lunedì 14 gennaio 2013

Dolce Stil Renzi - La rivoluzione della politica tra Dante e Twitter


su Pagine di dicembre 2012

Su quel ramo dell’Arno che volge a Mezzogiorno, in una povera città – secondo Marchionne – chiamata Firenze, viveva un tal Matteoo, come dicevan tutti”, Renzi, che sognava di cambiare la politica come gli stilnovisti avevano rivoluzionato la poesia. Infatti, come i poeti del Duecento, anche l’esponente del Pd parla in maniera “nova” e crede che la nobiltà (cioè la politica) non appartenga più alla “schiatta” – ovvero alla classe sociale – ma all’animo e che la donna non sia di carne ed ossa (come alcune Ministre di un recente passato) ma puro spirito d’angelica forma.
Il nuovo libro del Sindaco di Firenze, “Stilnovo -  La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter”, è un confronto tra la politica di oggi e quella di ieri attraverso la celebrazione della storia della sua città, nella convinzione che “historia magistra vitae” (la storia è maestra di vita), come ripeteva il suo conterraneo Machiavelli, formatosi sulle “Storie” di Tito Livio. Come lo statista cinquecentesco, anche il Gonfaloniere odierno con questo libro veste i suoi panni migliori nel conversare metaforicamente con gli antichi suoi concittadini.
Nonostante Renzi abbia intitolato Stilnovo la sua quarta fatica letteraria egli stesso sembra incarnare il Tramaglino manzoniano: per la lingua usata (fiorentino d’uso), per l’irruenza di Renzo nell’assalto ai forni milanesi (fuor di metafora, al partito in cui è nato) e perché vorrebbe combattere quelle ingiustizie e quelle inefficienze che nella storia ci sono sempre state. Ma c’è una bella differenza tra il romanzo e la realtà renziana: nel secondo caso, infatti, i guai arrivano quando… te li vai a cercare a colpi di Big Bang e rottamazioni. Per questo don Rodrigo-D’Alema – simili anche per il baffetto – e i suoi Bravi avrebbero voluto far fuori il giovincello con la faccia da boy scout. 
Ma allora perché un libro di politica che parla di bellezza? Perché Dostoevskij scrisse proprio a Firenze la famosa frase “la bellezza salverà il mondo” e Renzi è convinto che il bello abbia una rilevanza etica e sociale (come tanta filosofia da Platone ad Hegel insegna) e che, citando Pasolini, rompa “il finito limite” per riempire “i nostri occhi di infinito desiderio”. Ed è proprio il desiderio, la volontà di fare e di essere, che ha permesso a fiorentini come Vespucci, nato sull’Arno, di navigare l’Atlantico fino all’America.  Tra tutti i personaggi citati nel libro, protagonisti indiscussi della storia di Firenze sono sicuramente i Medici di cui sente diretto discendente (come Augusto lo era di Enea…molto alla lontana in realtà!) e sostiene che la qualità di governanti si misurava dalla cultura dei loro sudditi. Non mancano uno spazio dedicato alle donne fiorentine da Matilde di Canossa a Oriana Fallaci; qui avrebbe forse voluto citare anche sua moglie, insegnante di lettere, che probabilmente lo ha aiutato a ricostruire il programma scolastico di storia presente nel libro. Anche se, come dice l’autore, la storia è solo di contorno al messaggio da trasmettere ai lettori: “non è che vi dovete preparare a un esame universitario: state assaggiando una città”. E, a tal proposito, non manca neanche la gastronomia toscana: la bistecca fiorentina (descritta come piatto veloce per i priori che erano oberati di impegni) e la ribollita (esaltata per evidenziare la cultura del riciclo del cibo dato che a Firenze “non si butta via nulla”). Per questo il libro è anche un invito a ridare alla città ciò che lei ha dato a te, cittadino, quando ti ha accolto, cresciuto e richiamato “alla tua identità, alla tua vocazione, al tuo talento”.
Parole davvero profonde unite a un humour toscano hanno fatto raccapricciare giornalisti come lo stesso Claudio Giunta che ha letteralmente fatto a pezzi Stilnovo, tacciandolo di patetismo e saccenteria. In fondo è proprio per quest’ultima (unitamente alla sua giovane età) che Renzi si è attirato le antipatie di molti e l’irrisione di comici come Crozza che lo ritraggono come un bambino che nomina Ministro l’orso Teddy.  In realtà colpisce molto di più la sincerità disarmante di certe affermazioni del Sindaco, l’autocritica che fa prima a se stesso e poi al suo partito. A quest’ultimo sono dedicate le frasi più taglienti come quella sui dirigenti paragonati a ragazze pon- pon che gridano “datemi una P, datemi D, datemi S” per raccontare come si è passati da Pds a Ds a Pd, con il rischio di finire in Ps (dove al posto di partito socialista preferisce sciogliere la sigla in “post scriptum”). Non ultima la lite sulle liste di (pro)iscrizione alle primarie del Pd a causa delle quali è dovuto ricorrere al garante per la privacy per fare in modo che non si sapessero i nomi di quei moderati (magari ex elettori del centro-Destra) che hanno votato per lui. Sono proprio questi coloro i quali lo paragonano allo stesso Berlusconi per la cura dell’immagine e del linguaggio, ma anche per alcune sue idee non proprio di sinistra.
Cosa  crede di fare (Il programma)
