martedì 20 dicembre 2011

Dalla cioccolata di Modica all’involtino primavera cinese

di Olga Sanese pubblicato su Mag Magazine di ottobre/novembre 2011 

Giulia Iemmolo è nata a Modica (Ragusa) nell’85. Si è laureata nel 2009 in Lingua e cultura cinese presso la Sapienza di Roma. Nel 2010 ha fatto un master in “Global Management: società ed istituzioni della Cina contemporanea”  con una tesina sullo sviluppo della Responsabilità Sociale d’Impresa in Cina, RSI). Dal 2010 è a Pechino dove collabora con il China Desk dello Studio di consulenza tributaria e legale Pirola Pennuto Zei & Associati, dove fornisce servizi in materia di RSI ad aziende italiane e straniere che operano in Cina.

Dott.ssa Iemmolo, perché ha scelto proprio la Cina?
Semplicemente perché ho seguito l’irrazionale necessità di provare a capire qualcosa che era profondamente diverso da me. Prima di intraprendere gli studi orientali la Cina era, nel mio immaginario, irraggiungibile ed incomprensibile: il luogo ideale per provare a me stessa di essere diversa dagli altri, di essere capace di imparare una lingua che in pochi riuscivano a conoscere.

Di cosa si occupa esattamente?
Di responsabilità sociale delle imprese, intesa come componente dell’eccellenza imprenditoriale e parte integrante della strategia delle aziende. Ogni impresa, infatti, può individuare le modalità d’intervento più corrette e coerenti con la propria identità e raggiungere un equilibrio ottimale tra il profitto ed una maggiore attenzione alla trasparenza, alla qualità e allo sviluppo sostenibile. Per questo il mio Studio ha avviato una collaborazione con Officina Etica Consulting (attraverso la Dott.ssa Paola Gennari Santori), società di consulenza nel settore della responsabilità sociale e della filantropia, dando vita alla “Sustainability Unit”.
In Cina siamo i primi italiani ad operare in questo settore e seguiamo le imprese che operano in Cina nell’iter di sviluppo e di implementazione di policy di responsabilità sociale, nella predisposizione del loro Codice Etico, nelle attività di reporting e accountability (report sociale, biliancio sociale, bilancio di sostenibilità), nelle attività di engagement con i vari stakeholders. Inoltre siamo molto attivi nella diffusione di una cultura delle responsabilità sociale attraverso l’organizzazione di training, corsi di formazione ed incontri con gli imprenditori italiani in Cina.

Cosa significa oggi vivere in Cina?
Significa vivere in una sorta di gioco d’azzardo: non si sa chi sarà il vincitore ma se non si gioca bene la partita, si rischia di perdere tutto, sia sul piano del business che su quello personale. La Cina non è più il Paese in cui venire per arricchirsi facilmente perché fa fortuna solo chi dimostra di avere davvero un investimento, un progetto migliore di quello di altri.
Relazionalmente, essendo questa una realtà troppo grande, facilmente si rischia di perdere se stessi, di non riuscire a ricreare una dimensione “umana” in mezzo al vortice di superficialità che domina i rapporti sociali.
Dall’altra parte, però, quasi tutti gli “expats” sono arrivati qui per sei mesi e poi sono (siamo) entrati ne  “l’1+1+1”, ovvero gli anni in cui si protrae la permanenza.

Quali analogie e differenze ci sono tra siciliani e cinesi?
Sono scettica sulla possibilità di comprendere l’essenza profonda della cultura cinese e ciò dipende dal grado di interazione che si riesce a raggiungere con questo popolo, dal capire della loro logica, dal riuscire a diventare “uno di loro”.
Durante i primi anni di studio, il travolgente ritmo di Pechino, metropoli che stava crescendo sotto i miei occhi, mi ha portato a considerare questa realtà come una sorta di paradiso dove tutto era possibile. Il costante ricambio di amicizie avrebbe soddisfatto la mia sete di conoscere culture diverse e la possibilità di iniziare una carriera di successo qui, e solo qui, era concreta.  Certo il mio spirito siculo, forte, fiero e a tratti autoritario, mi ha aiutato a sopravvivere in questa giungla in cui la fatica impiegata per raggiungere i propri obiettivi è superiore che altrove.
Le lunghe chiacchierate con i tassisti pechinesi durante le interminabili mi hanno fatto realizzare che tra la mia cultura d’origine e quella cinese esistono molti tratti comuni: l’importanza della famiglia, centro della vita di ogni persona, il rispetto nei confronti degli anziani e alcuni riti sociali come il pranzo della domenica presso i nonni. In Cina è lo stesso: in ogni casa c’è un piccolo altare consacrato agli “avi” - proprio come da mia nonna ce n’è uno che ricorda i defunti - che i più giovani devono rispettare e, poi, ricreare all’interno del loro futuro nido.
Un’ulteriore somiglianza sta nel sistema di “guangxi”, le relazioni che ciascuno intrattiene con persone che potrebbero rivelarsi “utili”. Nulla è realizzabile altrimenti, ed in Sicilia non mi sembra molto diverso, anche se “guangxi”  non è necessariamente sinonimo di corruzione, ma esprime un sistema di relazioni necessarie.

Cosa Le manca della Sicilia?
Il profumo del mare e del cibo casalingo; i raggi del sole che rendono le fatiche quotidiane più gradevoli.
Il profumo dei mandorli siciliani in fiore sovrasta tutto il resto mentre qui è difficile distinguere cosa provochi un odore. In Cina gli odori sono confusi, i colori inesistenti: il grigio domina incontrastato; le aiuole e i prati non crescono ma vengono appositamente piantati per la durata di una stagione per cedere il passo ai sassi nei periodi più aridi. È la magia di un Paese in cui tutto è possibile.

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