martedì 24 gennaio 2012

Erri de Luca: gli studenti "non chiudono gli occhi"

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 20 gennaio 2012


Se all’età di dieci anni si guarda una bella coetanea, non si riescono a chiudere gli occhi nemmeno mentre la si bacia per paura che, quando si riapriranno, lei sia scomparsa. Proprio come fanno i pesci. “I pesci non chiudono gli occhi” è l’ultimo romanzo di Erri de Luca, stratosferico narratore italiano. Com’è solito fare, anche il titolo della sua ultima produzione è enigmatico e si svela solo alla fine del libro.
Si tratta del racconto di un’estate fatta da un sessantenne che ripercorre quella strana fase della vita che è il compimento dei 10 anni, quando per la prima volta l’età si scrive con due cifre (che restano poi per tutta la vita, a meno che uno non raggiunge il secolo), indice del fatto che si passa dall’infanzia all’adolescenza. Questo passaggio è segnato anche dal cambiamento della forma del corpo: il protagonista cresce di un centimetro, si procura una ferita in fronte che lo fa sembrare grande, s’innamora per la prima volta.
Il tutto accade in una estate trascorsa a Ischia con la mamma, mentre il padre era a cercare lavoro in America. Il ragazzino è un appassionato della lettura e della pesca, e passa giornate intere tra l’ombrellone e il molo.
Un giorno conosce la ragazzina (innominata perché a 60 anni non ne ricorda il nome) che è un’amante degli animali e della “giustizia”. Quante volte da piccoli si pronuncia la frase “non è giusto”? A quell’età c’è un forte senso di vedere tutto il mondo nel modo più corretto possibile. Tuttavia emerge una differenza tra i due  in merito all’argomento: per lui è il tempo a fare giustizia dei torti, per lei, invece, la rivoluzione. Immancabile la “scazzottata” tra i coetanei innamorati di lei, nella quale vince chi è rimasto ferito.
“I pesci non chiudono gli occhi” è un romanzo di memoria e formazione in cui la scoperta dell’amore (una parola letta tante volte nei libri e finalmente provata) stravolge la vita e, agli occhi di un bambino, rappresenta una finestra aperta sull’età adulta.
Sabato 21 Erri de Luca sarà al Liceo Dalmazia di Roma per incontrare gli studenti del penultimo e ultimo anno del liceo classico, scientifico e linguistico e rispondere alle loro domande. Dedicare un po’ di tempo ai giovanissimi, per un autore di tale calibro, non è cosa di tutti i giorni e, quindi, gli studenti terranno sicuramente gli occhi ben aperti!

giovedì 19 gennaio 2012

Cosa c'entrano Lucrezio e Stevenson con la Costa Concordia?

Entro in classe avendo sul groppone la tragedia del Giglio e devo spiegare Lucrezio.
Per fortuna - penso - i classici sono sempre attuali e, anche oggi, aiuteranno me e i ragazzi a capire cosa è accaduto.
Lucrezio, nell'excursus sulla storia dell'umanità, racconta che, ad un progresso tecnologico, corrisponde un degradamento morale. E' un concetto molto diffuso in letteratura e si ritrova poi anche in Leopardi.
Allora, per fare un esempio, ho paragonato il Titanic alla Costa Concordia: ad un secolo di distanza c'è stato un notevole progresso nella costruzione e nel funzionamento delle navi, ma un regresso morale, se si pensa che il Capitano dell'Inaffondabile non avrebbe mai abbandonato la sua imbarcazione.
E poi, rimandendo sull'argomento, mi è venuta in mente "L'isola del Tesoro" di Stevenson e, in particolare, il personaggio di Silver, il "cattivo" che sembra buono. Questo per dire che la realtà, spesso, non è come i mass media ce la raccontano (dividendo semplicisticamente i "personaggi" in buoni e cattivi, cfr. i due comandanti). Ai ragazzi bisogna piuttosto insegnare che devono stare attenti a quelli come Silver, persone che non sono nè bianche nè nere e, perciò, pericolose. Di queste, purtroppo, il mondo è pieno.

mercoledì 18 gennaio 2012

Regaliamo una nuova bici a J.Ax

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista (Natale 2011)

Invecchia anche J. Ax, diventato famoso per la canzone Maria-Maria quando faceva parte degli Articolo 31, e non si vergogna di dirlo nel suo ultimo singolo “La mia bici”, un vero inno alla vita.
In questo ultimo brano del cantautore milanese che ha cresciuto molte generazioni a suon di rap egli stesso si racconta finalmente cresciuto e in compagnia di qualche inevitabile dolore dovuto all’età, che è costretto a curare in una palestra di fitness, suo malgrado. Tra i “mali” che si porta addosso compaiono i denti che digrignano, il vizio di stare a casa, spesso in poltrona indossando le famose pantofole, la mancanza dei viaggi – proprio quelli che faceva quando era giovane e voleva scoprire mondi nuovi e popoli eccezionali.

