giovedì 24 febbraio 2011

James Bond missione docente – Come depistarela scuola high tech e l’auto-apprendimento basato sulle nuove tecnologie

di Olga Sanese su l’Ottimista del 17/2/2011
Immaginatevi una lezione nella nuova scuola high-tech. Gli studenti attraversano il varco d’ingresso con il loro tesserino magnetico e risultano presenti sul registro elettronico di classe; una volta seduti, si ritrovano davanti una lavagna speciale, uno schermo su cui si possono proiettare schemi, diapositive e quant’altro provenga da un pc; non solo, è anche interattiva, capace di rispondere al tocco di un dito, anzi di più dita contemporaneamente. Ci si può scrivere anche con penne di puntamento, stilo e matite, e le immagini possono essere in 3D.
In questo tipo di classe, ovviamente, ogni argomento diventa multimediale e il Prof., personaggio molto simile a un deejay, parla con gli alunni in video-collegamento. Poi c’è il Go-Robo Programmer che insegna a scrivere, e i network che permettono agli insegnanti di monitorare meglio i compiti e il lavoro degli alunni. Infine non resta che immaginare che anche l’insegnante scompaia e che in classe ci sia solo un monitor su cui viene proiettata in tutta Italia la stessa materia. Orario del lunedì mattina: latino alla prima ora, storia alla seconda, matematica alla terza e così via.
Sperimentazioni di questo genere sono ormai ovunque: in una scuola di Legnano, il cui preside si vanta di saper parlare latino, hanno adottato tutti net- book, per un accordo progettuale con l’Acer. Nella scuola del Prof. Pian la classe sta davanti a una webcam, un alunno fa una relazione di storia, alla fine viene applaudito come se fosse sul set di un talent show e aspetta che il voto venga concordato. Il tutto finisce su Wikipedia o You-tube cosicchè altri Professori “virtuali” possano attingere da questi materiali per le loro lezioni a distanza.
Tuttavia, differentemente da come si possa pensare, anche se la classe sembra il web, il ruolo degli insegnanti non può non essere fondamentale e, non solo perché non c’è macchina che funzioni senza l’uomo, ma soprattutto per il fatto che l’autoapprendimento basato sulle nuove tecnologie non potrà mai sostituire l’insegnamento, una professione così antica e così necessaria. E c’è un motivo ben preciso che spiega perché non può esistere una scuola senza professori: chiunque, messo da solo davanti a un argomento da studiare lo vedrebbe come un ostacolo in-contestualizzabile se non ci fosse l’insegnante a dargli una visione completa della materia in cui si inquadra quell’argomento. Per esempio, il professore che deve spiegare un “pezzo” di storia sa bene che quel giorno non descriverà soltanto un punto di una lunga linea che è il corso del tempo dell’uomo ma inquadrerà la lezione in un contesto preciso, facendo dei confronti con ciò è venuto prima e ciò che deve ancora venire e dando l’esatta collocazione, il giusto peso all’argomento trattato. Invece, se noi dovessimo imparare una cosa da soli sarebbe come se, stando davanti a un mappamondo, riuscissimo a vedere soltanto la nostra città. Questo spiega che la prospettiva dell’alunno è diversa da quella dell’insegnante perché il primo focalizza la sua attenzione eccessivamente su una cosa piccolissima; in tal caso ne deriva l’errata considerazione come credere che il mondo sia grande come la nostra città, che si parla solo l’italiano e via dicendo. Neanche Google basta, dunque, a cercare informazioni se non conosciamo il contesto.
Un altro danno che viene dalle tecnologie è che spazzano via l’apprendimento sistematico: come la memorizzazione di una poesie, delle tabelline, degli appunti scritti a mano etc.. Differentemente da come si potrebbe pensare esercitare la memoria, attraverso la contestualizzazione, aiuta nell’elaborazione di altri concetti, nella creatività, nell’orientamento nel mondo in quanto il cervello è stimolato a collegare il fatto nuovo a quello che conosciamo già; in letteratura, poi, il meccanismo è ancora più facile perché ci viene in soccorso un sentimento affettivo che ci lega a quei versi impararti in passato. 
E poi c’è un altro motivo per cui davanti alla scuola tradizionale non c’è tecnologia che tenga: è l’ineguagliabile, anche se a volte burrascoso ma pur sempre umano, rapporto docente-discente.
Le nuove tecnologie, dunque,  possono soltanto ampliare i mezzi a disposizione del docente per incidere sulla formazione e sull'educazione degli alunni, magari mettendo a frutto dell’apprendimento scolastico anche i videogiochi capaci di creare quella motivazione e quell’interesse essenziali per l’apprendimento se abbinati all’impegno. Ancora oggi, comunque, c’è bisogno di professori che insegnino che quanta più fatica proviamo nel fare le cose, nello studiare, nel leggere un libro o nel risolvere un teorema di matematica, tanto più grande sarà la nostra soddisfazione e la nostra crescita, interiore e professionale.