Attraverso la storia della città, Renzi fa trasparire il suo programma politico, riconducibile alla frase del ciclista BartaliGli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifareo a quella dei futuristiC’è bisogno di distruggere”, non solo di costruire. Ma la rottamazione avrà davvero successo solo se chi rottama non farà “rimpiangere i rottamati”. Per Renzi la prima cosa da fare è abbattere i costi della politica attraverso il dimezzamento del numero dei parlamentari, lo scioglimento del Senato, la chiusura del Cnel, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e dei rimborsi elettorali (tutti provvedimenti che strizzano l’occhio a Grillo); a queste si aggiungano la depoliticizzazione della Rai (nel libro elogia il servizio pubblico svolto da La7 sulla tragedia toscana del Giglio) ed eliminazione delle camere di commercio.
Solo dopo una pars destruens, possono sorgere delle proposte costruttive. Innanzitutto, secondo Renzi, occorrerebbe un sostegno creditizio alla piccola e media impresa, la diminuzione delle tasse per il lavoro dipendente con aumento di 100 euro in busta paga, l’aumento del numero degli asili nido anche per incentivare l'occupazione femminile; l'introduzione di una serie di riforme volte ad attirare in Italia investimenti esteri; una battaglia sulla legalità (e qui bacchetta certo buonismo di sinistra), la lotta alla corruzione e alla grande evasione fiscale.
Altri punti del suo programma sono: far emergere quella Big society che in Italia esiste già attraverso l’istituzione del Servizio civile obbligatorio (al posto della naja, abolita anni orsono) su suggerimento del giornale “Vita - non profit”, testata che si occupa di terzo settore, anche perché l’originale senso della missione del sindacato è ormai annacquato; ricostituire luoghi di aggregazione sociale (togliendo Bingo e Videopoker); l’apertura di musei e biblioteche fino a mezzanotte. Nel campo culturale ha lanciato l’idea di un concorso per finire la facciata della chiesa di S.Lorenzo secondo il progetto di Michelangelo o bandendo una gara tra “gli architetti contemporanei più tosti”. A tal proposito ha tuonato sul consumo del suolo (e Celentano sul Corriere ha dato plauso alla sua iniziativa, vedi “Cosa ha fatto”) per spingere a favore delle ristrutturazioni delle case del centro storico più che sulla creazione di nuove periferie. Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti propone, accanto a un forte sistema di prelievo differenziato dei materiali riciclabili, l'uso dei termovalorizzatori.
Ma per fare tutto ciò bisogna ripartire dall’educazione, dalla scuola e dall’università (e qui inserisce una frecciatina ai baroni universitari e ai tecnici: “dov’erano quando si è combinato tutto il pasticcio in cui ci troviamo?”). Sdrammatizza poi sulla fuga di cervelli sostenendo che bisognerebbe meravigliarsi del contrario, cioè del fatto che non venga nessuno dall’estero o che chi parte non faccia più ritorno.
Cosa ha già fatto
Da Presidente della Provincia di Firenze ha ridotto le tasse, i costi dell’Ente e al tempo stesso ha accresciuto l’impegno della Provincia nel settore culturale e ambientale. Tuttavia è stato indagato dalla magistratura per i costi di alcune assunzioni.
Come Sindaco di Firenze ha dato il via ad una operazione trasparenza pubblicando redditi e proprietà personali sul sito del comune; ha pedonalizzato le zone più importanti del centro; ha fatto un piano strutturale a Volumi Zero, spingendo per circolazione auto elettriche; ha dato via libera al funzionamento della Tramvia. Infine sostiene una campagna contro le morti su strada dovute a incidenti, tramite un inasprimento delle pene e il nuovo reato di "omicidio stradale".
Il 6 dicembre 2010 si è recato a pranzo ad Arcore per parlare di Firenze con l’allora premier Silvio Berlusconi (cosa che gli è costata numerose critiche interne al partito).
Nell'ottobre 2011, dopo la prima manifestazione alla Stazione Leopolda I, ha creato una "tre giorni" di proposte chiamata "Big Bang", a cui hanno partecipato professori, scrittori (come Alessandro Baricco o Edoardo Nesi), studenti, economisti (Luigi Zingales), imprenditori (Martina Mondadori), personaggi dello spettacolo (Fausto Brizzi, Pif e Giorgio Gori, ex dirigente Fininvest e già direttore di Canale 5), politici come Sergio Chiamparino, Arturo Parisi, Ermete Realacci, Pietro Ichino.
Ha affermato che se fosse stato un operaio della Fiat di Pomigliano d'Arco avrebbe votato a favore del referendum proposto da Sergio Marchionne, tuttavia rimane profondamente deluso dalle scelte effettuate dell’A.d. dopo il referendum.
Nel giugno 2012 ha organizzato la seconda edizione del Big Bang, denominata Italia Obiettivo Comune, al Palacongressi di Firenze.
In questi anni ha scritto per Giunti: Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro. La politica spiegata a mio fratello, con Lapo Pistelli e interventi di Romano Prodi, Luciano Violante, Carlo Conti, 1999; Tra De Gasperi e gli U2. I trentenni e il futuro, 2006; A viso aperto, 2008; “La mi’ Firenze”. 1949-2009. Confartigianato racconta la città, con Giancarlo Antognoni, Ettore Bernabei, Cesara Buonamici, Franco Cardini e Irene Grandi, 2010. Per Rizzoli: Fuori!, Milano, 2011.