Ma tutti questi “malanni” causati dall’età, sono niente in confronto al naturalissimo “male” di vivere. Nonostante ciò è proprio grazie all’età che J.Ax ha  riscoperto il suo opposto: la gioia di vivere. Allora si è chiesto: come trasmetterla agli adolescenti che sono da sempre il suo pubblico e che non pensano sia possibile invecchiare? J.Ax propone di “digitalizzarla”, di creare un’apposita App. scaricabile da internet con i moderni strumenti tecnologici.

Per farlo si rivolge in primis al se stesso “poppante” che sarebbe “orgoglioso di com’è da grande”, come dice la canzone, poi – con un passaggio intergenerazionale – ricorda il nonno quando gli diceva: “ringrazia Dio di averla la bicicletta quindi pedala, pedala finchè la schiena si spezza; (…) ringrazia Dio che hai una carriera che, pure se bella, non è mai certa e ti conserva la testa fresca. L’adolescenza finisce, il male di vivere resta”. È tutto in quest’ultima frase il succo della canzone dell’ex Articolo 31, dettato da un riferimento poetico al celebre Montale che scriveva “Il male di vivere ho incontrato…”.

Allora come colmare questo sano vuoto che caratterizza l’uomo, giovane o vecchio che sia? La risposta è in una bella similitudine, di stampo ecologista e un po’ celentaniana: “la vita e la bici hanno lo stesso principio che non costa: devi continuare a muoverti per stare in equilibrio”. L’augurio di un buon Natale consiste proprio nel trovare quella serenità  che il nostro cuore brama…e, perché no?, anche donando una bicicletta, un regalo che, sebbene surclasato dalle play station più d’avanguardia, non smette mai di avere il suo fascino. Anche se per la bici, come nella vita, non basta essere bravi piloti: è indispensabile l’equilibrio. E forse J.Ax l’ha proprio trovato con questa canzone.

martedì 17 gennaio 2012

Chi ha ucciso Dante Alighieri?


di Olga Sanese pubblicato su "Pagine" di dicembre-gennaio 2012


Chi ha ucciso Dante Alighieri? Se lo chiede Francesco Fioretti, dantista di professione in una Università tedesca, nel suo thriller estivo “Il libro segreto di Dante – Il codice nascosto della Divina Commedia”, diventato subito un caso editoriale. Definito da Vanity fair “Il Codice da Vinci” italiano, ha riscosso successo sicuramente per gli approfondimenti culturali che si respirano in ogni descrizione dell’epoca, in ciascun personaggio, nelle interpretazioni del testo dantesco e in tutta la narrazione.
Il libro, frutto di invenzione ma anche di avvenimenti storici come l’autore sottolinea nell’apostrofe finale al lettore e nella nutrita nota bibliografica, nasce dalle strane circostanze in cui è avvenuta la morte del Divin Poeta, lontano dalla patria, a Ravenna. Secondo la tradizione egli sarebbe morto  a causa della malaria; invece per il nostro Dan Brown il segreto di Dante, cioè il motivo per cui sarebbe stato assassinato, è custodito negli ultimi tredici canti del Paradiso della Divina Commedia, la Bibbia della letteratura italiana, che Suor Beatrice, la figlia del poeta, e Giovanni da Lucca, figlio illegittimo dell’Alighieri secondo Fioretti, hanno il compito di ritrovare. Al loro fianco ci saranno gli altri figli di Dante, Pietro e Jacopo, e un ex-templare chiamato Bernard, il quale unirà a questa ricerca anche quella dell’arca dell’Alleanza.