mercoledì 16 febbraio 2011

Studi classici: una scelta sempre al passo coi tempi

Perché anche al tempo dell’IPAD è preferibile una scuola superiore in cui si studi latino e greco

di Olga Sanese su L'Ottimista del 10/2/2011

“Ti permetto di iscriverti al liceo classico solo se alle 19 spegni la lampada sulla scrivania e vai a farti una passeggiata”. Suonavano così minacciosamente le parole pronunciate da mio padre ben dodici anni fa, che oggi sembrano desuete. E anche allora parevano assai strane…
Il 12 febbraio scadono le iscrizioni alle superiori per gli studenti della terza media  e – più che i diretti interessati – sono i genitori ad entrare nel pallone. È ben noto che la scelta della scuola si fa insieme, genitori e figli, in quanto i primi dovrebbero indirizzare i secondi alla scelta di una scuola che sia superiore alla portata dei ragazzi in modo da far nascere in loro quel meccanismo - chiamiamolo “impegno” - che li porti a passare dal 6 al 7, o dal 7 all’8, proprio grazie a un ambiente scolastico che richieda più fatica. Al contrario una scelta facile e scontata, che non stimoli i loro talenti a fare di più e meglio, li porterà ad adagiarsi sulle posizioni di partenza, sui risultati già raggiunti, per cui chi ha 7 alle medie, sceglie una scuola dove si richiede quel voto o, addirittura, un voto inferiore. In realtà solo il superamento delle difficoltà rende gli studenti realmente soddisfatti dei loro successi scolastici e, in un centro senso, li fa più felici: per aspera ad astra direbbero più sinteticamente i latini.
La scelta della scuola, ogni anno, si ripresenta ardua per le generazioni che ne sono interessate perché con le superiori si pongono le basi al proprio futuro: cosa voglio fare da grande? In che cosa vorrei specializzarmi? Come posso essere utile alla società del domani con il mio lavoro? Per questo occorre buttare un occhio sulle nostre aspirazioni e sulle materie in cui siamo portati, e l’altro su come gira il mondo. Ma, in fondo, la scelta del liceo non è poi una strada definitiva: sarà l’università - o un eventuale master successivo - a indirizzare, in maniera più netta, il nostro cammino professionale.
In questi giorni è facile trovare articoli sui giornali che spezzino una lancia ora a favore di un tipo di scuola, ora a favore di un altro. C’è chi suggerisce di scegliere istituti professionali che forniscono una preparazione mirata al mondo del lavoro, e c’è chi pubblicizza i nuovi licei senza il latino, ma con tecnologia e informatica. Un solo quotidiano ha avuto il coraggio di dimostrare che gli studi classici danno ancora la migliore preparazione possibile per l’università e per la vita e – udite, udite – è proprio il Sole 24 Ore, il giornale economico per eccellenza della stampa italiana. Forse pensano che con la cultura si mangi? Non solo, visto che il titolo recitava Sui classici alla ricerca della felicità. Già, la felicità: parola irrappresentabile, inclassificabile, forse incomprensibile, ma che l’uomo di ogni tempo - anche nell’era dell’ipad - cerca di scoprire. Proprio questo è il punto: gli studi classici offrono, più di ogni altro percorso, la possibilità di interrogare i ragazzi di oggi sulle massime domande dell’esistenza che, una volta divenuti grandi, non si pongono più, presi come sono dal tran-tran quotidiano e dalla ricerca di ciò che è utile e immediatamente spendibile. Insomma, latino e greco resistono anche davanti all’inglese e al cinese, basti pensare al fatto che vengono riscoperti e studiati anche in America.
Ma come è possibile insegnare ancora oggi queste lingue “morte” (e quindi immortali) a ragazzi che vivono del disfacimento della propria lingua attraverso Facebook ed sms sgrammaticati a causa (non solo) delle abbreviazioni? Questa è la sfida degli insegnanti di oggi: rendere “commestibile” il pane della cultura, grammatica e letteratura. Come quando, recentemente, i classici sono tradotti per i bambini in linguaggio moderno dagli scrittori più in voga del momento in modo che i piccoli lettori, venendo a contatto con l’opera nella lingua che conoscono e non con quella “ostica” del loro autore, da grandi andranno a rivedersi l’originale. E allora capiranno che non c’è futuro senza un solido passato.