Chi è (La Biografia) – Chi si crede di essere (LoRenzi il Magnifico)
Parlando di Pinocchio, nel suo libro Renzi afferma: “C’è chi dice che ci voleva il cuore di un fiorentino (Collodi) a far muovere un pezzo di legno. Secondo me solo un fiorentino poteva dire tutte quelle bugie”.
Fiorentino di 37 anni, sposato con Agnese, un'insegnante di liceo, ha tre figli.  Originario di Rignano sull'Arno, figlio di un consigliere comunale della D.C., ha frequentato il Liceo Ginnasio Dante e l'Università di Firenze, dove si è laureato in Giurisprudenza, con una tesi su Giorgio La Pira. Cresce agli scout dove ha diretto la rivista nazionale Camminiamo insieme. Come il fondatore, Baden Powell, vorrebbe “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”. A diciannove anni ha partecipato come concorrente a La ruota della fortuna, vincendo 48 milioni di lire. Ha lavorato nell’azienda di famiglia, società di servizi di marketing addetta alla vendita del quotidiano La Nazione.
Nel 1996 ha contribuito alla nascita dei Comitati Prodi e si è iscritto al Partito Popolare Italiano, di cui è diventato, nel 1999, segretario provinciale. Nel 2001 è stato coordinatore de La Margherita fiorentina e, nel 2003, segretario provinciale. Dal 2004 al 2009 è stato presidente della Provincia di Firenze. Il 29 settembre 2008 si è candidato alle elezioni primarie del Partito Democratico per la candidatura a sindaco di Firenze (finanziate da Lusi, secondo il giornale Libero) e le ha vinte a sorpresa (aiutato anche dal voto dei sedicenni), con il 40,52% dei voti, il 15 febbraio 2009. È diventato Sindaco di Firenze battendo Giovanni Galli (Pdl) e senza richiedere l’appoggio della Sinistra estrema. Il 13 settembre 2012 si è candidato alle primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra alle elezioni politiche del 2013.

