sabato 29 gennaio 2011

Noi adulti e gli adolesc(i)enziati: tra faccine e sms si dimentica come si legge e si scrive. A chi tocca dare l'esempio?

di Olga Sanese
su Liberazione del 29/1/2011
Se oggi Aristotele potesse ancora filosofeggiare direbbe che l’uomo da “animale politico” si è evoluto in “animale digitale”. Infatti, a giudicare da quello che raccontano i giornali in questi giorni, sembrerebbe che gli adolescenti siano degli automi, compositi di bit, con lo sguardo sempre fisso su uno schermo che sia del pc, della play station o del cellulare. Di conseguenza questi ragazzi-robot sono un ammasso di emozioni elettriche senza sentimento, di sentimentalismi senza amore, non sanno coltivare rapporti duraturi né creare legami stabili perché la loro batteria non ha un’autonomia sufficiente. Così vivono solo l’hinc et nunc, “carpendo il diem” nello spazio della loro cameretta, davanti a un pc: loro sono fermi ma la loro mente è on-line. Per essere felici, gli “adolescienziati” cercano emozioni molto intense e novità che li sorprendano sempre di più, ma che durano un attimo e poi fuggono il momento successivo. Il loro tempo, infatti, è un eterno presente: non conoscono il passato e non sognano un futuro. Di conseguenza non sanno cosa vuol dire impegnarsi perché è una categoria mentale che richiede più tempo dell’attimo fuggente in cui sono specializzati e che dà i suoi frutti solo dopo aver faticato a lungo. Ovviamente se non sanno cosa sia il tempo, non possono capire l’eternità. Così tutto ciò che non si può toccare non esiste, fatta  eccezione per tutto ciò che passa attraverso uno schermo, la virtualità che è la realtà in cui essi vivono . Ma il mondo è un pochino diverso da come se lo costruiscono loro con Sim city perché non si spegne come un pc quando siamo stanchi di starci davanti. Perciò sono fragili, perciò sono violenti.
Ma i ragazzi di oggi sono davvero così come li dipingono giornali e tv? Nient’affatto. Lo dicono anche i dati:  crescono i giovani che leggono, in particolare le donne; ci sono ragazzi impegnati nel volontariato (dalla compagnia agli anziani delle case di riposo alla spiegazione delle mostre, dai centri di aiuto allo studio agli oratori; c’è chi è appassionato di musica e ha un gruppo, chi compone versi, chi partecipa a circoli di politica giovanile, chi fa il deejay, chi gareggia in uno sport.
Tuttavia è vero che, con le nuove tecnologie, le abitudini di lettura e scrittura sono cambiate; molti dimenticano come si parla e si scrive, disabituati dai post sule bacheche di face book, dai cinguettìi di twitter e dagli sms dei cellulari. Simboli, abbreviazioni, “faccine” inibiscono le parole, scritte o pronunciate che siano; per non parlare della punteggiatura che ormai è usata solo per creare emoticones!
E come sono messi gli adulti, cioè i loro genitori? Non molto diversamente. Le mamme sono su facebook e scrivono “ke” con la cappa;  se fanno concorsi pubblici li inzeppano di “orrori” di ortografia, frequentano i corsi di scrittura creativa (anche per darsi un certo tono) e scoprono di non saper leggere! Insomma anche  loro non sono dei grandi modelli di riferimento per i loro figli; ma d’altronde in Italia chi lo è? Viviamo in un Paese in cui non c’è mai stata un’Accademia nazionale della lingua (nemmeno la Crusca è riuscita a imporsi)e dove sono i giornalisti a decidere le regole, la tv e la radio a inventare le parole. Da noi si vive nella falsa convinzione che un articolo di giornale possa insegnare a scrivere meglio di Cicerone e, così, anche nel tedesco Alto Adige tolgono il latino dalle scuole e inseriscono – pensate un po’ – tecnologia e informatica, come se  internet fosse la risoluzione di tutti i nostri problemi (tant’è che è diventato un indice di benessere come l’ìgiene, l’istruzione etc..). Così, mentre la nostra lingua si depaupera c’è ancora chi grida l’adozione di modelli e tecniche che aiutino a leggere e scrivere come si è sempre fatto, studiando le lingue classiche, esercitandosi con l’analisi logica e grammaticale, facendo uno schema di organizzazione testuale prima di scrivere un tema.
Dunque i genitori di oggi sono chiamati a svolgere un compito ben più difficile di ieri: dare l’esempio ai propri figli ed essere un modello di comportamento per loro anche nell’utilizzo delle nuove tecnologie, dando fiducia alle idee dei ragazzi, pensando al loro futuro in termini positivi affinchè i ragazzi portino fuori dai loro casetti i sogni e cerchino di realizzarli.

