lunedì 5 settembre 2011

Dopo la pianista che commosse Stalin arriva Pasternak. Intervista a Giovanna Parravicini

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista di agosto 2011 (speciale Meeting)


«L’artista dialoga con Dio, e Questi gli offre svariati soggetti perché abbia di che scrivere (…) Tutto è positivo in questo dialogo con Dio che costituisce l’essenza della vita». La mostra curata da Adriano Dell’Asta e Giovanna Parravicini, ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana e direttore dell'edizione russa della rivista "La Nuova Europa", si è costruita intorno a questa affermazione di Boris Pasternak  che, se da un lato è uno dei vertici dell’esperienza umana, dall’altro è il motivo dominante della sua creatività, delle sua poesie e del suo capolavoro “Il Dottor Živago”, scritto nell’arco di dieci anni dal 1946 al 1955 (Nobel nel 1957 che fu costretto a rifiutare per timore di gravi ritorsioni da parte del regime sovietico) ma a cui si era preparato tutta la vita, e che sente come  una missione affidatagli da Dio.

Cosa vedranno i visitatori del Meeting di Rimini nella mostra intitolata “Mia sorella la Vita. Boris Pasternak”?

G.P. La mostra racconta l’iter di Pasternak, partendo da due poesie che appartengono al romanzo, “Amleto” e “Il Getsemani”, dove a tema è la vita dell’uomo come vocazione, entro la grande vocazione di Cristo. Oltre ai pannelli di testo e di fotografie, ci sarà un laboratorio teatrale, dove verranno recitati versi e brani di Pasternak e saranno riprodotti due filmati.
All’incontro di presentazione della mostra interverrà Ol’ga Sedakova, una delle voci più suggestive della poesia russa dei nostri giorni, e ricorderà che per lei e la sua generazione gli scritti di Pasternak «suonavano come lettere apostoliche»; erano temuti e vietati dal regime tanto da circolare esclusivamente attraverso i canali clandestini del samizdat.
La mostra si snoderà intorno a tre personaggi emblematici per Pasternak: Amleto, Faust e il dottor Živago. I primi due li frequentò a lungo come traduttore di Shakespaere e di Goethe: Amleto è l’emblema dell’uomo che fa ingresso nella vita, consapevole di una responsabilità e di un sacrificio che gli vengono dall’essere «mandato»; Faust è l’uomo che cerca di «strappare» un brandello di felicità con le proprie forze; il dottor Živago (il nome in russo ha la stessa radice di «vita») è il superamento della tentazione faustiana e il compimento dell’attesa di Amleto.

Da dove nasce l’idea della mostra?

G.P. Nasce dall'amicizia del grande poeta con la pianista Marija Judina, a cui ho recentemente dedicato un libro “Marija Judina. La pianista che commosse Stalin. Più della musica”. Era una donna inquieta, per la quale suonare era “un avvenimento interiore”,  sempre in ricerca della verità; questa sua tormentosa indagine approderà infine alla Fede. All’inizio conosceva «solo una strada che porta a Dio, l’arte» tanto che ogni «sua lezione su Bach è catechismo», come dicono i suoi allievi.   Ma fu quell’imprevisto ammiratore, Stalin, a metterla alla prova quando le regalò ventimila rubli ai quali la pianista rispose solo con un biglietto: «Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. I soldi che mi ha donato li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado».
Alla morte del grande dittatore, sul suo grammofono, c’era un disco della Judina.


Come avviene l’incontro tra i Pasternak e la Judina?

Il 16 gennaio del 1929 Pasternak, trascinato da un amico a un concerto di Marija Judina, era rimasto abbagliato ma anche confuso perché nella pianista aveva riconosciuto la donna dimessa, «con un paio di scarpe scalcagnate e una camicetta più che modesta» che qualche settimana prima si era recata da lui per chiedergli di tradurre delle poesie di Rilke che le servivano per il lavoro al Conservatorio. Allora le aveva risposto evasivamente (chiedendosi come avrebbe fatto a pagargli il lavoro), ma durante l’intervallo del concerto le aveva mandato un biglietto: «Mi perdoni, non sapevo chi Lei fosse. Mi scriva, tradurrò tutto quello che vuole».

Con la mostra di quest’anno Giovanna Parravicini continua l’opera, iniziata con il suo libro Liberi (Rizzoli), di ritrarre storie di grandi uomini, di luminosi testimoni della Fede della Russia novecentesca. Per le numerose pubblicazioni sulla storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e la storia dell'arte bizantina e russa, per la collaborazione in ambito culturale con la Nunziatura Apostolica e presso il Centro "Biblioteca dello Spirito" - lavori che compie vivendo a Mosca -, oltre che per questa intervista, la redazione dell’Ottimista la ringrazia.

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