SONO RIMASTI AL VERDE


di Olga Sanese su Pagine di luglio 2012


Lega ladrona. Questo è stato sicuramente lo slogan più diffuso sulla maggior parte dei giornali per descrivere come anche l’irriducibile Lega si sia “slegata” dopo lo scandalo Belsito-Rosi Mauro- Renzo Bossi sui fondi pubblici destinati al partito e, invece, utilizzati per spese personali, per creare un fondo in Tanzania, per comprare diamanti, per attivare una macchina del fango stile Il Giornale su Roberto Maroni. Dunque anche un partito-anti-politico come quello che sogna una Padania libera è stato trovato con le mani nel “sacco (di Roma”). Giustizia ad orologeria sotto le elezioni amministrative di maggio? O fio da pagare per chi ha osato contrastare il governo dei tecnici? Di sicuro, per salvare il salvabile, Bossi padre si è dovuto dimettere da segretario nazionale il 5 aprile (una sorta di 25 luglio del Gran Consiglio della Lega), affidando il partito del Nord al Triumvirato Calderoli – Maroni- Dal Lago. Tuttavia, come insegna la storia, dei tre ne rimarrà solo uno. Incontrastato.


Cronologia dei fatti

Quando la Lega era ancora al Governo con Berlusconi già scricchiolava tra Maroniani e Cerchio Magico: da una parte il Ministro dell’Interno e i suoi seguaci (fra i quali spicca Tosi, già Sindaco di Verona), dall’altra la famiglia del Senatùr con Calderoli, Reguzzoni and company.
Sotto il Governo Monti la Lega è l’unico partito che si schiera all’opposizione (insieme a Di Pietro che, però, va a giorni alterni…), rinfacciando errori all’antico alleato PdL e maledicendo il suo scendere a patti con i tecnici. Ad ogni modo contro il nemico comune il partito del Nord si era ricompattato al suo interno. Ma l’unità è durata ben poco.
Il 3 aprile arriva la doccia fredda (e l’acqua non è quella dell’amato dio Po): il tesoriere della Lega Francesco Belsito è indagato con le accuse di finanziamento illecito ai partiti, truffa ai danni dello Stato e riciclaggio (e pare che la cosa andasse avanti dal 2004). I soldi dei rimborsi elettorali venivano usati per vacanze, cene e ristrutturazioni della famiglia Bossi. A ciò si aggiungano gli investimenti di fondi in Tanzania Cipro.
Le inchieste sono partite dalla Terronia (Napoli e Reggio Calabria) dove spuntano anche possibili collegamenti con la criminalità organizzata, un po’ quello che raccontava Roberto Saviano a “Vieni via con me” e che Bobo Maroni si era affrettato a smentire auto-invitandosi ad una puntata della nota trasmissione condotta da Fabio Fazio su Rai 3.
Tra le varie perquisizioni di abitazioni e uffici spicca la sede del Sinpa, il sindacato della Padania, la cui segretaria è la vicepresidente del Senato Rosi Mauro, protagonista – insieme a Belsito e ai Bossi - della vicenda oscura che ha avvolto la Lega.
A Renzo Bossi, il pluribocciato figlio del Senatùr, sarebbe stata finanziata tutta la campagna elettorale da consigliere regionale, oltre alla lista bloccatissima che gli ha permesso di evitare la gavetta da normale militante e di iniziare la carriera politica da figlio del Boss(i). Ed è stato proprio il figlio a travolgere il padre (un po’ come nel mito greco è stato per Zeus e Crono) grazie ad un’intervista rilasciata al settimanale “Oggi” dal  suo autista personale. “Ero il suo bancomat” – ha rivelato – raccontando le pazze spese del “figliol prodigo” con i soldi del partito. Insomma Bossi junior assaliva le casse della Lega come il Renzo del Manzoni faceva con i forni…non pensando che il Ferrer di turno avrebbe potuto incastrarlo.
A quel punto, con un gesto plateale, l’Umberto fa dimettere il tesoriere, il figlio e si dimette lui stesso dopo lo storico incontro a Via Bellerio, sede storica della Lega, con tutti i dirigenti: altro che partito del popolo!   
L’unica che non si dimette è Rosi Mauro che vuole, da buona leghista, “tenere duro”. Ma nessun cerchio magico, né qualche ampolla fatata la salverà dalla gogna mediatica che, dopo i burlesque di Berlusca, non sapeva più di cosa parlare. Ora, invece, tra Lega Nord e difficoltà del PdL nella Lombardia di Formigoni, le firme di sinistra tornano lietamente a gettare fiumi di inchiostro (e per niente  simpatico) e a puntare i riflettori sugli avversari politici. Ma non finisce qui. Dopo pochi giorni dal caso Belsito si scopre che con i soldi del partito veniva finanziata anche un’inchiesta di servizi segreti leghisti volti a screditare l’ex Ministro degli Interni. È il “casus belli”, la goccia che fa traboccare il vaso in casa Lega: da tutto ciò Maroni, invece che esserne avvilito, ne esce vincitore. E, invece, di denigrare l’avversario di una guerra civile tutta interna alla Lega e distruggere il partito, può permettersi di difendere Bossi (dicendo che non sapeva), perdona chi gli metteva le cimici e si impadronisce del Partito del Nord, senza il fastidio di qualsiasi improbabile concorrente.
Inizia così il contrattacco leghista: proposta dello sciopero fiscale contro l’Imu e tutte le tasse aggiunte dal Governo Monti. È solo l’inizio della risalita di un partito che ha ancora forti radici nel Nord e che non vuole cedere il suo territorio a nessun tecnico di turno.