martedì 15 febbraio 2011

Parodi junior batte Clerici 3-0

In treno una ragazza neanche maggiorenne leggeva un libro. Subito ho pensato: “Ah vedi è un proprio un luogo comune pensare che i giovani non leggano”, concezione deontologicamente scontata per chi, come me, fa l’insegnante di mestiere. Ma la mia curiosità non si è fermata lì. Ho allungato l’occhio per sbirciare il titolo del “corpo del reato”, cioè del libro tenuto in mano dalla graziosa ragazzina: “Benvenuti nella mia cucina” e più in là un suo amico leggeva “Cotto e mangiato”, con la stessa bella signorina in copertina. Non conoscendo questi titoli, una volta giunta a destinazione,  mi informo dalla persona  che mi reco a trovare se conosce questi titoli e il loro autore.  “Certo, l’autrice è quella che presenta in cinque minuti una ricetta dopo il tiggì di studio aperto” – mi viene risposto. A quel punto, gli domando: “Cioè, tipo GUSTO del TG 5?” Risposta:” Eh, una specie. Però questo lo presenta la Parodi,  la sorella di quella giornalista famosa di canale 5”. E lì mi sono detta: “Cavolo, essendo in  testa alle classifiche di vendite non con uno, ma con due suoi libri, direi che la famosa ora è lei, non più Cristina”. Così sono andata a spulciare un po’ di interviste fatte sui giornali e anche quelle in tv, come quella bellissima che fece da “Victor Victoria” e che La7d ha riproposto qualche sera fa. Facendo queste ricerche, tuttavia, ho notato che molti giornalisti non sanno spiegarsi il perché di tanto successo; cosa che c’è da aspettarsi da una “intelligencija” che troppo spesso si limita a dare le notizie, senza interrogarsi però sulle loro cause.
 Dunque perché “questa” Parodi Junior ha fatto così breccia nei lettori e sicuramente nei suoi spettatori tanto da ottenere tale successo? Io credo che derivi dal semplice fatto che sia, o che almeno sembri, una persona normale, una di tutti i giorni, innanzitutto una donna giovane come noi, poi anche carina e gradevole televisivamente; non la solita oca o velina di turno, ma una ragazza semplice e intelligente. Con le sue ricette è capace di infondere sicurezza, nonostante il volto nuovo. E questo piace molto ai giovani; penso agli universitari che si trovano magari fuori casa e cucinano le ricette che la Parodi presenta molto “alla mano”.
 Inevitabilmente scatta il paragone con la “vegliarda” Clerici, da dieci anni conduttrice della lunghissima“Prova del cuoco” e anche lei scrittrice di libri un po’ meno fortunati. Forse perché le signore (perlopiù nonne) che la seguono conoscono a  memoria i suoi consigli (o meglio, quelli di coloro che cucinano nella sua trasmissione) e non necessitano dei suoi libri per preparare il pranzo; mentre i ragazzi la vedono come una pasticciona-chiacchierona, attaccata alle sue pentole e rea di aver scalzato dalle cucine Rai la giovane Isoardi che aveva avuto la sventura di averla sostituita durante la maternità.
La Parodi, dunque, vince la prova-fornelli perché è una giovane premiata dai giovani..

martedì 8 febbraio 2011

“Babosa Laboratory”: due sorelle e un’idea vincente. Un piccolo laboratorio sperimentale che ama le chiocciole, i colori e il riciclo