lunedì 24 gennaio 2011

INVERTIRE IL DOVERE CON IL MERITO E’ CIO’ CHE LA SCUOLA DEVE EVITARE

In questi giorni si sente parlare di studenti che vengono economicamente premiati per i loro meriti scolastici. C’è chi plaude a questa iniziativa dicendo che finalmente si fa qualcosa per mettere la basi a una società meritocratica. Tuttavia ci si dimentica che, per ogni ragazzo che frequenta la scuola, studiare è un dovere, non un merito. I ragazzi, infatti, vanno a scuola per imparare e per crescere che è la vera “retribuzione” al “lavoro” che svolgono quotidianamente.
Inoltre bisogna analizzare un po’ più approfonditamente la questione perché  dare un “corrispettivo” ai ragazzi che fanno il loro dovere potrebbe avere l’effetto opposto e risultare addirittura diseducativo; con ciò non solo si mercificherebbe il sapere – cosa che già Socrate rimproverava ai sofisti- ma si insegnerebbe ai giovani che nella vita di tutti i giorni vale la pena impegnarsi solo per un interesse economico e, quindi, a non fare mai “niente per niente”; e non finisce qui se si pensa che i ragazzi potrebbero essere traumatizzati ancora di più dal fatto che, una volta cresciuti, non appena cercheranno un’occupazione nell’attuale mondo del lavoro, potrebbero trovarsi a dover lavorare per uno stipendio da stage. Allora sì che capiranno in quale società meritocratica stanno vivendo! Infatti che mondo è quello in cui non sono passione e desiderio a mettere in moto l’uomo, ma il denaro (a volte anche pochi spiccioli)? Se non ci fosse la bellezza della gratuità a muovere il nostro cuore scomparirebbero quelle – stavolta sì – meritevoli e numerose attività, fra le quali primeggia il volontariato, che vengono svolte solo e soltanto  per amore verso il prossimo; né per dovere né per soldi ma solo per cercare di lasciare il mondo un po’ meglio di come l’abbiano trovato, parafrasando Baden Powell.
 Una volta lo studente che si impegnava più degli altri a scuola riceveva “un premio” che lo avrebbe fatto sentire davvero realizzato (altro che i 150 € promessi allo studente modello di oggi che non valgono nemmeno una play station!): viveva in un mondo che gli dava la possibilità di fare il lavoro che aveva sempre sognato e per il quale aveva studiato. Oggi, invece, la società non lo permette più: i dati sulla disoccupazione giovanile e in particolari su coloro che né studiano né lavorano parlano chiaro, e non sarà un premio di buon andamento scolastico a risolvere la questione. Infatti è noto a tutti che, vuoi per pressanti ed estemporanee esigenze occupazionali, vuoi per altrettanto pressanti “segnalazioni”, i criteri meritocratici non riescono quasi mai ad avere la meglio. Quindi, ancora una volta la nostra società inverte e sovverte i valori, facendo passare per merito il proprio dovere delle giovani generazioni che, impegnandosi nello studio, vorrebbero farsi strada con i propri mezzi nel cammino della vita.