Antecedenti

A ringraziare Belsito è sicuramente Luigi Lusi, il tesoriere che ha sottratto 13 milioni di euro alla Margherita, di cui non si è più parlato dopo lo scandalo dei fondi pubblici della Lega.
Dopo essere stato in tutte le trasmissioni a ripetere di non sapere nulla e di essere stato frodato da Lusi, l’ex segretario della Margherita Francesco Rutelli non si è certo dimesso, a differenza di Bossi. La questione, in realtà, era molto grossa se si pensa che la Margherita è uno dei partiti che forma il Pd, nato dalla fusione con i Ds, con i quali aveva in comune proprie le casse del Tesoro. E il caso Lusi-Rutelli ha rischiato di mettere nei guai lo stesso Pierferdinando Casini che ha inglobato nella sua Unione di Centro, oltre al Fli di Gianfranco Fini, anche l’Api di Ciccio-Bello, con la sua idea di distruggere il bipolarismo e fondare un “Partito della Nazione”.
Intanto l’ Italia dei Valori è partita in quarta con un referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti e il PdL di Alfano annuncia - per il post-elezioni - la più grande novità politica che la storia italiana abbia mai avuto, una sorta di Big-Bang, per dirla con il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Ai posteri l’ardua sentenza.



Cronologia del Carroccio: un partito “diverso” che si è omologato alla Prima Repubblica

Umberto Bossi nasce a Cassano Magnago il 19 settembre 1941.
Nel 1975 si iscrive al Partito Comunista Italiano.
Nel 1982 fonda, insieme a Maroni e Leoni, la Lega Autonomista Lombarda.
Nel 1983, alla prima prova elettorale (“Lista per Trieste”), ottiene 157 preferenze.
Il 12 aprile 1984 fonda la “Lega Lombarda” in occasione delle elezioni europee nelle quali ottiene 1630 preferenze. 
Nelle elezioni del 1987 Bossi viene eletto senatore.
Il 4 dicembre 1989 nasce la “Lega Nord” e Bossi viene nominato Segretario Federale al raduno di Pontida (Bergamo).
Alle elezioni del 1992 viene rieletto alla Camera con 240.253 preferenze.
Nel 1994 la Lega si allea con Forza Italia e vince le elezioni. Berlusconi è Presidente del Consiglio.
Ma dopo poco Bossi rompe con il Cavaliere, facendo venire meno la fiducia al suo Governo.
Si va ad elezioni anticipate nel 1996 e la Lega ottiene il 10,8 % dei voti.
Nel 2001 la Lega torna a governare con la Casa delle Libertà. Bossi è Ministro delle Riforme.

sabato 5 maggio 2012

Ieri è andata in onda l'ultima puntata e senz'altro risultano vincenti personaggi come Vicky di Casapound o l'hostess di Brianair, interpretati dalla giovanissima sorella della conduttrice.
Brava anche Sabina Marcegaglia e Palombelli!

martedì 24 aprile 2012

è opportuno mettere voti infimi?

