martedì 24 aprile 2012

è opportuno mettere voti infimi?

di Olga Sanese su L'Ottimista del 20/4/2012

Sul pianeta scuola si agitano, al momento, due dibattiti: il primo, sull’uso cosiddetti “brutti voti”; il secondo, sulla spinosa questione del carico di compiti a casa.
Recentemente ha fatto notizia che un liceo milanese si sia schierato a favore di una scala di voti che parta dal 4: secondo il Preside, infatti, mettere voti al di sotto di quel numero che indica già la grave insufficienza non fa altro che mortificare l’alunno. Ancora meno senso avrebbero voti del tipo “2 meno, meno” o “1 più” (tanto per incoraggiare!) che spesso solleticano il riso del ragazzo invece che il suoscoraggiamento.
Tuttavia è lecito vietare l’uso della scala numerica o, peggio, censurarne una parte? “I voti vanno da 1 a 10” diceva una mia professoressa (e poi, però, si limitava ad usarli dal 4 all’8, bontà sua!). Purtroppo, però, è anche vero che  correggendo taluni tipi di compiti (in primis le “odiate” versioni di greco e latino) ci si accorge che c’è differenza tra un compito da 2 (l’elaborato è totalmente sbagliato e le frasi non hanno senso), quello da 4 (tanti errori in frasi perlomeno costruite) e l’unico voto a sue cifre, il 10, su cui il Prof. non deve nemmeno appoggiare la penna. Ebbene sì: dei bravi non si parla mai. Anzi. Il recente libro del Prof. Dell’Oro sostiene che la scuola deve dare ancora maggior attenzione ai “Lucignolo” di oggi, quando in effetti è già tutto calibrato su di loro; basti come esempio il fatto che le ore in più sono sempre di recupero e quasi mai di approfondimento o che, durante la lezione, “i bravi” sono svantaggiati dal chiasso dei meno bravi. Questa è una mortificazione sicuramente più grave di quella che può provare un ragazzo che non ha studiato quando il professore gli riporta il compito con un “votaccio” scritto in rosso o, peggio, in blu.
Tuttavia è vero che il lavoro dei Professori è particolarmente attento ai problemi dei ragazzi che hanno difficoltà e il loro scopo è proprio quello di spronarli a fare di più e consigliare strategie e metodi di studio più efficaci.
Ma veniamo all’annosa questione dei compiti a casa di cui le famiglie chiedono una riduzione. Alle medie avevo un Professore d’inglese che aveva come metodo quello di farci lasciare i libri a scuola perché non dovevamo studiare a casa. Questa bella idea, però, aveva il nascosto scopo di farci lavorare di più a scuola: infatti, il non potersi preparare a casa per l’interrogazione del giorno dopo costringeva tutti a stare attenti alla lezione e a studiare di mattina, invece che di pomeriggio. Questo è solo un esempio di come si possono attuare delle strategie per diminuire i compiti a casa, ma è pur vero che niente come lo studio pomeridiano aiuta a diventare autonomi e indipendenti. Poi sta alla libertà del singolo ragazzo organizzare il tempo da dedicare allo studio e quello da lasciare libero; solo in quest’equilibrio si vivrà il lungo anno scolastico con serenità e senza mortificazioni. Intelligentibus pauca…

martedì 17 aprile 2012

Il doping dei professionisti dello studio pomeridiano


di Olga Sanese pubblicato sul Sussidiario.net


Laureati in farmacia che campano con ripetizioni di latino. Ecco quanto è grande il giro delle ripetizioni, un vortice che si estende dai laureati in cerca di occupazione agli insegnanti senza cattedra, dai liceali che aiutano i loro compagni di scuola ai centri studio.
Forse non è del tutto colpa dell’assenza o della brevità dei corsi di recupero pomeridiani (non ci sono, in questo ambito, grandi cambiamenti rispetto al passato): è evidente che un corso di otto ore non basta certo a imparare tutto il latino che si insegna in un intero quadrimestre scolastico.

E allora vari sono i motivi che inducono i genitori a “far seguire” i propri figli da “esterni” che non sono più né i nonni, né i fratelli maggiori, né mamma o papà perché sono a lavoro. Le ripetizioni si distribuiscono su tutto l’anno: in estate, se ci sono stati debiti alla fine dell’anno o per prevenire carenze future; in inverno, per accompagnare nello studio chi è rimasto indietro rispetto alla propria classe e ha preso brutti voti, ma anche chi vuole rafforzare le proprie conoscenze e passare dal 7 all’8.

Così si alza il telefono e si chiama il laureato (o pensionato) di turno, in base ai “miracoli” scolastici compiuti e alla tariffa richiesta (dai 10 ai 50 euro), su suggerimento degli stessi prof. del giorno o di amiche con figli, conoscenti e parenti; costui, se è un insegnante “a domicilio”, viene direttamente a casa all’orario stabilito e diventerà a breve uno di famiglia (si troverà in mezzo a litigi familiari, pranzi non finiti, tavole da sparecchiare per lasciar il posto a libri “immacolati”..); se, invece, bisogna accompagnare i figli da lui, i genitori avranno trovato l’ennesimo luogo dove correre e poterli “scaricare”.