giovedì 20 gennaio 2011

Se L’Aquila rinasce da un Canto di Dante o da un teorema di Euclide

La straordinaria esperienza di due giovani insegnanti romani, impegnati una volta al mese presso la “Città dei ragazzi”

di Olga Sanese su L'OTTIMISTA

Daniele e Luigi sono due professori romani, rispettivamente di lettere e di matematica, non ancora trentenni, che una volta la mese, finite le lezioni mattutine, si mettono al volante e si recano all’Aquila per trascorrervi il loro pomeriggio libero. A questo punto, vi chiederete perchè.
Tutto è cominciato nell’estate 2009 quando, all’indomani del terremoto, l’associazione di insegnanti e di innovazione scolastica Diesse ha avuto l’idea di creare nei pressi dell’Aquila “La Città dei Ragazzi” affinché, accanto alla ricostruzione materiale dei luoghi colpiti dal terremoto, ci fosse anche una ricostruzione morale, a cominciare dalla riscoperta della bellezza e della gioia di vivere. A ospitare “La Città dei ragazzi” è la località Sant’Elia dove sono stati installati diversi container di grandi dimensioni, sistemati in modo da offrire
degli ampi spazi interni, vivibili e ben attrezzati. L’unico grande ambiente centrale viene suddiviso in zone di competenza: da una parte i più piccoli (alunni di scuola media), dall’altra i più grandi (scuole superiori, ma anche universitari).
La scorsa estate alcune famiglie aquilane, che l’anno precedente avevano portato i propri figli alla “Città dei Ragazzi”, hanno voluto continuare quell’esperienza, chiedendo la disponibilità e il contributo di insegnanti provenienti da tutta Italia. A questo punto entrano in gioco Luigi e Daniele che, non limitandosi ad un impegno estivo, hanno scelto di continuare la loro avventura, recandosi all’Aquila una volta al mese per tutto l’anno, indipendentemente dalla stagione, dai doveri scolastici e dagli sforzi che tale impegno richiede. Per loro, dunque, non si è trattato di una fugace esperienza estiva, ma di un voler andare avanti per arrivare a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati anche solo sfiorati dalla bellezza intravista. E se qualcuno prova a chiedere a Luigi e Daniele se sapevano fin dall’inizio cosa sarebbe stato di quella “vacanza”, rispondono: “Noi siamo andati all’Aquila pensando in realtà di dover soltanto far studiare due o tre ore al giorno dei ragazzi delle superiori; dopo poco tempo ci siamo invece ritrovati con bambini e ragazzi di tutte le età, dalle elementari al liceo: abbiamo allora capito che la richiesta che ci veniva fatta era una condivisione totale di quell’esperienza e, in effetti, il dare tutto noi stessi è stato il nostro più grande guadagno. Poi non dimenticheremo mai le corse ‘a ciccicollo’ con alcuni nostri piccoli amici, né la gratitudine (spesso immeritata ma mai scontata!) che i genitori hanno avuto (e hanno tuttora) nei nostri confronti, come anche l’amicizia nata con gli altri volontari accorsi lì con noi”. Ma è un normale volontariato o è qualcosa di più? “È proprio un modo per condividere il tempo con questi amici (sono ormai tali); un tempo utile per il bisogno dei ragazzi di studiare, ma anche per noi insegnanti, che vediamo accadere ogni volta piccoli miracoli”.
Dunque dal grande evento della “Città dei ragazzi” aquilani, nasce il desiderio di questi due giovani insegnanti di voler continuare il loro personale aiuto alla ricostruzione, attraverso lo studio, per dimostrare che la vita prosegue anche d’inverno e, soprattutto, quando si spengono i riflettori di giornali e TV. Così non si dimentica L’Aquila. Perché L’Aquila non dimentica.

martedì 18 gennaio 2011

Il TFA vuole aspettare la fine del mondo del 2012 per cominciare

SCUOLA/ 3 condizioni per insegnare in libertà
di Fabrizio Foschi per Il Sussidiario.net
martedì 18 gennaio 2011
Il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti ha superato quasi indenne il giudizio della Corte dei Conti. È quanto si apprende dal sito internet di Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini, alla cui assidua e capace opera di negoziatore fa capo l’intricata materia. Le modifiche apportate dall’organo di controllo non toccherebbero la sostanza del pacchetto di norme riguardanti il percorso formativo e abilitante dei docenti.

Ad ogni modo può riprendere il lento cammino verso, si spera, il traguardo definitivo, un testo al destino del quale sono legate le sorti di ormai tre generazioni di studenti laureati in discipline attinenti l’insegnamento, ma privi dell’abilitazione necessaria per lavorare nella scuola, nonché le aspettative di tanti giovani che ancora guardano alla professione educativa come ad compito che unisce vocazione e responsabilità verso l’altro.

