martedì 27 marzo 2012

Disinformazione radical chic

una docente su WOW
Fa sempre più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Soprattuto nel campo della (dis)informazione. Non una parola si legge sui giornali o si sente in tv quando una scuola riesce  ad organizzare incontri con autori del calibro di Erri de Luca o di Susanna Tamaro o quando i suoi studenti vincono le Olimpiadi di matematica; ma è subito notizia se chi commette un errore frequenta una scuola paritaria del quartiere Trieste. Colpisce e scandalizza, infatti,  il pregiudizio, il cinismo e la morbosità che certa stampa radical chic ha dimostrato nel richiamare all’attenzione del lettore particolari insignificanti per l’accaduto che ha interessato un alunno della nostra scuola. Ha prevalso, come al solito, il desiderio di fare scoop più che la ricerca della verità.
La scuola, però, a differenza dei media, non si accontenta del sensazionale: la sua missione principale  è quella di appassionare gli studenti al vero attraverso l’esperienza della realtà. Per questo con i ragazzi si è parlato dell’accaduto in due “Biongiorno”, da una parte per sottolineare quanto sia nociva la droga ma soprattutto per metterli in guardia dal non finire in guai più grandi di loro. Tutti gli adolescenti di oggi – e non c’è quartiere che faccia eccezione – vivono le stesse problematiche e i medesimi disagi, dettati in primis dalla loro età e poi, ovviamente, dalla società consumistica di cui sono figli. Così, dando loro la possibilità di esprimersi, è risultato che in alcuni prevaleva la voglia di emettere un giudizio, in altri emergeva il desiderio di voler dare ancora una possibilità a chi ha sbagliato. Sia nell’uno che nell’altro caso è d’obbligo però sottolineare che non esistono ambienti protetti se non sono innanzitutto i ragazzi a costruirli intorno a loro stessi; non c’è chi li possa tutelare se loro non vogliono essere tutelati. Per questo i ragazzi devono fare buon uso della loro libertà e soprattutto della fiducia che viene riposta in loro dalle famiglie e dalla scuola. Solo così terranno alla larga quelle “zone d' ombra” che nella vita inevitabilmente incontreranno perché ci sono, ma che devono essere in grado di saper comprendere ed evitare. Per questo scopo gli insegnanti continueranno ad educarli a fare buone scelte, nella convinzione che il chicco di grano – una volta seminato - prima o poi darà il suo frutto.

martedì 20 marzo 2012

Giovani: l'Europa è nelle vostre mani

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 16/3/2012

I ragazzi del triennio della scuole superiori hanno tempo fino al 31 marzo per  partecipare al concorso bandito dal Movimento per la Vita sulla loro idea di Europa. Nel XXV anno dalla sua istituzione, il tema del 2012  “L’Europa è nelle vostre mani” prende il titolo da una frase – rivolta ai giovani -  dal Beato Giovanni Paolo II. Sul sito http://www.mpv.org/, infatti, i ragazzi troveranno questo e altri spunti interessanti da cui partire  per fare le loro proposte da europei quali sono o quali vorrebbero diventare.
Quale futuro si aspettano gli adolescenti dal nostro vecchio continente costruito sui “mattoni” della filosofia greca, dalla grandezza dei romani e unificato dal cristianesimo medievale?
Di cosa parleranno gli studenti di oggi? Come vedono l’Europa dai loro giovani occhi? Sicuramente non sono ancora toccati dal grigiore della burocrazia né dai “cavolini” di Bruxelles ma conoscono bene le parole “erasmus”, “fuga dei cervelli”, “salvataggio della Grecia dalla bancarotta”, “direttorio franco-tedesco”. Inoltre, attraverso i viaggi di istruzione scolastici, hanno conosciuto i luoghi in cui vivono i loro cugini europei, hanno “assaggiato” la loro lingua e le loro pietanze, hanno studiato la loro storia.
Ma cosa può fare oggi l’Europa per loro? Hanno la facoltà di esprimere i loro desideri e i loro progetti attraverso questa opportunità del Movimento per la Vita., a partire dai valori su cui vogliono fondare la “loro” Europa: la persona umana, l’integrazione, la libertà religiosa. Potrebbero, per esempio, ripercorrere il pensiero dei Padri fondatori, intervistare Mazzini o De Gasperi su come è nata l’idea di Europa, oppure far finta di essere andati a passeggio con i trovatori medievali sulle strade della poesia europea o, ancora,  sulle vie dei pellegrinaggi.
Alla fine, dopo una selezione, i migliori elaborati (disegni o power-point) saranno premiati presso la sede del Parlamento Europeo.
Dunque, per parafrasare Massimo D’Azeglio: gli europei sono fatti, ora bisogna (ri)fare l’Europa!

giovedì 15 marzo 2012

Giovani scrittori: follia o speranza?