A questo punto hanno inizio le ripetizioni. Il nuovo professore, a cui si dà del “tu” e a cui fai anche il regalo a Natale o a fine anno per ringraziarlo del miracolo compiuto, chiede al ragazzo a che punto del programma di trovano, cosa fa in classe, in cosa si sente carente o se ha bisogno di ulteriori spiegazioni (ricevendo spesso solo “mozziconi” di risposte perché lo studente che ricorre alle ripetizioni quando è a scuola pensa ad altro). Poi iniziano a fare insieme i compiti e lì diventa tutto più chiaro rispetto a un momento fa. Ovviamente, dopo alcune lezioni, la ripresa (almeno per quella materia) è garantita: il ragazzino infatti, non avendo modo di distrarsi e di evadere dallo studio, miracolosamente migliora e “si salva”.
Le mamme, seppur col portafoglio meno pesante, si ringalluzziscono con le prime sufficienze  e consigliano il loro “supporto” anche alle amiche. Così, col “passaparola”, il giro delle ripetizioni si allarga e continua…

Non è, però, tutto oro quello luccica. Infatti, se il docente pomeridiano, parafrasando un noto proverbio cinese, ha dato allo studente direttamente “i pesci”, ma non gli “ha insegnato a pescare” (facendogli, quindi, raggiungere subito il risultato ma senza insegnargli il metodo per continuare a studiare bene da solo), le ripetizioni saranno state una sorta di “doping” il cui effetto presto svanirà.
È interessante, allora, citare a questo punto l’opinione della preside del liceo “Tasso” di Roma, secondo la quale i ragazzi possono farcela anche da soli. È verissimo. Ma come? Basterebbe spegnere cellulare, staccarsi da internet e andare in palestra la sera invece che nelle ore in cui la mente è più “fresca”, come si diceva una volta.  Queste, infatti, sono le prime cause dell’accumulo di compiti assegnati a casa da mesi e mai svolti. Ancora: basterebbe stare attenti in classe (e se si va a dormire presto la sera è più facile) e seguire il proprio professore la mattina, invece, che un costoso “professionista del recupero” il pomeriggio.
Sono tutte cose che chi va bene ed è autonomo a scuola già fa. D’altronde, si sa, chi fa il suo dovere giorno per giorno non ha certo bisogno di ripetizioni…

martedì 10 aprile 2012

INTERVISTA A MASSIMO FINI


di Olga Sanese pubblicato dall'editore Pagine


“Deluso dalle ideologie dominanti, di destra e di sinistra”, come lui stesso si presenta sul sito web, Massimo Fini è un noto intellettuale italiano. Giornalista, scrittore e attore ha analizzato a fondo la nostra epoca asserendo che “il disagio esistenziale si è fatto, nell'Occidente industrializzato, acutissimo in noi tutti, anche se trova sorde le elites politiche e intellettuali che continuano a marciare, col sole in fronte e la verità in tasca, su categorie concettuali, il liberalismo e il marxismo, con tutte le loro declinazioni, vecchie ormai di più di due secoli”. Sono parole del suo “Manifesto contro”: contro il mondo moderno delle tecnologie avanzate, contro le Tecnocrazie al potere, contro il governo mondiale dell’economia. Per tutto questo Fini incarna “Il ribelle dalla A alla Z”, la cui “Voce” passa attraverso il mensile che dirige. Arrivato al giornalismo negli anni Settanta con l’ “Avanti”, è passato poi all’ “Europeo” con la Fallaci e a “Pagina”, giornale in cui si sono formati anche Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Giuliano Ferrara e Pier Luigi Battista. Nel 1982 entra al "Giorno" cominciando una solitaria battaglia contro la partitocrazia e predice il crollo del sistema e la fine del PSI. Ha lavorato anche all’ “Indipendente” di Vittorio Feltri. Attualmente scrive su Il "Fatto Quotidiano" e Il "Gazzettino". Anti-rivoluzionario francese e identitarista di sinistra è autore di numerosissimi saggi, romanzi e di un’opera teatrale intitolata “Cyrano”. In tutta la sua produzione sostiene che “Senz’anima” è il nostro Paese, pieno di un nulla che fa più orrore dello stesso orrore; che “il vizio oscuro dell'occidente” è quella “ricerca inesausta del Bene, anzi del Meglio, che ha creato il meccanismo perfetto e infallibile dell’infelicità” e che “il terrorismo globale non farà che confermare e rafforzare il delirio occidentale dell’unico modello mondiale”, al cui interno “avverrà lo scontro vero, il più drammatico e violento: fra i fautori della modernità e le folle, deluse, frustrate ed esasperate, che avranno smesso di crederci” (Manifesto dell'Antimodernità). 
Per questo “La Destra” ha voluto intervistare Massimo Fini, profeta del tempo che stiamo vivendo.
Che ne pensa dell’attuale situazione in cui versa il nostro Paese, in cui un Monti-Dracula succhia soldi agli italiani?
Monti è l’uomo giusto in un sistema sbagliato. L’uomo giusto perché ci voleva qualcuno che prendesse queste misure. L’errore di Berlusconi è stato di non averle prese lui. Con l’espressione sistema sbagliato, invece, mi riferisco al libero mercato, alla competizione, alla forza del denaro rispetto a tutto il resto. Il modello di sviluppo nato nel XVIII secolo con la Rivoluzione industriale è giunto a fine corsa: non si può più crescere. La “macchina” dell’attuale sistema economico è arrivata davanti a un muro, eppure continua a dare di acceleratore. Per questo, a breve,  fonderà il motore…