Ma chi avrebbe voluto la morte di Dante? Per scoprirlo, Giovanni da Lucca, ossia l’alter ego di Fioretti, risale innanzitutto alle cause del suo esilio, per poi ingarbugliarsi anche nelle questioni di cuore, immancabili in un romanzo. In effetti più di uno studioso si è  chiesto perché Dante sposò Gemma Donati nonostante fosse perdutamente innamorato di Beatrice, morta di parto secondo Fioretti sulla base di una cronaca di medicina antica. Nel romanzo la moglie del poeta viene ritratta consapevole che il matrimonio con Dante era stato soltanto un contratto e che suo marito aveva sempre amato Beatrice, al punto da “giustificare” Paolo e Francesca nel V canto dell’inferno perché avevano avuto il coraggio – che a lui mancò – di possedere il vero amore anche a costo di morire. Così l’assassino assolda due frati di Ravenna per compiere il misfatto senza sporcarsi le mani e per impadronirsi dell’ultima fatica del poeta fiorentino, il Paradiso. Quest’ultima ambizione, però, non riesce perché Dante aveva nascosto benissimo gli ultimi tredici canti del suo capolavoro (di cui parla anche Boccaccio che compare nel romanzo in quanto fu storicamente a Ravenna nel 1350) affinchè non cadessero in mani sbagliate. Solo Giovanni e Suor Beatrice, attraverso simbologie e codici segreti celati nei versi della Commedia, riusciranno infine a trovare il “testamento” del padre della letteratura italiana.

Lo sfondo storico del romanzo è rappresentato dalla crisi economico-politica della Repubblica fiorentina del Trecento, periodo in cui le famiglie si fanno la guerra per accaparrarsi il potere, mandando in esilio uomini per bene come Dante. Così i nuovi borghesi, ormai proprietari del “maledetto fiore”, il fiorino d’oro, s’impadroniscono del potere e mandano “in pensione” le vecchie gentes, le casate nobiliari, incapaci di mutare il loro status sociale in base alle nuove circostanze storiche. Fioretti, nelle descrizioni dell’epoca, sembra strizzare l’occhio al lettore moderno, facendo notare che non molto è cambiato da allora; indugia in divagazioni sulla vita degli uomini, sulle loro abitudini,  sull’economia reale/creativa della società/della finanza e delle banche.  Inoltre è abilissimo nel descrivere i personaggi nella loro psicologia più profonda sulla scia dello stesso Manzoni (con suor Beatrice sembra di rivedere la monca di Monza, sotto-sotto innamorata del novello Egidio, Giovanni da Lucca, e che dice di essersi votata a Dio più per l’idea del tempo per una convinzione personale). Molto interessante è sicuramente la figura del protagonista, Giovanni, figlio illegittimo di Dante, grazie al quale Fioretti ha la possibilità di ricamare ancora su temi amorosi (per esempio Giovanni ritrova la sua amata e il figlio, chiamato come il nonno, Dante). Giovanni, del quale parla un documento del 1308, è un perfetto filologo-detective, sulla scia di Frate Gugliemo, il protagonista de “Il nome della Rosa” di U. Eco. È filologo perché Dante non ha lasciato un codice autografo della Divina Commedia, avendovi lavorato fino alla fine della sua vita; questo ha comportato la nascita della filologia dantesca, con lo scopo di risalire all’archetipo della Commedia, cioè la versione più vicina all’originale non pervenuto. Dopo anni di studi, attualmente leggiamo l’edizione critica del Prof. Petrocchi, filologo italiano degli anni Sessanta. Tra i primi studiosi, invece, Fioretti ricorda il figlio di Dante e Giovanni Boccaccio; quest’ultimo, nel poemetto “In laude Dantis” fu colui che aggiunse l’aggettivo Divina al titolo dantesco Comedìa.

