martedì 27 settembre 2011

Esportiamo le lingue classiche nel BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) per far scoprire loro i diritti

di Olga Sanese su
La filosofa americana Nussbaum, autrice del noto “Non per profitto” (libro dedicato alla necessità degli studi speculativi soprattutto nell’epoca economica che stiamo vivendo) dice che, leggendo Platone alle Indiane, sta facendo nascere in loro il desiderio di conquistare i loro diritti fondamentali. I classici potrebbero essere così il motore del futuro democratico di molti Stati in via di sviluppo.
Da sempre la storia dimostra che una delle conseguenze del boom economico di una nazione è lo sbocciare della fioritura artistica. Come nell’antica Grecia nessun miracolo culturale sarebbe stato possibile senza il commercio e la fondazione di colonie e a Firenze non ci sarebbe Lorenzo il Magnifico senza il fiorino d’oro,  anche la Cina – colosso economico mondiale attuale – inizia a scoprire la bellezza e si dedica al culto dei marchi della casa e del design. Le turiste cinesi in Italia, infatti, fotografano sempre più spesso le vetrine dei nostri negozi, incantate dalla bellezza dei prodotti  Made in Italy. E non hanno ancora mai avuto a che fare con un tragediografo greco come Euripide o con un filosofo latino come Seneca! Per esempio in America  uno dei primi passi dopo il boom economico è stata proprio la riscoperta delle lingue e delle letterature classiche, tanto che hanno natali americani alcuni tra i più grandi letterati di fama mondiale; sulle loro ricerche, infatti, gli Stati Uniti si sono dimostrati all’avanguardia, pronti a finanziarle e a scommetterci, come se attraversassero il loro primo Rinascimento.
Oggi questo passo tocca alla grande Cina, e siamo già sulla buona strada se si pensa che la Repubblica popolare sta moltiplicando esponenzialmente i suoi ricercatori nella consapevolezza che la ricetta vincente è lo studio e gli scienziati sono eroi nazionali. Dal made in China si sta passando, dunque, al made with China, dal “Brain drain” al “Brain gain”. Con questi propositi e con la loro grande capacità di lavoro,  se passiamo da campo lavorativo a quello scolastico i cinesi potrebbero essere particolarmente adatti a tradurre (e senza I-Pod!) lunghe versioni di latino e greco, una delle grandi e sane fatiche che richiedono gli studi classici.
Ovviamente questo discorso vale anche alle altre nazioni in via di espansione, quelle che - secondo il saggio di Andrea Goldste - formano la sigla BRIC (dopo la Cina c’è il Brasile, la Russia e l’India): in Brasile non avrebbero nessuna difficoltà a familiarizzare con le lingue classiche in quanto il portoghese è una lingua neolatina; in Russia sono avvantaggiati perché il loro alfabeto greco deriva direttamente da quello degli evangelizzatori Cirillo e Metodio; in India scoprirebbero che l’antico sanscrito ha le stesse radici del latino e greco discendendo dal comune indoeuropeo.
Chi meglio dei classici, dunque, potrebbe far percepire i mercati emergenti come portatori di un appeal globale e di successo? Saranno capaci i tanti giovani letterati che, magari non trovando occupazione nel nostro sistema scolastico sempre più ricco di studenti stranieri, di dare inizio a questo nuovo progetto di diffusione dell’ humanitas. Ai posteri l’ardua sentenza…

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