di Olga Sanese su L'Otimista del 3/2/2011

Una storia che vale la pena raccontare è quella di due sorelle, Francesca e Serena, che da un po’ avevano in testa l’idea di mettere su un’attività creativa e originale. Erano anni che la ventiseienne Francesca, la più giovane si fabbricava orecchini, braccialetti e collanine per uso e consumo personale e che Serena, di sette anni più grande, voleva svolgere attività completamente diverse da quelle che la “tartassano” nell’ufficio commerciale in cui lavora.
Così le due artefici del “misfatto”, accomunate solo dal loro desiderio di cucire, assemblare e rovistare tra le cose che non si usano più, hanno deciso di mettere, come si suol dire, le mani in pasta. In effetti, non avendo un vero e proprio laboratorio - nonostante il nome stesso della loro attività sia Babosa Laboratory - è bastato un tavolo e una stanza abbastanza luminosa per accendere l’immaginazione; anche se, per la madre delle due intraprendenti ragazze, questo tsunami di gomma, stoffa, calze, forbici, bottoni e quant’altro viene utilizzato nella loro sala da pranzo per creare oggetti, ha un significato ben differente.
Il nome babosa, in spagnolo, significa “lumaca” ed indica esattamente la parte senza guscio (anche se nel logo compare comunque la classica “chiocciola”, la cosiddetta caracol). D’altronde, tra i loro lavori,  di gusci ce ne sono una marea e alla lumachina “senza tetto” non resta che sceglierne uno! Gli oggetti creati dalle due sorelle (orecchini, cornicette, portafogli, bracciali, collane e tutto ciò che – come recita il loro motto – “si indossa, si intasca e si incornicia”) sono realizzati con gomma, lycra, plastica, stoffa, metallo e ciò che serve per ottenere qualcosa di insolito: lo scopo è proprio quello di riutilizzare materiali non riciclabili e dare loro una nuova vita. Infatti, come afferma Francesca, “pensiamo che le cose abbiano anche altre ‘anime’, non solo quelle per cui sono stati create. Ad esempio, sono sempre stata attirata dai guanti di gomma che si usano per lavare i piatti perché sono così colorati e resistenti che è uno spreco buttarli; così ci siamo chieste se i guanti non “volessero” fare altro nella loro vita che stare tutto il tempo a mollo in acqua e sapone a strofinare panni o lavare bicchieri. Ebbene, noi diamo loro la possibilità di essere qualcos’altro! Filosofia animista a parte, basta tagliare, cucire e assemblare le cose in modo diverso per far sì che ci appaiano come trasformate. Poi aggiungi qualche goccia di colla a caldo, a volte di quella per stoffa, a seconda del materiale, e il gioco è fatto!”. 
Francesca e Serena sono già al quarto mercatino che organizzano in pub o centri commerciali dove espongono i loro prodotti creativi, riscuotendo molto successo. Come quando hanno partecipato al mercatino del baratto presso il circolo Belleville di Roma, in cui hanno potuto scambiare, vendere e comprare le proprie creazioni, oggetti, vestiti ed accessori usati di qualsiasi tipo, all’interno del coloratissimo spazio del locale; il tutto accompagnato da bella musica e da un buon drink. L’intento è stato proprio quello di dare spazio alla creatività emergente degli artigiani, all’esposizione di oggettistica particolare e di fantasiose manifatture, di privilegiare il riciclo a scapito del consumismo, di dare ad ognuno la possibilità di disfarsi di ciò che non usa più, liberando gli armadi per qualcosa di nuovo e originale.
Insomma le due sorelle ce la mettono tutta, tanto che, all’inizio, avevano in cantiere l’idea di aprire un piccolo rincon tutto loro; tuttavia la più piccola delle due viaggia un po’ troppo per creare qualcosa di stabile. L’anno scorso, per esempio, è fuggita in Francia per un’intera stagione, una volta per raccogliere le albicocche e un’altra per l’uva da vino, mentre ora lavora in un famosissimo negozio di giocattoli del centro. Dunque, nonostante ognuna delle due abbia il proprio lavoro e altri interessi personali, il Babosa Laboratory, in un certo senso, le unisce. E poi la manualità e il “fai da te” sono un po’ le leggi per svagarsi e rilassarsi e uscire da quella “massificazione” generale che ci circonda, oltre ad essere una valvola di sfogo per lo stress e i cattivi pensieri.
Per qualsiasi domanda, richiesta o semplice curiosità, potete contattarle all’indirizzo mail bablab44@hotmail.it. Vi risponderanno alla velocità della luce… al contrario delle loro amiche lumache!