Una panoramica italiana

di Olga Sanese pubblicato sul mensile cartaceo "L'Ottimista" di marzo 2012

Chi sono i Panebianco under 40? E gli Erri de Luca under 30? Quale libro recente è lontanamente  paragonabile a “La solitudine dei numeri primi” del piccolo grande Paolo Giordano? L’Ottimista si è fatto questa domanda e ha cercato una risposta analizzando il panorama nazionale (ma anche internazionale) dei giovani scrittori emergenti o già “emersi”.
Ma innanzitutto: cosa vuol dire scrivere, oggi? Da più di un secolo, ormai, l’intellettuale non è più un “vate” (come lo era D’Annunzio, per esempio) né la sua voce viene “intercettata” per indicare un cammino all’umanità.   Già Baudelaire in una sua nota poesia affermava che lo scrittore, a fine Ottocento, era
come un albatros deriso da tutti perché, con le sue ali giganti (simbolo delle grandi idee che aveva), non riusciva a volare (cioè a farsi capire dal mondo industrializzato che lo aveva esautorato della sua auctoritas).
E oggi che cosa vuol dire oggi scrivere, se non mettere sul mercato un prodotto da vendere il più possibile indipendentemente dalla sua qualità? In Italia ci sono più scrittori che lettori, più case editrici che librerie, eppure mancano quegli intellettuali che siano guide per l’intera società.  In questo quadro, tuttavia, si inseriscono giovani che sembrano voler risvegliare quell’Umanesimo assopito nella crisi economica, politica e sociale che il mondo sta attraversando. È il caso del trentacinquenne Alessandro D’Avenia, Professore di liceo e autore di “Bianca come il latte, rossa come il sangue” e del recentissimo  “Cose che nessuno sa”. Il cosiddetto Prof. 2.0 – com’è denominato il suo blog - rappresenta per l’Italia di oggi (e non solo, dato che il suo best-seller è stato tradotto in moltissime lingue) una sorta di “angelo caduto in volo” che ha risvegliato la scuola e il mondo della cultura dal sonno del “tanto non cambierà mai nulla” per riportare entrambi al loro principale scopo: educare alla bellezza. Per farlo è interessante che lo stesso D’Avenia consigli di leggere, prima dei suoi libri,  i grandi classici della letteratura (basti pensare che alla base del suo ultimo romanzo ci sia proprio la famosa “Odissea”). Lo scopo dello scrittore – dice – è  mettere i classici “in dialogo con il presente. Più che rimodernizzarli c’è bisogno che siano loro a leggere e modernizzare noi. Un Dante può darci le parole per possederci, per dirci, per conoscerci. Si tratta di scovare quei tratti profondamente umani e universali che la grande letteratura ha, altrimenti non sarebbero e non diventerebbero dei classici. Chiaramente per avvicinare alla lettura dei classici è necessario renderli più permeabili ai sensi dei contemporanei: ben vengano le operazioni che avvicinano senza semplificare. In questo il Baricco di Totem ha molto da dare agli insegnanti che fa venire voglia di leggere l’originale, senza sostituirlo”.
Un altro scrittore tanto giovane quanto affermato è sicuramente Roberto Saviano, intellettuale impegnato sui temi della camorra e di come, attraverso la cultura, sia possibile sottrarle i ragazzi. Reso celebre dal successo di “Gomorra”, capolavoro diventato anche un film, Saviano è stato più volte ospite della trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa” ed è stato protagonista indiscusso del programma “Vieni via con me” (diventato anche un libro) attraverso i suoi monologhi e gli apporti che ha dato durante la lettura dei famosi “elenchi”. La sua idea di fare cultura consiste, innanzitutto, nel raccontare un’Italia diversa: quella che i media non vedono né ascoltano; un Paese fatto di persone che ogni giorno lavorano, studiano o fanno ricerca per rendere l’Italia migliore di come l’hanno trovata; un popolo che ama il proprio Paese