“Il segreto di Dante” di Fioretti è soltanto una delle tante riprese della vita e delle opere del Divin poeta, entrato bene presto nel cuore di tutti i suoi lettori anche per alcune sue vicende avvolte nel mistero, oltre che per la difficile interpretazione di alcuni noti passi delle sue opere (basti pensare alla enigmatica profezia sul veltro).
Un altro recente testo che approfitta della reticenza dantesca per fare un’opera di fantasia è “La quarta cantica” (edito da Mondadori) scritto da Patrizia Tamarozzi, in arte Tamà, una Dan Brown al femminile, seconda la quale la Divina Commedia non finirebbe con il Paradiso. Nel suo romanzo la protagonista studia e ama Dante a tal punto da sognarlo in scene narrate Vita nova e in situazioni  che non sono scritte nemmeno nei suoi libri, come per esempio gli incontri segreti tra lui e Beatrice. Si tratta di una ricercatrice universitaria inglese (proprio come il Professor Robert Langdon de “Il Codice da Vinci”) di nome Beatrice che, dopo aver perso la memoria, non ricorda nulla di sé, tranne le sue visioni. Ad aiutarla la ricercatrice a ritrovare la sua identità e a capire cosa ci fa a Firenze c’è l’affascinante medico sotto il quale è in cura. Costui l’aiuterà anche nelle ricerche dantesche sulla quarta cantica, la parte della Divina Commedia che Dante scrisse dopo il Paradiso.  Tra i  frequenti colpi di scena e banali bozzetti di vita quotidiana (come può essere il litigio tra il medico e la sua ex moglie, gelosa della ricercatrice, o la loro figlia che marina la scuola per fare ricerche su Dante) è il contenuto segreto di questo scritto sconosciuto ad accendere curiosità nuove in un lettore assopito dalla conoscenza scolastica della Divina Commedia. L’idea del libro, infatti, è risvegliare lo studio sulle opere del Divin Poeta, senza dare nulla per scontato. Anche in questo proposito la Tamà è “figlia” di Dan Brown:  riprendere opere artistiche note per riaprire dibattiti chiusi da tempo, come fa l’autore americano per l’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci, è un ottimo espediente per l’ambientazione di un thriller storico. Ovviamente tocca poi al lettore distinguere la verità dalla finzione.
Come ne “Il Segreto di Dante”e ne “Il Codice da Vinci” non possono mancare i templari, le sette esoteriche come quelle dei Rosacroce e dei Dervici turchi che vengono ricollegate al Dante alchimista, quello che - a tutti è noto - era iscritto all’Arte degli speziali, una sorta di sindacato dell’epoca. Secondo la Tamà, dunque, è lo stesso Dante a fare una sorta di mappa del tesoro per rivelare dove era nascosta la quarta cantica; tuttavia per comprendere questo scritto segreto bisognava aspettare che i tempi fossero maturi. Così l’Alighieri divise la mappa e diede i frammenti a tre persone diverse; l’erede di una di queste è proprio la nonna della nostra ricercatrice che viene descritta in uno squarcio storico che si apre sulla Seconda guerra mondiale. Il libro è, dunque, una corsa ad ostacoli contro i detrattori della mappa conservata dalla ricercatrice; al centro della narrazione c’è una lotta contro il tempo per trovare l’ultima parte della Divina Commedia e conoscerne il contenuto. La quarta cantica è la narrazione di un regno perfetto, quello dell’uomo (il veltro è identificato dall’autrice con Dante) che ritorna sulla terra dopo aver visto inferno, purgatorio e paradiso, e trova Chiesa e Stato finalmente in pace fra loro.

Ma non finisce qui. Il Divin poeta ha ispirato altre opere come “Dante per l’azienda – Come uscire dalla selva oscura  della crisi economica” oppure il testo della sua Beatificazione. Si ricordino, infine, anche i commenti di Benigni, volti ad attualizzare la Commedia, e l’ ”Associazione cento canti”, nata per tramandare a memoria le terzine dantesche. Non ultima la Nannini che nella canzone sulla figlia “Amor che nulla hai dato al mondo” echeggia i versi danteschi di Paolo e Francesca.
Tutto ciò dimostra che Dante con le sue opere ha abbracciato tutta l’esistenza, umana e divina, ed è per questo che continua ad essere immortale.

lunedì 16 gennaio 2012

Il nuovo Efesto alle pendici dell’Etna

di Olga Sanese pubblicato su MAG MAGAZINE di dicembre-gennaio 2012

Avete presente quelli che con le lattine di Coca- cola fanno modellini di macchine e aerei e le vendono sulle bancarelle? Bè, moltiplicate quelle impresucce in modo esponenziale, aggiungete l’estro di un artista serio e avrete in mano un’opera di Stefano Cimbali che, come il mitologico Efesto, forgia le sue opere con pezzi e arnesi presi da altri oggetti, riciclandoli in maniera originale. Come un Demiurgo plasma forme nuove, ma non in base a un mondo delle idee platoniche, bensì direttamente dal nostro ambiente,  fatto di immagini incarnate negli oggetti che ci circondano.
Nativo di Vittoria (RG), classe 80, il suo curriculum vanta numerosissime esperienze artistiche dal 2002, mostre e premi dal 2006, tra le quali si segnalano: l’Esposizione assemblea World Dance Alliance Europe intitolata “Is it only Dance?” tenuta a Taranto; la realizzazione di pitture murali presso la Ludoteca del Reparto Pediatria dell’Osp. Guzzardi della sua città natale da febbraio a marzo 2007, periodo in cui ha partecipato anche al “Primo Congresso Planetario Futurista” dal titolo “Il colore del calore” presso l’Enoteca “Sud Est” di Scoglitti (RG). A maggio scorso ha tenuto la Personale “L’arte cerca la gente" in via Roma a Ragusa e quest’estate la collettiva di pittura, fotografia, teatro, live music, nota con il nome “Notti al Castello – arte e incanto”, al Castello di Donnafugata (RG).