di Olga Sanese su L'Ottimista del 20/4/2012

Sul pianeta scuola si agitano, al momento, due dibattiti: il primo, sull’uso cosiddetti “brutti voti”; il secondo, sulla spinosa questione del carico di compiti a casa.
Recentemente ha fatto notizia che un liceo milanese si sia schierato a favore di una scala di voti che parta dal 4: secondo il Preside, infatti, mettere voti al di sotto di quel numero che indica già la grave insufficienza non fa altro che mortificare l’alunno. Ancora meno senso avrebbero voti del tipo “2 meno, meno” o “1 più” (tanto per incoraggiare!) che spesso solleticano il riso del ragazzo invece che il suoscoraggiamento.
Tuttavia è lecito vietare l’uso della scala numerica o, peggio, censurarne una parte? “I voti vanno da 1 a 10” diceva una mia professoressa (e poi, però, si limitava ad usarli dal 4 all’8, bontà sua!). Purtroppo, però, è anche vero che  correggendo taluni tipi di compiti (in primis le “odiate” versioni di greco e latino) ci si accorge che c’è differenza tra un compito da 2 (l’elaborato è totalmente sbagliato e le frasi non hanno senso), quello da 4 (tanti errori in frasi perlomeno costruite) e l’unico voto a sue cifre, il 10, su cui il Prof. non deve nemmeno appoggiare la penna. Ebbene sì: dei bravi non si parla mai. Anzi. Il recente libro del Prof. Dell’Oro sostiene che la scuola deve dare ancora maggior attenzione ai “Lucignolo” di oggi, quando in effetti è già tutto calibrato su di loro; basti come esempio il fatto che le ore in più sono sempre di recupero e quasi mai di approfondimento o che, durante la lezione, “i bravi” sono svantaggiati dal chiasso dei meno bravi. Questa è una mortificazione sicuramente più grave di quella che può provare un ragazzo che non ha studiato quando il professore gli riporta il compito con un “votaccio” scritto in rosso o, peggio, in blu.
Tuttavia è vero che il lavoro dei Professori è particolarmente attento ai problemi dei ragazzi che hanno difficoltà e il loro scopo è proprio quello di spronarli a fare di più e consigliare strategie e metodi di studio più efficaci.
Ma veniamo all’annosa questione dei compiti a casa di cui le famiglie chiedono una riduzione. Alle medie avevo un Professore d’inglese che aveva come metodo quello di farci lasciare i libri a scuola perché non dovevamo studiare a casa. Questa bella idea, però, aveva il nascosto scopo di farci lavorare di più a scuola: infatti, il non potersi preparare a casa per l’interrogazione del giorno dopo costringeva tutti a stare attenti alla lezione e a studiare di mattina, invece che di pomeriggio. Questo è solo un esempio di come si possono attuare delle strategie per diminuire i compiti a casa, ma è pur vero che niente come lo studio pomeridiano aiuta a diventare autonomi e indipendenti. Poi sta alla libertà del singolo ragazzo organizzare il tempo da dedicare allo studio e quello da lasciare libero; solo in quest’equilibrio si vivrà il lungo anno scolastico con serenità e senza mortificazioni. Intelligentibus pauca…

martedì 17 aprile 2012

Il doping dei professionisti dello studio pomeridiano


di Olga Sanese pubblicato sul Sussidiario.net


Laureati in farmacia che campano con ripetizioni di latino. Ecco quanto è grande il giro delle ripetizioni, un vortice che si estende dai laureati in cerca di occupazione agli insegnanti senza cattedra, dai liceali che aiutano i loro compagni di scuola ai centri studio.
Forse non è del tutto colpa dell’assenza o della brevità dei corsi di recupero pomeridiani (non ci sono, in questo ambito, grandi cambiamenti rispetto al passato): è evidente che un corso di otto ore non basta certo a imparare tutto il latino che si insegna in un intero quadrimestre scolastico.

E allora vari sono i motivi che inducono i genitori a “far seguire” i propri figli da “esterni” che non sono più né i nonni, né i fratelli maggiori, né mamma o papà perché sono a lavoro. Le ripetizioni si distribuiscono su tutto l’anno: in estate, se ci sono stati debiti alla fine dell’anno o per prevenire carenze future; in inverno, per accompagnare nello studio chi è rimasto indietro rispetto alla propria classe e ha preso brutti voti, ma anche chi vuole rafforzare le proprie conoscenze e passare dal 7 all’8.

Così si alza il telefono e si chiama il laureato (o pensionato) di turno, in base ai “miracoli” scolastici compiuti e alla tariffa richiesta (dai 10 ai 50 euro), su suggerimento degli stessi prof. del giorno o di amiche con figli, conoscenti e parenti; costui, se è un insegnante “a domicilio”, viene direttamente a casa all’orario stabilito e diventerà a breve uno di famiglia (si troverà in mezzo a litigi familiari, pranzi non finiti, tavole da sparecchiare per lasciar il posto a libri “immacolati”..); se, invece, bisogna accompagnare i figli da lui, i genitori avranno trovato l’ennesimo luogo dove correre e poterli “scaricare”.