al punto di fare sacrifici, di rinunciare a un po’ dell’interesse privato per il bene comune. Insomma, parafrasando la nota pubblicità Fiat, “è questa l’Italia che piace” a Saviano e che racconta nelle sue uscite pubbliche. In una di queste ha presentato uno  scrittore russo, nato nel 1980, Nicolai Lilin, che dal 2004 si è trasferito in Italia e ha pubblicato tre libri nella nostra lingua: nel 2009 è escito per Einaudi Educazione siberiana, di cui Gabriele Salvatores ha curato la trasposizione cinematografica; nel 2010 Lilin finisce di scrivere Caduta libera, in cui racconta in prima persona la sua esperienza di diciottenne in Cecenia nelle fila dell’esercito russo. Senza ideologie né filtri, Lilin scrive trasformando quel conflitto nello specchio di tutte le guerre iper tecnologiche contemporanee. Infine  pubblica “Il respiro nel buio” (2011), “storia di formazione ma anche un romanzo sul trauma e le sue conseguenze incontrollabili. Tornato dalla guerra in Cecenia e dai suoi orrori, il protagonista avverte la difficoltà di reinserirsi nella vita civile, di esserne accettato fino a che non decide di intraprendere un viaggio in Siberia che lo porterà dal nonno e alla scoperta delle proprie radici. E quel mondo, aspro e ostile nel quale finisce si rivelerà fondamentale per rigenerare la psiche di Nicolai. La Siberia, insomma, con la sua taiga, i suoi animali, la sua gente, i suoi riti sciamanici, i suoi villaggi, diventerà il grado zero dal quale poter ripartire. Quella terra immensa ha qualcosa di meraviglioso che non possono avere né Mosca né Pietroburgo. Ha le leggi del cuore. Più dure delle leggi della città, ma meno astratte e soprattutto misteriose” (Antonio GnoliLa Repubblica).
Completamente disimpegnato, invece, ma – al tempo stesso - autore di veri e propri best seller è Fabio Volo, quarantenne nel 2012. Da ex fornaio bergamasco è stato capace di raccogliere intorno ai suoi libri milioni di accaniti lettori attraverso le sue storie semplici quanto vere e, soprattutto, immediate. Sono libri scritti per Mondadori dal 2001 a oggi (Esco a fare due passi, È una vita che ti aspetto,Un posto nel mondo, Il giorno in più, Il tempo che vorrei, Le prime luci del mattino) che lasciano senza fiato coloro che sono alla ricerca, come il protagonista, di una felicità che duri più del battito d’ali di una farfalla e che non riescono a trovare nelle intricate storie d’amore che vengono raccontate. E dai libri sgorgano poi pellicole cinematografiche che fanno migliaia di spettatori.
Fenomeno che ha destato un certo clamore è anche quello della cosiddetta “Generazione TQ”, insieme di intellettuali trenta-quarantenni che si ripropongono di rifondare la cultura. Di area democratica, essi si riuniscono intorno alla casa editrice Laterza.
Con un manifesto politico,
si definiscono “mediatori tra i saperi” e immaginano “nuovi modelli di pratiche sociali (…) nel campo dell'editoria e in quello degli interventi pubblici, dalle attività di volontariato nelle scuole pubbliche a seminari tematici aperti a tutti su cultura, politica ed economia. Si tratta di una generazione (allargata) che sta provando a praticare un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione.
E quali sono gli stranieri che conquistano le librerie italiane? Dopo il successo di Harry Potter impazza ancora la saga dei vampireschi  Twilight (2006 in Italia), New Moon, Eclipse e Breaking Dawn, scritti dalla meno che quarantenne statunitense Stephenie Meyer.
Tirando le somme da questa panoramica è possibile affermare che, mentre all’estero, la fanno da padrone
i fantasy, in Italia prevale la scrittura impegnata, segno che i giovani hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà, di amarla nonostante tutto e di renderla migliore di come l’hanno trovata.

