Umanesimo: “migliorando l’istruzione di base, è possibile, probabile forse, che si formino dei cittadini migliori, che all’idea di cultura – di cultura personale, di applicazione e studio – resteranno affezionati anche una volta usciti dalla scuola secondaria”. Questo è il compito principe delle discipline umanistiche nella scuola che anche i giovani insegnanti devono essere pronti ad affrontare.
D’accordo con Giunta è anche Annalisa Andreoni, ricercatrice IULM, che il 18 ottobre scorso – sempre sulle colonne del Domenicale del Sole 24 Ore -  ha affermato che il rilancio della cultura umanistica non può avvenire  trasferendo le biblioteche e i corsi di laurea sulle piattaforme informatiche e ipotizzando di tradurre, a beneficio dei giovani lettori, poeti e scrittori della nostra tradizione. Questo faranno i migliori; gli altri si sono limitati a intervenire in programmi televisivi portando il punto di vista del "filosofo" ed esprimendo dotti pareri su una vastità di argomenti che vanno da Seneca” al giallo di Avetrana o presentando il libro del loro migliore amico. Per l’Andreoni “bisogna investire in quello che è strategico, ed è strategica la scuola, che deve essere difficile e severa, e deve avere le risorse per seguire più da vicino chi avanza lentamente. È in questo percorso che si deve formare la cultura e il senso critico del cittadino, e qui le discipline umanistiche svolgono un compito insostituibile. Le facoltà universitarie, invece, devono essere professionalizzanti. A Lettere, non diversamente che altrove, si deve imparare un mestiere (che sia quello dell'insegnante di scuola media, di critico, di storico, di intellettuale), cosa che prevede la conoscenza precise nozioni e il possesso di un bagaglio tecnico.”
Ma l’idea di un nuovo Umanesimo non viene solo da letterati. A tal proposito, originale è stato il contributo del Professore del Politecnico di Torino Vittorio Marchis che nel suo “Anche i tecnici devono aprirsi” (Sole 24 ore del 23 ottobre) ha auspicato l’ingresso di materie umanistiche (filosofia, scienza umane, sociologia) anche nelle facoltà scientifiche per far in modo che gli studi tecnici diventino più umani e quindi più allettanti (cosa che già accade al di là dell’atlantico dove tra i due tipi di corsi c’è pari dignità).
Ma è con Julia Kristeva (Corriere della Sera del 27 ottobre) che viene “rifondato” l’Umanesimo contemporaneo, alla vigilia di Assisi. L’anticipatore, il primo a dare l’idea di uomo agli uomini è  Gesù quando si descrive dicendo “Io sono”. E noi possiamo “tras-umanar”, come diceva Dante, soltanto se camminiamo alla ricerca del la verità e solo dopo aver capito che rapporto esiste tra l’essenza umana e tutto l’essere che ci circonda, quell’infinito che è la dimensione della nostra libertà.
Per questo ci auguriamo una rifondazione continua dell’umanesimo anche attraverso rotture che, secondo l’acuta Kristeva, non possono che essere innovazioni.

mercoledì 2 novembre 2011

PICCOLI LETTORI CRESCONO

Di Olga Sanese su L'Ottimista del 25 ottobre 2011

Da giovedì 13 ottobre è ripartito il progetto dell’Osservatorio permanente giovani-editori intitolato "Il Quotidiano in Classe". Le scuole d’istruzione superiore secondaria che vi aderiscono riceveranno ogni settimana i quattro giornali più diffusi in Italia, vale a dire il Corriere della Sera, il Sole 24 ore, La Gazzetta dello Sport e un quotidiano regionale (a seconda della localizzazione della scuola) per avvicinare le nuove generazioni alla lettura del giornale, anche grazie all’abitudine di confrontare queste grandi testate giornalistiche sull’interpretazione dei fatti del giorno. L’idea del quotidiano in classe venne a Andrea Ceccherini nel 2000, anno di nascita dell’iniziativa, sotto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di invogliare i giovani a ad informarsi su ciò che accade intorno a loro a mo’ di “moderna forma di educazione civica day by day”.
Il progetto si articola in tre punti: le lezioni in classe (alle quali si dedica la lettura del quotidiano), la formazione fornita agli insegnanti dall’Osservatorio promotore dell’iniziativa (sui “trucchi” per presentare la lettura del giornale nella luce migliore) oltre ad un nuovo servizio di assistenza didattica on-line e, infine, la valutazione dell’iniziativa da parte degli studenti (per esempio: come vorrebbero trasformare i giornali di domani?) monitorata dall’Eurisko che presenta i dati al convegno "Crescere tra le righe", ogni due anni.
Anche per l'anno scolastico 2011/2012 l'Osservatorio prevede "5 lezioni in cerca d'autore. Appuntamenti di anticonformismo quotidiano", incontri di formazione che si svolgeranno in varie città d’Italia e saranno tenuti da giornalisti professionisti delle suddette testate, e il concorso “citzen journalism”, dedicato agli studenti che forniscono idee giornalistiche originali via web e che riceveranno in premio una tablet, il nuovo supporto per leggere i giornali. 
Ciò che colpisce di più è che quest’anno siano stati sfiorati i due milioni di studenti che partecipano all’iniziativa oltre ai 46000 insegnanti (questi ultimi sono i veri promotori sul territorio dell’iniziativa nazionale), per un totale pari al 70 % della popolazione scolastica. Ceccherini non può che essere fiero delle adesioni soprattutto perché vanno in controtendenza rispetto ai dati sulla crisi dell’editoria.
Da sempre il rapporto scuola-informazione è un nodo cruciale per l’istruzione. Sin dalle elementari si cerca di portare gli scolari nelle redazioni giornalistiche per far vedere loro dove e come nasce un quotidiano, pagine di storia fresche di giornata. Infatti leggere il quotidiano è essenziale per saldare nel migliore dei modi il passato (ciò che si studia a scuola), il presente (l’attualità di cui parlano i quotidiani) e il futuro (come sarà la loro vita da adulti).  Per i cittadini del domani è infatti importante conoscere e interrogarsi sul presente anche perché spesso, con le nuove tecnologie, sono portati a vivere più la virtualità che la realtà. Invece, sfogliare la carta (chissà se ciò avverrà ancora per molto?!) riporta i ragazzi alle sfide del loro tempo e magari un giorno saranno loro ad analizzare i fatti della giornata…
Insomma piccoli giornalisti si diventa … se lettori si cresce!