A questo punto se ne attende la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che dovrebbe preludere all’avvio, dall’anno accademico/scolastico 2011-2012, sia delle nuove lauree magistrali così come previste dal nuovo quadro, sia del tirocinio formativo attivo (TFA), che si profila come l’unica modalità di abilitazione percorribile sul territorio nazionale per quanto riguarda gli insegnamenti della secondaria di I e II grado.

sabato 15 gennaio 2011

ABILITAZIONE VO’ CERCANDO

Il 17 gennaio i neo laureati e gli insegnanti non abilitati avranno forse una risposta sul loro futuro . Max Bruschi, consigliere del Ministro Gelmini, ha deciso di incontrarli in un convegno organizzato a Milano dall’associazione DIESSE e fortemente voluto dal suo Presidente, Fabrizio Foschi.
Il sottotitolo del convegno recita “Prospettive immediate e future per un giovane che voglia insegnare”. Attualmente, infatti, nel nostro Paese,  esiste un vuoto legislativo – iniziato ben tre anni fa con l’ultimo ciclo della SSIS– che non assicura un percorso abilitativo a chi si laurei e voglia insegnare le sue materie nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.
Tante sono le conseguenze di questa de-ficienza tutta italiana: la difficoltà di entrare nella scuola per i più giovani, il divieto delle paritarie di assumere i non abilitati (ai quali vi ricorrono solo in estreme condizione di penuria di docenza), l’impossibilità di trovare anche soltanto delle supplenze. A tutto ciò si aggiunga anche lo “spettro” del blocco delle graduatorie, il cui aggiornamento è previsto per giugno di quest’anno: infatti pare che ci sia la volontà ben precisa di impedire che docenti del sud facciano domanda nelle città e nelle regioni del Nord Italia, dove ci sarebbero maggiori possibilità occupazionali..
Tra i rimedi a questa situazione, invece, compare la via dell’abilitazione estera, unica soluzione rimasta agli aspiranti insegnanti italiani. Questi, infatti, possono recarsi nei Paesi dell’UE, conseguire l’abilitazione (in modi e tempi abbastanza discutibili) e ritornare nel loro Paese e iscriversi alla prima fascia delle graduatorie. Per chi resta in Italia, invece, la strada per diventare insegnanti resta sbarrata, per ora, e molti sono coloro che hanno richiuso nel cassetto il loro sogno di insegnare e stanno facendo o imparando un altro mestiere che, spessissimo, non ha nulla a che vedere con il loro cursus studiorum
Tuttavia è da quest’estate che è stata approvata da Camera e Senato la nuova strada per abilitarsi, il TFA (Tirocinio Formativo Attivo), di durata annuale, che sostituisce la vecchia SSIS. Si tratta di una nuovo percorso abilitativo, con le medesime modalità di accesso della SSIS, a parte un occhio di riguardo per coloro che abbiano svolto il dottorato di ricerca o abbiano insegnato per almeno trecentosessanta giorni; insomma una minisanatoria a favore di coloro che aspettano da più tempo che il vuoto legislativo venga colmato. 
Dunque, mentre non è ancora uscito il bando di concorso per questo TFA e i giovani non abilitati ancora attendono notizie sul loro futuro, il diciassette gennaio potrebbero esserci comunicate le novità tanto sperate.

venerdì 14 gennaio 2011

a(u)tomi nucleari

L'altro ieri il Corrierone si è accorto della pubblicità del nucleare che il FORUM ha promosso in televisione, dicendo che i protagonisti non sono delle persone ma degli automi.
Bravi...peccato, però, che io l'avevo già scritto 10 giorni fa sul blog!

martedì 11 gennaio 2011

C’era una vodka…

…in un bicchiere molto lontano, una fanciulla che raccoglieva della menta fresca per fare un buon mojito.
Beh, se il mio barman potesse scrivere un libro, sicuramente lo inizierebbe così. Poi abbinerebbe a ogni bevanda descritta un libro della letteratura, a ogni cibo una poesia e finirebbe sicuramente col farmi girare la testa.
Peccato però che qualcun altro gli abbia rubato l’idea; infatti sul Corriere (quel quotidiano che io chiamo il “Lenzuolo della Sera”) è apparsa la recensione di “C’era una vodka”, libro che io sognavo di scrivere a quattro mani (e due bicchieri) insieme al mio barista, perché come dice il giornalista Giovanni Russo “Un buon barman è come Virgilio”.
Complimenti dunque a Sapo Matteucci che ne è il fortunato autore!

lunedì 10 gennaio 2011

“Amor che nulla…” : cosa c’entra la Nannini con Dante?