mercoledì 14 marzo 2012

Vogliono censurare Dante?

Giuda nella bocca di Satana e Maometto tra gli scismatici. Forse per questo Dante è un antisemita o un islamofobo, secondo l'Onu?
Di certo la Divina Commedia è figlia del suo tempo (il Medioevo) e delle credenze allora in voga. Non si può mica guardare a Dante con gli occhi novecenteschi della Shoà o del terrorismo islamico!
Il polticamente (s)corretto e relativista continua  far danni...altro che Inquisizione...

Geppi vince il premio TV dell'anno (insieme a Fiorello)

Da Macomer a Sanremo: fenomeno Geppi

di Olga Sanese pubblicato su "L'Ottimista" del 4 marzo

“Gianni, scusami ma non dirò parolacce. So che non va di moda ma io non me la sento proprio: ho studiato dai salesiani”. Inizia così il monologo sanremese di Geppi Cucciari e non ha nessuna pausa, neanche un bicchiere d’acqua da sorseggiare. È stata lei, insieme all’Arisa-seria, la rivelazione del Festival di quest’anno.
C’è chi spinge già per una conduzione sarda del prossimo Saremo, ma per ora il premio per l’ex di Zelig arriva con il raddoppio di G’ Day, la “striscia la notizia” di La 7, in onda da lunedì 5 marzo dalle 18,55 al Tg di Mentana. Dopo ripetute battute sull’ispettore Barnany che occupava quella mezz’ora prima del suo programma, Geppi ce l’ha fatta a bissare. Il complice? La sua intelligente comicità.
Da martedì scorso G’ Day ha un anno di vita e in questi 365 giorni ce ne ha fatte vedere dalle belle: gli sketch sono cambiati, il programma si è continuamente rinnovato per stare sempre di più sulla notizia (basti pensare a “Don Fullin” – parodia di don Camillo - o alle “esclusive impossibili” di Francesca Senette). Il pubblico ha imparato a conoscere sempre di più Matteo Bordone, il giornalista dalla barba impenetrabile e con uno humour inglese che affianca (e corregge l’italiano di) mariaGiuEPPIna Cucciari. Poi, ad ogni puntata, un ospite diverso chiuso nel famoso frigorifero (attori, cantanti, personaggi televisivi, giornalisti etc…) e un altro invitato, “spalla” della conduttrice per commentare l’intervista. In mezzo: giochi, quiz, battute, persino partite di basket (come quella indimenticabile con Nina Zilli), il pupazzo Gidello che fa il verso al Gabibbo etc.
Per l’allungamento della puntata non si sa cosa abbia in serbo la fantastica scoperta di Zelig: di sicuro ha fatto le selezioni dei suoi nuovi aiutanti in stile X-Factor e ce le ha fatte vedere nelle scorse puntate. Non resta che aspettare con ansia il suo nuovo esordio…

martedì 6 marzo 2012

Copiando la versione da internet scelgo di non fa rivivere in me quel cuore antico...

È da quando ho scoperto che tutto il mio amato mondo classico è tradotto su internet ed è scaricabile con il telefonino durante il compito in classe che mi chiedo: “cui prodest”? (a che giova?) E mi fanno pensare ancora di più quelle mamme che, ai colloqui, sottolineando tutti i benefici che hanno tratto nella vita dal latino e greco, sembrano infondermi coraggio.
Tuttavia vorrei cercare di rispondere a questa domanda che in molti oggi si pongono: può internet porre fine a studi millenari come quelli delle lingue classiche su cui si sono formate intere generazioni? Sul tema dell’ossimorica “utile inutilità” degli studi umanistici si è dibattuto molto su questo giornale ma anche altrove (basti pensare all’intervento dello stesso Vespa su Panorama o alla ripubblicazione dei classici da parte del Corriere) e credo che la Prof.ssa Paola Mastrocola abbia incarnato più e meglio di chiunque altro questa battaglia (vincendola a pieni voti).
Tuttavia mi preme spostare l’attenzione sulle traduzioni che si fanno non con l’aiuto del vocabolario, ma del sito web. In questo caso mi chiedo: che utilità ha copiare la versione da internet? Che senso ha fare una versione così se manca proprio quell’incontro – scontro con ciò che è “altro da me”, cioè con il pensiero nascosto dietro la lingua greca o latina di un autore che aveva il mio stesso cuore, ma che io scelgo di non far rivivere in me?
Se invece gli studenti, pur sapendo di avere una biblioteca virtuale a disposizione per fare i compiti al posto loro, si cimentassero a capire cosa voleva dire quel tizio vissuto tanto tempo fa, eppure rimasto immortale grazie a quelle dieci righe di versione scampate al naufragio del tempo, scoprirebbero che le lingue classiche insegnano a ragionare in un modo che nemmeno i numeri della matematica sono in grado di fare. La famosa “forma mentis” che scaturisce da queste lingue (uniche nel loro genere) fornisce una capacità di affrontare ostacoli e difficoltà quotidiane che non può certo essere definita “improduttiva”.
Alcuni obietteranno che tutti i problemi del latino si potrebbero risolvere imparandolo come una lingua moderna, cioè passando dal metodo tradizionale (traduzione dal latino o dal greco in italiano) ad un “corso di latino parlato” (cosa che si fa già in numerose scuole). In tal modo il latino sarebbe più appetibile e meno ostico agli studenti; certo sarebbe un gioco ma comunque non risponderebbe meglio delle traduzioni alla famosa domanda di “utilità” che tutti ci pongono. E forse si perderebbe anche quel “feeling” di trasmissione scritta che c’è tra noi e l’antico scrittore (che nessuno sapeva come parlasse o pronunciasse quelle parole che pure leggiamo così bene!)
Ad ogni modo la rivalutazione dell’humanitas farebbe certamente bene a questo mondo seppellito dall’apatia; la società circostante spesso appare meno moderna e più marcia del più antico papiro greco pervenuto: questo invece, se letto con attenzione, parla a noi e di noi meglio di qualsiasi psicologo contemporaneo. Ma tocca ai “traduttori umani” – non a quelli virtuali - “tradurre” la sua ricetta in una “cura” (nel senso latino del termine!) adatta all’hic et nunc.