Per saperne di più su questo artista “poliforme” Mag ha intervistato Sergio Cimbali.

Da dove nasce questo modo originale di fare arte?

Ho iniziato a misurarmi con questo tipo di esperienza quando ho scoperto che le forme classiche non mi bastavano più e non mi dicevano nulla di nuovo. Così, complice il fatto che lavoro in un’officina che produce capannoni industriali dove ho a che fare con il ferro, ho cominciato a scomporre le forme standard delle cose e le ho ricomposte  nel tempo libero, nei weekend o nelle notti in cui mi veniva l’ispirazione. 

Questo modo di pensare l’arte ricorda un po’ Pablo Ricasso. Infatti se volgiamo il nostro sguardo verso il tuo “Contrabbasso” sovviene sicuramente alla nostra memoria quella “chitarra ritagliata da un cartone piegato agli estremi, con le corde tese, pronta per suonare un flamenco”, così come la dipinse il pittore spagnolo. Certo a quei tempi non si pensava a reciclare…
A te chi ha ispirato questo metodo?

Le mie opere sono frutto di sperimentazioni personali. Tuttavia il critico d’arte Rosario Sprovieri che si è imbattuto nei miei lavori ha affermato che “La poetica della ri-creazione ha radici ricche di contaminazioni, che si sono nutrite e sviluppate per oltre cinquant’anni. Nel primo periodo post bellico le creazioni artistiche vennero realizzate con ammassi di spazzatura, scarti, rottami e cianfrusaglie. Pittori e scultori plasmavano le materie e riproponevano le loro creazioni, in nuove forme, animate o assemblate. Le opere nuove non erano più frutto esclusivo dei colori, della tavolozza e dei pennelli, ma vere e proprie rigenerazioni affidate a tecniche assolutamente diverse: assemblaggi, collage e installazioni. Oggi gli artisti riescono a sfruttare le potenzialità espressive di oggetti e dei frammenti abbandonati dalla società che li circondano. Quella che nasce e’ una vera e propria arte dei detriti.”

Il tuo critico dice anche che la poetica del ri-creare proposta da te è intimamente legata anche alle ineludibili esigenze ecologiche del nostro tempo, ma soprattutto alla storia e al territorio isolano. Anche l’arte, dunque, deve dare l’esempio a tutti, anzi, dovrebbe essere la prima a salvaguardare le bellezze del creato che si propone di rappresentare e rendere eterne?

L’arte è ancora uno dei modi migliori per ingannare il consumismo sfrenato della civiltà dei giorni nostri. Per questo le opere d’arte, nate da cose o da materie oggetto di riciclaggio, attraverso le manipolazioni dell’artista, sono in grado di farci riflettere sul valore dell’oggetto che tocchiamo e ancora di più sul nuovo valore acquisito dall’opera neo-nata.


Ma Cimbali non tratta solo tematiche socio-ambientali. Dalle sue opere traspare anche un forte sentimento religioso come si può notare guardando il suo “Cristo”. D’altronde, come diceva Rainer Maria Rilke, “chi sa evocare la bellezza nella povertà, è un poeta” e il nostro Efesto, attraverso la “povertà” del riciclaggio e il dono della manualità, ha dimostrato e continua a farlo tutta la sua “ricchezza” artistica ed espressiva. Anche perché sin dall’impressionismo l’arte non è più né la copia né la fotografia della realtà: oggi è quest’ultima che, debitamente riaggregata e rinnovata, rappresenta l’arte contemporanea.

domenica 15 gennaio 2012

il Colosseo sta crollando...Caro Della Valle non fargli le scarpe!

di Olga Sanese pubblicato da "Pagine" del mese di Dicembre 2011

 “Della Valle ha scritto un manifesto contro i politici: Lei crede che sta costituendo un nuovo partito o che, per risparmiare, lo farà fare in Cina”? Così domandava Geppy Cucciari agli ascoltatori di G’ Day, il suo programma di informazione satirica su La7, incalzando il patron delle Tod’s, Hogan e Fay che, il 1 ottobre scorso, aveva fatto pubblicare a pagamento sui principali giornali italiani (Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 ore e la Gazzetta dello Sport), non una pubblicità delle sue scarpe, ma una sua dichiarazione. In questo manifesto intitolato “Politici, ora basta!” rimproverava tutta la classe dirigente attuale e anche tutti quegli imprenditori che sono scesi a patti con la politica (cioè, lui stesso quando andava sotto braccio a Mastella), appellandosi a quelle famose “componenti della società civile” affinchè lavorino per il “bene del Paese” e per il “futuro dei giovani”. Un perfetto linguaggio anti-politico se si aggiungono altri termini presenti nel suo manifesto come “vergognarsi” e “indecente spettacolo” della politica che sta distruggendo la “reputazione” dell’Italia nel mondo.