Ascoltando l’ultimo singolo della Gianna nazionale sicuramente avrete notato la citazione dantesca (seguita da “variatio”) nel ritornello, quando dice “Amore che nulla… - e poi continua – ha dato al mondo”.
Immediatamente nella nostra mente si affaccia il V canto dell’Inferno de “La Divina Commedia”, laddove Francesca racconta all’Alighieri la sua passione amorosa e lussuriosa con Paolo, dicendo “Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende…  Amor, ch'a nullo amato amar perdona… Amor condusse noi ad una morte “.
Ora chiediamoci se il riferimento sia voluto. Beh, analizzando il testo della canzone, la Nannini parla del parto della figlia “Amor che bello darti al mondo”, appellandola “Amor”; afferma che la bimba – per ora – non ha dato nulla di suo al mondo (“Amor che nulla hai dato al mondo”) e la esorta a farlo (“Amor che bello darsi al mondo”). È una concezione vitalistica dell’esistenza: vivere non significa semplicemente respirare ma darsi da fare, contribuire con la propria vita alla comunità e al bene di tutti. Qui mi sembra che la Nannini si avvicini proprio al “dolce stil novo”, a quella concezione dell’amore che a chi ama non permette di non essere corrisposto: infatti, come la nascitura ha ricevuto tutto dalla mamma prima di venire al mondo (“l’alba”) così è chiamata – una volta nata – a ricambiare quel sentimento, non solo verso il genitore ma verso il mondo che la ospita. Certo non si tratta di amore carnale tra un uomo e una donna come nel caso di Paolo e Francesca, ma di amore filiale. Quindi la Nannini s’ispira al Padre della letteratura italiana per la prima canzone dedicata alla figlia.
E menomale che Dante era una cosa superata.

venerdì 7 gennaio 2011

Professoressa VS prof. – Confronto con la mia insegnante del liceo

Lei è in pensione dal primo settembre di quest’anno, dopo aver passato tutta la sua vita nella scuola.
Io sono precaria dal primo settembre di ogni anno.

Lei, l’hanno sempre chiamata Professoressa.
Per me si sono fermati, sin dall’inizio, alle prime quattro lettere: Prof.

Lei,  in 40 anni di servizio non ha mai messo una nota né sbattuto nessuno fuori dall’aula.
Io l’ho già superata. E non sono neanche al terzo anno d’insegnamento.

Lei, ti richiamava al dovere soltanto con la forza del suo sguardo.
Io, in una climax ascendente, passo dalla voce alle urla.

Lei, prima di interrogare, scorreva il suo ossuto dito sul registro, mentre noi sprofondavamo sotto il banco in maniera proporzionale a come passava dalla A alla Z e pregavamo tutti i santi di non essere chiamati, giurando di studiare il giorno dopo. E poi il giorno seguente la scenetta si ripeteva puntualmente allo stesso modo.
Io il silenzio lo ottengo solo da parte dell’interrogato che fa scena muta.

Lei, quando entrava in classe, tutti la salutavano col “Buongiorno” e alzandosi in piedi.
A me, mi si fila solo una che mi dice “Bella prof, come butta?”

Lei, dopo il terremoto, raccolse tutti i compiti della classe invece di catapultarsi fuori dalla scuola.
Io… beh…. Non saprei…

Lei e i genitori facevano una squadra invincibile contro di noi.
A me invece tocca guerreggiare con genitori che difendono i propri figli a spada tratta e con i Presidi che tutelano i loro clienti.

Lei, se sgridava qualcuno, lo copriva di un’onta incancellabile che i compagni ti facevano pesare ancora di più.
Io, se richiamo qualcuno, lo trasformo in un eroe.