mercoledì 2 febbraio 2011

Dalla provincia alla metropoli, da stagista a imprenditore

Storia di un cervello in fuga che è tornato
di Olga sanese
pubblicato su La Fonte il 1/2/2011
In un periodo in cui il “calo di desiderio” causa crisi come ha di recente affermato il Censis, di fuga di cervelli e di disoccupazione giovanile, vale la pena raccontare la storia di un ragazzo, neanche trentenne, che si è fatto da solo, un vero self made man. Matteo Chiarullo, nato a Campobasso, produce software per Pirelli, Ebay, Capgemini, Visiant, Agusta e altre duecento aziende che vogliono creare o migliorare la loro visibilità on line. Vincitore dell’IG-student,  Matteo è stato premiato come giovane imprenditore italiano a soli diciotto anni; si è laureato in Marketing a Parma, mentre si prendeva cura dei suoi primi clienti già prima di discutere la tesi. Da lì si è spostato nella capitale dell’economia italiana, Milano, suo trampolino di lancio, prima come stagista, poi regolarmente assunto da una prima azienda, fino a quando non è diventato un “Internet Business Consultant”, come recita il suo sito www.chiarullo.it . Attraverso il continuo studio e aggiornamento personale, infatti, Chiarullo si è ingegnato per creare dei prodotti originali e funzionali, sempre al passo con le più moderne tecnologie internazionali. Attualmente è a capo di un gruppo di aziende che operano in diversi ambiti: dallo sviluppo di applicazioni web based alla creazione di siti e portali, dalla gestione del processo di reclutamento e selezione del personale all’incontro tra domanda e offerta di lavoro qualificato piuttosto che la ricerca di opportunità di formazione.
E la cosa più eclatante di tutto ciò è che il “dottor Mac” non vive a Milano (dove ha comunque un ufficio in Corso Magenta), ma a Campobasso; qui è situata la sede operativa in cui lavorano numerosissimi dipendenti, perlopiù informatici e ingegneri, che creano i suddetti programmi. Ebbene sì, questo giovane imprenditore è l’eccezione che convalida la regola: un ragazzo di provincia che, dopo aver conseguito un’adeguata formazione in una grande città, è ritornato in Molise, portando ricchezza e idee nella sua terra d’origine. Eppure, proprio nella sua regione, non ha nessun cliente: per la serie “Nemo profeta in patria”.
Ma Matteo è solo uno dei tanti talenti presenti sul territorio regionale e nazionale: giovani che non si sentono sprofondare dalla crisi ma cercano di volare all’altezza delle loro aspirazioni, nonostante tutto.
E, come si vede, ci riescono benissimo.

martedì 1 febbraio 2011

Il libro del futuro? È-book! L’attuale exploit di i-pad ed e-tablet potrebbe farci riscoprire il piacere della lettura