Partendo dal suo “Manifesto contro la Democrazia”, in cui sostiene che siamo tutti “Sudditi” in questa finta democrazia fatta di “minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiacciano l’individuo, già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la stessa democrazia è l’involucro legittimante”, non crede che un governo tecnico formato da persone nominate dall’alto - e, quindi, non elette dai cittadini - metta seriamente a repentaglio la democrazia più di quanto si diceva del governo Berlusconi?
La democrazia è a rischio; e se soccombe è meglio, essendo una finzione sofisticata per la povera gente che le dà consenso. Non è mutato nulla con il cambio di governo. Aveva ragione Kelsen...


Nella sua vasta produzione, Lei ha reinterpretato anche figure dell’antica Roma come Nerone e Catilina. Quest’ultimo è stato visto da Lei come un eroe romano che, alla fine della repubblica, combatteva contro le oligarchie del tempo: gli “optimates”. Secondo Lei oggi c’è qualcuno che si oppone agli attuali poteri forti, pur essendo in minoranza e consapevole di dover soccombere?
No. Non ci sono “Catiline” da nessuna parte, né all’estero né tantomeno in Italia. C’è solo un mondo che si oppone al nostro modello di omologazione ed è quello islamico.

Si riferisce a quello che ha scritto ne “Il Mullah Omar” (Marsilio - 2011), rilettura della guerra in Afghanistan come la lotta dell'uomo contro la macchina in cui il leader dei Talebani che “tiene in scacco il più tecnologico esercito del mondo per il suo sogno: quello di un Afghanistan finalmente unificato e pacificato, lontanissimo dagli stili di vita dell'Occidente” e da quello “sterco del demonio”, il denaro, che crede di poter tutto comprare e corrompere, anche i valori, per difendere i quali i giovani Talebani sono disposti a morire?
Certo. I Talebani, relativamente al loro paese, rappresentano la reazione all’Occidente, il ribellarsi all’occupazione straniera. C’era anche l’Africa nera, ma è stata distrutta dall’Occidente e con questo termine oggi s’intende anche Russia e Cina. Quest’ultima si è ormai impadronita dell’africa nera…

Un’ultima domanda sull’informazione. Lei ha scritto un romanzo, “Il dio Thot” (Marsilio - 2009), in cui si scaglia contro quell’informazione, che si avvita su se stessa, megafono del nulla” perchè “quel poco di realtà che c'è ancora è ignorata dai media e quindi non esiste. (…) Il distacco tra virtuale e reale è ormai completo e non potrà che implodere su se stesso”. È ancora di questa opinione?
L’informazione crea illusioni. D’altronde è sempre stato così. I primi giornali di carta stampata francesi e tedeschi sono nati al servizio del potere. E oggi non è diverso: i soliti sono a capo di oligarchie mediatiche. Uno spiraglio viene da internet ma, anche qui purtroppo, manca una seria verifica.

Montanelli diceva “Ha le mani pulite. Non rispetta le regole. Non sta al gioco” perché  Fini è un vero “conformista” nella misura in cui la Sinistra è una finta anticonformista. “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio”…

martedì 3 aprile 2012

La prima impronta della Pasqua è su quel panno

Perchè si usa la parola "volto" e non faccia, non viso, quando si vuole indicare la reliquia di Manoppello? Perchè non è come quello degli altri.
E perchè il primo istinto è quello di toccarlo? Forse perchè siamo un po' tutti come S. Tommaso (se non tocchiamo, non crediamo) o forse oggi c'è il rischio di non credere nemmeno dopo aver toccato con mano, tanta l'apatia che respiriamo.
Ma cosa ci è rimasto "impresso" dal ritiro scolastico pasquale a Manoppello? 
La polemica tra coloro che sostengono che sia una pittura e coloro che dicono che l'immagine è sovrapponibile a quella della Sindone (che, tra l'altro, l'avvolgeva)? oppure le parole di chi diceva "come fa a tenere gli occhi aperti"?
Sono tutte domande che i pellegrini si fanno, soprattutto coloro che elemosinano uno sguardo, Quello. Anche Dante cercava il volto di Dio e nella Divina Commedia prova a descriverlo; anche lì, come a Manoppello, è trasparente, è luminoso e sembra guardarci. D'altronde a chi non piacerebbe "rispecchiarsi" in quella misteriosa immagine?
Allora si può credere o meno a un'affascinante reliquia, ma di sicuro non smetteremo di cercare quel volto nel viso di chi ci sta intorno e ci ama più di se stesso.

Buona Pasqua, nella speranza che quegli "occhi aperti" aprano anche il nostro cuore.