A questo punto hanno inizio le ripetizioni. Il nuovo professore, a cui si dà del “tu” e a cui fai anche il regalo a Natale o a fine anno per ringraziarlo del miracolo compiuto, chiede al ragazzo a che punto del programma di trovano, cosa fa in classe, in cosa si sente carente o se ha bisogno di ulteriori spiegazioni (ricevendo spesso solo “mozziconi” di risposte perché lo studente che ricorre alle ripetizioni quando è a scuola pensa ad altro). Poi iniziano a fare insieme i compiti e lì diventa tutto più chiaro rispetto a un momento fa. Ovviamente, dopo alcune lezioni, la ripresa (almeno per quella materia) è garantita: il ragazzino infatti, non avendo modo di distrarsi e di evadere dallo studio, miracolosamente migliora e “si salva”.
Le mamme, seppur col portafoglio meno pesante, si ringalluzziscono con le prime sufficienze  e consigliano il loro “supporto” anche alle amiche. Così, col “passaparola”, il giro delle ripetizioni si allarga e continua…

Non è, però, tutto oro quello luccica. Infatti, se il docente pomeridiano, parafrasando un noto proverbio cinese, ha dato allo studente direttamente “i pesci”, ma non gli “ha insegnato a pescare” (facendogli, quindi, raggiungere subito il risultato ma senza insegnargli il metodo per continuare a studiare bene da solo), le ripetizioni saranno state una sorta di “doping” il cui effetto presto svanirà.
È interessante, allora, citare a questo punto l’opinione della preside del liceo “Tasso” di Roma, secondo la quale i ragazzi possono farcela anche da soli. È verissimo. Ma come? Basterebbe spegnere cellulare, staccarsi da internet e andare in palestra la sera invece che nelle ore in cui la mente è più “fresca”, come si diceva una volta.  Queste, infatti, sono le prime cause dell’accumulo di compiti assegnati a casa da mesi e mai svolti. Ancora: basterebbe stare attenti in classe (e se si va a dormire presto la sera è più facile) e seguire il proprio professore la mattina, invece, che un costoso “professionista del recupero” il pomeriggio.
Sono tutte cose che chi va bene ed è autonomo a scuola già fa. D’altronde, si sa, chi fa il suo dovere giorno per giorno non ha certo bisogno di ripetizioni…

martedì 10 aprile 2012

INTERVISTA A MASSIMO FINI


di Olga Sanese pubblicato dall'editore Pagine


“Deluso dalle ideologie dominanti, di destra e di sinistra”, come lui stesso si presenta sul sito web, Massimo Fini è un noto intellettuale italiano. Giornalista, scrittore e attore ha analizzato a fondo la nostra epoca asserendo che “il disagio esistenziale si è fatto, nell'Occidente industrializzato, acutissimo in noi tutti, anche se trova sorde le elites politiche e intellettuali che continuano a marciare, col sole in fronte e la verità in tasca, su categorie concettuali, il liberalismo e il marxismo, con tutte le loro declinazioni, vecchie ormai di più di due secoli”. Sono parole del suo “Manifesto contro”: contro il mondo moderno delle tecnologie avanzate, contro le Tecnocrazie al potere, contro il governo mondiale dell’economia. Per tutto questo Fini incarna “Il ribelle dalla A alla Z”, la cui “Voce” passa attraverso il mensile che dirige. Arrivato al giornalismo negli anni Settanta con l’ “Avanti”, è passato poi all’ “Europeo” con la Fallaci e a “Pagina”, giornale in cui si sono formati anche Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Giuliano Ferrara e Pier Luigi Battista. Nel 1982 entra al "Giorno" cominciando una solitaria battaglia contro la partitocrazia e predice il crollo del sistema e la fine del PSI. Ha lavorato anche all’ “Indipendente” di Vittorio Feltri. Attualmente scrive su Il "Fatto Quotidiano" e Il "Gazzettino". Anti-rivoluzionario francese e identitarista di sinistra è autore di numerosissimi saggi, romanzi e di un’opera teatrale intitolata “Cyrano”. In tutta la sua produzione sostiene che “Senz’anima” è il nostro Paese, pieno di un nulla che fa più orrore dello stesso orrore; che “il vizio oscuro dell'occidente” è quella “ricerca inesausta del Bene, anzi del Meglio, che ha creato il meccanismo perfetto e infallibile dell’infelicità” e che “il terrorismo globale non farà che confermare e rafforzare il delirio occidentale dell’unico modello mondiale”, al cui interno “avverrà lo scontro vero, il più drammatico e violento: fra i fautori della modernità e le folle, deluse, frustrate ed esasperate, che avranno smesso di crederci” (Manifesto dell'Antimodernità). 
Per questo “La Destra” ha voluto intervistare Massimo Fini, profeta del tempo che stiamo vivendo.
Che ne pensa dell’attuale situazione in cui versa il nostro Paese, in cui un Monti-Dracula succhia soldi agli italiani?
Monti è l’uomo giusto in un sistema sbagliato. L’uomo giusto perché ci voleva qualcuno che prendesse queste misure. L’errore di Berlusconi è stato di non averle prese lui. Con l’espressione sistema sbagliato, invece, mi riferisco al libero mercato, alla competizione, alla forza del denaro rispetto a tutto il resto. Il modello di sviluppo nato nel XVIII secolo con la Rivoluzione industriale è giunto a fine corsa: non si può più crescere. La “macchina” dell’attuale sistema economico è arrivata davanti a un muro, eppure continua a dare di acceleratore. Per questo, a breve,  fonderà il motore…