Tutto il contenuto del suo manifesto lo aveva anticipato la sera prima al Tg di Mentana su La7, lasciando tutti con un interrogativo: perché Diego, lo zorro delle scarpe, ha voluto fare questa mossa? Un altro imprenditore che scende in campo? Vuole forse anticipare il suo amico Montezemolo (di cui è socio in Ntv e “vicino di banco” nei Cda di Ferrari, Rcs e ovviamente in Tod’s) buttandosi in politica? Della Valle giura di no, sostiene che la pagina pubblicitaria è stata un gesto dovuto al suo Paese e che tanti avrebbero fatto lo stesso, se ne avessero avute le possibilità. Dice che la decisione di prendere carta e penna non l’ha fatta di concerto con Luca di Cordero, ma gliel’ha dettata il cuore mentre era a Parigi per un evento della Louis Vuitton (altro CdA di cui fa parte). Aggiunge, infine, che questa “uscita pubblica” va inquadrata in parallelo, e non in contrapposizione, al “Manifesto per salvare l’Italia” fatto dagli industriali il medesimo giorno. Già, proprio quella Confindustria con cui c’è sempre stato un rapporto di amore e odio, culminato nel 2006 a Vicenza quando, dopo un contrasto con l’attuale premier, se ne andò sbattendo la porta. Chissà se si riferisce a questi industriali, dunque, quando nel manifesto accenna agli affari del mondo imprenditoriale con la politica. È questa l’ipotesi fatta da “Il Foglio” di Giuliano Ferrara sulle cui pagine, sempre il 1 ottobre, è comparso un contro-manifesto di un finto Della Valle intitolato “Imprenditori, ora basta!”, caricatura di quello pubblicato sugli altri giornali.  Il Foglio, sostenitore anche dell’uscita di Marchionne dalla Confindustria siglata Marcegaglia soprattutto per via della “fotopportunity con la Camusso sull’articolo 8”, parla di “legami incestuosi tra politica ed economia” e di “industriali che preferiscono gli yacth e la vita corporativa a un ruolo dirigente nella vita del Paese”. Lo stesso Ferrara, l’anti-Santoro che incolpa della crisi “le burocrazie confindustriali, togate, un pezzo di politica e molti complici del sistema”, scrive: “Quando crolla un sistema politico nascono tentazioni virtuose”, alludendo allo scarparo più famoso di Italia e invitandolo però a mettersi dalla parte giusta. Già. Ma quale schieramento vorrebbe ospitare uno che esordisce dicendo “Politici, ora basta!”?

Infatti i giornali di destra titolavano “Della Valle vuole fare le scarpe a Berlusconi” et similia, mentre a sinistra c’erano i più piccati: “Mi rispetti almeno come consumatore” ha detto subito la Bindi, sfoggiando un paio di Hogan proprio come Berlusconi. Il Capo dello Stato ha affermato di essere stufo di parole anti-politiche dicendo: “La politica siamo noi”. Maroni, invece, era l’unico che riconosceva nel manifesto di Della Valle “un grido d’allarme da prendere in considerazione”. Completamente opposte e svariate le reazioni sul web: “si candida a Presidente di Confindustria” secondo “Ilsussisiario.net”; “Dov’era Della valle mentre b. faceva danni?”; “Si potrebbe essere d’accordo col suo manifesto se non l’avesse scritto lui”; “Cosa ha fatto per difendere i posti di lavoro in Italia? Per far conoscere al consumatore dove produce i suoi prodotti? Per contrastare la legge truffa Reguzzoni-Versace?”. Addirittura Dagospia lo ha definito “Diego Laqualunque, patron di Hogan cinesi”, e  Il Giornale del 7 ottobre ha titolato “Il patriota Della Valle fa le scarpe in Romania”, nonostante egli si dipinga come il campione del Made in Italy sul cui sito campeggia lo slogan “ogni prodotto viene eseguito a mano, con tecniche di alto artigianato, per diventare, dopo numerosi passaggi e controlli, un oggetto esclusivo e riconoscibile”.