di Olga Sanese
su L'Ottimista del 26/1/2011

I libri non esistono più. Dove sono finiti? Probabilmente nel Cimitero dei Libri Dimenticati, inventato da Zafòn ne L’ombra del vento… O forse no? La prima settimana di gennaio le principali testate giornalistiche nazionali parlavano quasi soltanto di libri digitali, come se il cartaceo fosse già sparito. Le parole d’ordine erano e-book, I-Pad, eReader, eccetera. E i giornalisti dicevano che era già avvenuto il passaggio dalla carta al digitale, la Quarta Rivoluzione, così come gli antichi passarono dal rotolo al codice e poi dalla pergamena alla stampa. In effetti anche il mio professore di Filologia italiana all’Università diceva: “Noi siamo in un’epoca di transizione e non ci stiamo accorgendo della rivoluzione in cui siamo immersi”.
Ma cosa sono queste nuove “diavolerie”? Il primo e-book, cioè libro cartaceo “versato” in rete, già scaricabile sugli appositi supporti già nel 2000. Solo nel 2010, però, c’è stato un vero e proprio “e-boom” del libro elettronico. Il primo sito italiano ad esserne fornito è nato appena sei mesi fa: è la cosiddetta libreria on-line. Di conseguenza, in autunno, abbiamo assistito all’ira degli editori, scatenata dalle nuove tariffe postali; ma i promotori della rivolta non ce l’avevano tanto con l’e-book, quanto con la concorrenza dell’e-commerce (cioè la vendita di libri cartacei ordinati via internet) per i prezzi scontatissimi (anche il 30%, se si pensa a Amazon.it) lecitamente ammessi. Dunque non è l’e-book a rubare clienti al cartaceo bensì la mancanza di una legge giusta e valida per tutti i libri, ovunque essi si vendano. Ad ogni modo il 2011 sarà l’anno in cui il libro digitale s’imporrà sul mercato italiano come nuovo elettrodomestico che, per quanto tascabile, è tutt’altro che domestico. Infatti, escluso l’alto costo iniziale del supporto utilizzato per leggere questi libri elettronici (gli e-Reader, cioè i lettori speciali senza riflesso o gli i-pad, tavolette – e-tablet - da poco in commercio), gli e-book saranno di gran lunga più economici dei corrispettivi in formato cartaceo (d’altronde manca il materiale!). Per creare un e-book, infatti, bastano appena due ore (un’ora se se si tratta di un racconto). In Italia le piattaforme digitali da cui possono essere scaricati sono Mondadori, da una parte, e Rcs, Feltrinelli, Bookrepublic e Simplicissimus dall’altra.
Ma c’è un’altra novità che forse cambierà le nostre abitudini: si tratta della e-literature, cioè la letteratura che nasce direttamente on-line (e non si può riprodurre su cartaceo) perché interattiva e contenente file sonori e immagini animate. L’e-literature produce ipertesti, il cui corrispettivo su carta poteva essere, negli anni Cinquanta, l’Ulisse di James Joyce: come dimenticare, infatti, quei salti della mente stimolati dall’uso narrativo del flusso di coscienza! Eppure Joyce si poteva leggere senza l’uso di una e-tablet… bastava l’immaginazione.
Davanti a tutte queste novità che sembrano rivoluzionare la nostra vita di lettori (e scrittori), i tradizionalisti si sono già fatti promotori della difesa del libro cartaceo: toccare la carta, sentirne l’odore, tenerlo sul comodino, avere la dedica dell’autore - inseguito a un convegno o incontrato fortuitamente per strada – sono cose che non hanno prezzo, né concorrenza che tenga. E poi, d’accordo per i brevi racconti on-line che hanno massimo 40 pagine, ma come si fa a stare con gli occhi fissi per tanto tempo su uno schermo in cui entrano pochissime parole? Tra l’altro, quale dovrebbe essere la posizione delle mani e del corpo mentre si legge un e-book?
Ovviamente non mancano i difensori delle nuove tecnologie digitali che sono soprattutto i più giovani (e gli ecologisti che godono al risparmio della carta): gli e-book sono pieni di immagini (o di contenuti interattivi nel caso dell’e-literature), li puoi portare dove vuoi perché sono grandi come un cellulare, sono leggeri e non hanno mai l’aria di essere dei “mattoni”; se non conosci una parola contenuta nel libro che stai leggendo, non la devi cercare su un vocabolario ma usi lo stesso i-pad, su cui hai come l’impressione di leggere un sms dopo l’altro, invece che un tomo intero; in metropolitana puoi mettere il segnalibro digitale senza bisogno di arrivare a fine pagina entro la fermata in cui devi scendere e, infine, se c’è un errore di “stampa”, basta che l’autore rimetta in rete il testo corretto (alla faccia dello stemma codicum!). Poi, a chi dice che il libro è un oggetto di culto da esibire in una bella libreria di famiglia, i ragazzini risponderebbero: “Beh, anche l’i-pad. Anzi lo puoi esibire ovunque, non devi per forza tenerlo a casa”.
Ma è proprio vero che le nuove librerie saranno dei social network? Sull’argomento sono stati sollevati alcuni dubbi. Per esempio gli incontri con gli autori, i convegni in biblioteca, le premiazioni di concorsi letterari, dove si può anche spizzicare qualcosa da bere o da mangiare saranno sempre ineguagliabili, così come i veri rapporti con le persone che ci circondano. Anzi, dirò di più: potrebbe essere proprio l’e-book a dare una spinta alla rinascita delle biblioteche pubbliche per tante iniziative interessanti. E poi il nuovo supporto non per forza stravolgerà la narrativa, il raccontare e l’emozionare il lettore: queste caratteristiche del libro (cartaceo o digitale) rimarranno vive per sempre nei lettori e negli scrittori.
Insomma, per concludere, cambierà pure la forma, ma la sostanza non muterà mai. Dunque addio alle file del sabato pomeriggio o sotto le feste alla Feltrinelli (che intanto potrebbe trasformarsi definitivamente in Ikea, aumentando i set di piatti, bicchieri e caffettiere che già contiene): compreremo libri in qualunque punto della terra ci troviamo, scaricandoli. Addio anche agli studenti con le spalle curve dal peso dei libri e alle “sudate carte” di memoria leopardiana! Voglia il cielo che proprio il nuovo libro susciti maggiore interesse nei ragazzi e li faccia appassionare di più alla lettura. Allora guardiamo avanti perchè il libro del futuro è book! Basta spostare il trattino.