Partendo dal suo “Manifesto contro la Democrazia”, in cui sostiene che siamo tutti “Sudditi” in questa finta democrazia fatta di “minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiacciano l’individuo, già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la stessa democrazia è l’involucro legittimante”, non crede che un governo tecnico formato da persone nominate dall’alto - e, quindi, non elette dai cittadini - metta seriamente a repentaglio la democrazia più di quanto si diceva del governo Berlusconi?
La democrazia è a rischio; e se soccombe è meglio, essendo una finzione sofisticata per la povera gente che le dà consenso. Non è mutato nulla con il cambio di governo. Aveva ragione Kelsen...


Nella sua vasta produzione, Lei ha reinterpretato anche figure dell’antica Roma come Nerone e Catilina. Quest’ultimo è stato visto da Lei come un eroe romano che, alla fine della repubblica, combatteva contro le oligarchie del tempo: gli “optimates”. Secondo Lei oggi c’è qualcuno che si oppone agli attuali poteri forti, pur essendo in minoranza e consapevole di dover soccombere?
No. Non ci sono “Catiline” da nessuna parte, né all’estero né tantomeno in Italia. C’è solo un mondo che si oppone al nostro modello di omologazione ed è quello islamico.

Si riferisce a quello che ha scritto ne “Il Mullah Omar” (Marsilio - 2011), rilettura della guerra in Afghanistan come la lotta dell'uomo contro la macchina in cui il leader dei Talebani che “tiene in scacco il più tecnologico esercito del mondo per il suo sogno: quello di un Afghanistan finalmente unificato e pacificato, lontanissimo dagli stili di vita dell'Occidente” e da quello “sterco del demonio”, il denaro, che crede di poter tutto comprare e corrompere, anche i valori, per difendere i quali i giovani Talebani sono disposti a morire?
Certo. I Talebani, relativamente al loro paese, rappresentano la reazione all’Occidente, il ribellarsi all’occupazione straniera. C’era anche l’Africa nera, ma è stata distrutta dall’Occidente e con questo termine oggi s’intende anche Russia e Cina. Quest’ultima si è ormai impadronita dell’africa nera…

Un’ultima domanda sull’informazione. Lei ha scritto un romanzo, “Il dio Thot” (Marsilio - 2009), in cui si scaglia contro quell’informazione, che si avvita su se stessa, megafono del nulla” perchè “quel poco di realtà che c'è ancora è ignorata dai media e quindi non esiste. (…) Il distacco tra virtuale e reale è ormai completo e non potrà che implodere su se stesso”. È ancora di questa opinione?
L’informazione crea illusioni. D’altronde è sempre stato così. I primi giornali di carta stampata francesi e tedeschi sono nati al servizio del potere. E oggi non è diverso: i soliti sono a capo di oligarchie mediatiche. Uno spiraglio viene da internet ma, anche qui purtroppo, manca una seria verifica.

Montanelli diceva “Ha le mani pulite. Non rispetta le regole. Non sta al gioco” perché  Fini è un vero “conformista” nella misura in cui la Sinistra è una finta anticonformista. “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio”…