Una cosa è certa: il suo sfogo del 1 ottobre non viene certo da sinistra, basta ripercorrere brevemente le principali tappe della sua storia. Ex elettore del Partito Repubblicano Italiano, nel 1994 votò e sostenne economicamente il nascente partito di Silvio Berlusconi, già nel 1996 però se ne allontanò per aver constatato metodi non condivisibili. Amico di Clemente Mastella, in vista delle elezioni politiche del 2006 ha rifiutato una candidatura nell’Udeur. Cavaliere del lavoro è un imitatore di Berlusconi anche sul fronte calcistico dove fa il suo ingresso nel 1995, entrando a far parte del consiglio di amministrazione dell'Inter per volere di Massimo Moratti, carica che ricopre fino al 2001. Subito dopo fonda con Luca Cordero di Montezemolo il fondo Charme e acquisisce quote di rilievo in aziende del design italiano quali Poltrona Frau, Cassina e Ballantyne. Nel 2002 acquista la società calcistica Fiorentina fallita nel luglio dello stesso anno. In tre anni la nuova società riuscì a riportarla di nuovo ad alti livelli; per i primi due anni però alla squadra non fu consentito di partecipare alla Champions League per le accuse, poi cadute, note come Calciopoli. Il 30 marzo 2010 rassegna le dimissioni, in qualità di patron della Fiorentina, con un comunicato ufficiale sul sito della società viola, pur rimanendone azionista di maggioranza. Nel 2002 ottenne anche una quota vicina al 2% in Mediobanca. Nel 2003 acquisì il 2% di RCS, mossa che gli consentì di entrare nel consiglio d'amministrazione del Corriere della Sera, che affianca agli altri dove siede: Assicurazioni Generali Spa, Ferrari S.p.A., Louis Vuitton, Le Monde Europe S.A.

Il pallino di don Diego è sempre stato il Made in Italy e tutto ciò che gli ruota intorno, compreso il restauro del Colosseo (affidatogli il 21 gennaio 2011), finanziato da 25 milioni di euro di cui Della Valle è sponsor unico e che potrà pubblicizzare sui siti e nei negozi (anche se ha giurato che non metterà una Tod’s gigante sull’anfiteatro). Il Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Tod’s, neo-Mecenate alla corte dell’Augusto-Silvio, è fermamente convinto che proteggere e promuovere la nostra cultura sia di grande aiuto anche al mondo delle imprese che operano in Italia e all’estero. Si è buttato in avanti con questa iniziativa nella speranza che possa essere presto seguito da altre aziende e persone orgogliose delle bellezze italiane, cosa che farebbe benissimo alla nostra immagine nel mondo. Il piano degli interventi sull’Anfiteatro Flavio (pubblicizzato sul sito tods.com) prevede: la sostituzione dell'attuale sistema di chiusura dei fornici con cancellate; il restauro del prospetto settentrionale e meridionale, degli ambulacri e degli ipogei; la messa a norma e l'implementazione degli impianti; la realizzazione di un centro servizi che consenta di portare in esterno le attività di supporto alla visita che sono attualmente nel monumento e che sarà utile all’accoglienza delle persone che lo visiteranno. Infine con la Fondazione senza fini di lucro “Amici del Colosseo” si occuperà di promuovere la conoscenza del progetto di restauro e di altre iniziative, a solo scopo sociale, dedicate prevalentemente a giovani e anziani per avvicinarli ancora di più a questo monumento. Per tutto ciò il Mecenate si è dovute accordare con l’ex Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, lo stesso che Della Valle ha definito “ragazzo di bottega” nella puntata di Ballarò del 4 ottobre, quando affermò di voler parlare col suo “principale” (leggi: Berlusconi) sulle questioni serie. Snob al punto che Angela Vitaliano sul “Il Fatto Quotidiano” del 5 ottobre ha dovuto prendere le difese dell’ex Coordinatore di Forza Italia.

Dunque lo Schumacher italiano va probabilmente inquadrato nel “partito del CorSera” che tifa per un governo tecnico di persone capaci e perbene che non siano né di destra né di sinistra; d’altronde a entrambe fa le scarpe da molto tempo... Su internet dicono persino che “Ezio Mauro non si è fatto pagare l’annuncio di Della Valle in quanto fa lo stesso per Montezemolo gratis tutti i giorni” e che Repubblica si è trovato un articolo bell’ e pronto senza far la fatica di pensare come riempire il giornale, data l’identicità di vedute.