Lei, però, era un’entità eterea, inarrivabile, con la quale non si poteva parlare mai, a meno che non eri interrogato. Se avevi un problema esistenziale, te lo dovevi tenere e se avevi un dubbio te lo dovevi risolvere da solo.
Io, invece, ho la fortuna di poter ascoltare tutto ciò brulica nella mente dei ragazzi perché oggi gli studenti sono aperti come conchiglie e non hanno segreti nemmeno per i loro insegnanti.

mercoledì 5 gennaio 2011

Caro adolescente, inizia un nuovo anno!

Dopo aver letto “La finestra dell’attesa” di A. d’Avenia, ho subito pensato di scrivere una lettera agli adolescenti.
Cari ragazzi,
vi scrivo per chiedervi se l’anno nuovo vi è durato solo la notte del 31, se alla fine del brindisi già sentivate che il vostro vestito nuovo era diventato vecchio e se ora attendete ancora qualcosa, ciò che credevate di ottenere dopo la mezzanotte e che non è ancora arrivato.
La vostra attesa c’è ancora e ci sarà sempre. E non è “voglia di qualcosa di nuovo”, non è un piercing o un tatuaggio a colmare il vuoto che sentite dentro. Sentiamo tutti un’inquitudine, grandi e piccoli, perché fa parte della vita. Un’alunna, in un compito, l’ha definita “quel SANO vuoto che appartiene alla natura umana”.
All’inizio di quest’anno, perciò, se volete davvero una “vita nuova”, cioè se desiderate vedere le “cose vecchie” splendere sotto una luce nuova e più vera, cercate di scoprire cos’è la felicità e aggrappatevi a quella con tutta la vostra forza. Andate alla ricerca di un sogno e fatene la vostra ragione di vita, cosicché le giornate abbiano un senso, una direzione, uno scopo.
E sarà passato davvero l’anno vecchio perché la vostra vita sarà come rinnovata.

lunedì 3 gennaio 2011

Più che il nucleare mi fa paura la pubblicità sul nucleare

Tantissime coppie che giocano a scacchi. Ciascuno ha come avversario il suo sosia, o meglio, sé stesso. La musica di sottofondo è più paurosa di un film di Dario Argento, più inquietante di uno di Hitchcock e, al dir poco, ansiogena.  Ad ogni mossa di scacchi corrisponde una frase sul nucleare. Una parte delle coppie è favorevole, l’altra corrispondente è contraria; il tutto per dire che dentro di noi ci sono due anime che combattono tra loro se essere pro o contro questa “nuova” (solo per l’Italia) forma di energia e che, se non ci sono, devono nascere subito. È un imperativo categorico prendere posizione sul nucleare. Così come dice l’omino della coppia più vicina allo schermo televisivo che, alla fine dello spot, sembra assalire e interrogare lo spettatore: “E tu sei favorevole o no al nucleare?”
Non so se chi sta facendo questa campagna di “informazione” sia un promotore o meno dell’energia nucleare ma, se lo è, credo che si stia tirando la zappa sui piedi. La pubblicità che ha creato fa davvero paura e forse chi era favorevole al nucleare potrebbe – dopo averla vista - ripensarci. O, peggio, scambiarla per una campagna a favore della clonazione.

domenica 2 gennaio 2011

Un augurio di buon anno affinché valorizziamo il nostro tempo

All’inizio di ogni anno mettiamo in cantiere i nostri progetti, i nostri sogni, facendo il punto della situazione su cosa è andato bene nell’anno appena trascorso e cosa tocca migliorare in questo nuovo tempo che ci è dato. Ma che cos’è il tempo e come possiamo utilizzarlo al meglio?
“Chi ha tempo non aspetti tempo” ripeteva mia nonna, “Carpe diem” diceva Orazio, “Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi” insegnava la maestra. Tutti questi sono inviti che sentiamo fortissimi all’inizio di ogni anno e che facciamo fatica a rispettare man mano che passano i giorni.
Perciò  dobbiamo augurarci di dare valore al nostro tempo, sempre, con la consapevolezza che “ non perderne neppure un pezzettino” non significhi godere dell’oggi senza avere una prospettiva del domani, ma scoprire che presente, passato e futuro sono inscindibili tappe del nostro cammino.
AD MAIORA.