Chissà se alla fine questo manifesto avrà un seguito, se cioè un calzolaio sarà il “tecnico” che guiderà l’Italia, o se rimarrà un “visconte dimezzato” dall’ombra del più ambizioso Montezemolo, più bramoso di potere che cultore dell’arte italiana.

venerdì 6 gennaio 2012

il problema non è se i classici sono attuali, ma se lo siamo noi rispetto a loro (Pontiggia)


di Olga Sanese

pubblicato su www.filnoir.net/2011/12/de-consolatione-litterarum.html
Dimmi e io dimentico; mostrami e io ricordo, coinvolgimi e io imparo" (Romano Guardini).
Con questa mia breve “riflessione-intervista”, mi è stato chiesto di testimoniare che seguire le proprie passioni e inclinazioni naturali porti, non solo, alla propria realizzazione personale, ma anche al successo, in barba a tutti coloro che dicono che la facoltà di Lettere sforni solo disoccupati.

Una laurea in lettere antiche, come quella che ho conseguito, ha sempre suonato alle orecchie di chiunque incontrassi peggio di avere semplicemente “una laurea in lettere”. Questa fa figo, quella  (s)figa(to). Per l’opinione comune, infatti, chi si laurea in lettere moderne, nel corso di studi, si è anche divertito; chi si laurea in latino e greco, invece, non solo ha fatto una facoltà inutile, ma ha anche dovuto sgobbare.

Io ho iniziato ad insegnare a 24 anni, due mesi dopo la laurea (raggiunta in 4 anni e mezzo, invece che in 5…dato che ero molto “affamata”), nonostante la mancanza dell’abilitazione dovuta alla chiusura delle SSIS. Poi, dall’anno scorso, ho affiancato al mio primo lavoro la passione giornalistica e la creazione di un blog chiamato “Locus amoenus” in cui, attraverso i post, cerco di far intravedere sprazzi di letteratura nella più prosaica quotidianità. Altro che crisi, altro che “bamboccioni” e gioventù bruciata. La mia vita, finora, è stata la prova lampante di come ancora oggi “homo faber suae fortunae est” (l’uomo è artefice del proprio destino).

E veniamo al tema dell’inutilità delle materie umanistiche nell’era contemporanea. Suona desueto dire che a scuola parlo ancora di papiri e pergamene ai miei alunni che hanno l’I-Phone o – se sono di famiglie facoltose – l’I-Pad, eppure lo stesso “Steve Jobs è diventato famoso, non perchè ha inventato oggetti nuovi (hardware) ma perchè ha creato nuovi programmi (software). Questo spiega che anche nel mondo delle tecnologie l'avvenire è di chi sappia ragionare. E chi compie degli studi classici avrà una mente molto più allenata per farlo”, come ha detto Umberto Eco su L'Espresso del 25/11/2011.E’ solo studiando il passato, infatti, che scopriremo come, ancora oggi, l’uomo ha la stessa fame di conoscenza, lo stesso anelito all’infinito, gli stessi sentimenti di amore e dolore che avevano gli uomini dell’avanti Cristo perché, nonostante il trascorrere del tempo, l’essere umano rimane “misterioso” nella sua unicità e originalità all’interno del cosmo. Questo, dunque, è il fine dell’istruzione secondo la scrittrice Paola Mastrocola: La scuola deve essere utile alla formazione di uomini. Preparare lavoratori senz’anima significa solo preparare dei servi”. E sono proprio questi “schiavi” che la fan da “padroni” oggi e che ci hanno fatto sprofondare nella crisi da cui ora faticosamente cerchiamo di riemergere.

Concludo rispondendo a chi mi chiede se mi sono pentita di aver fatto Lettere, invece che Ingegneria o Medicina. No. Ma di una cosa sì che mi pento, proprio ora che sono Prof. (e che rientro nel 2% degli insegnanti che abbiano meno di trent’anni): di non essere stata “letterata” dal primo istante della mia vita, di aver trascurato le mie passioni per lasciar spazio ai compiti di scuola, a materie (biologia, chimica e scienze della terra  innanzitutto!)  che non avevano nulla a che vedere con la mia vocazione, e di non aver coltivato il giornalismo sin dall’elementari perché pensavo ci volesse la “raccomandazione”. Ecco, di questo mi pento: di non aver creduto in me quanto ora chi mi circonda fa con affetto.