lunedì 13 febbraio 2012

La chiave della Memoria

di Olga Sanese pubblicato su L'Ottimista del 6 febbraio 2012

Qual è lo scopo della Giornata della Memoria (27 gennaio) se non ricordare il genocidio degli ebrei affinché nulla di simile riaccada nella storia dell’umanità? Proprio questo è il fine anche de “La chiave di Sara”, il film di Gilles Paquet-Brenner uscito nelle sale il 13 gennaio. Il regista si propone di far conoscere ai giovani francesi di oggi (e a tutti gli spettatori, ovviamente) uno degli episodi più ignobili della storia francese: il rastrellamento di tredicimila ebrei nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942 sotto gli occhi della polizia francese.
Trattando il tema della Memoria storica, il film è basato sulla ricostruzione di quel che è stato da parte di Julia Jarmond, giornalista americana, che da vent'anni vive a Parigi, sposata con il proprietario di una casa dove abitò una della famiglie ebraiche deportate al Velodromo. Attraverso il suo reportage sull’argomento e grazie alle notizie fornite dal suocero, “incrocia” la storia di Sara, una fanciulla deportata che, per salvare il fratellino Michel, portò con sé la chiave dell’armadio dove lo nascose il giorno del rastrellamento.  Un rimorso che durerà per lei tutta la vita e che rappresenta un “tòpos” per gli ebrei scampati ai campi di sterminio (cfr. Primo Levi): quello di essere sfuggiti alla morte nel lager e, al tempo stesso, l’aver lasciato lì la “vita”, i familiari, il ricordo, a tal punto da non riuscire ad affrontare il tempo dell’esistenza che resta.   
Ad ogni modo “La chiave di Sara” si discosta abbastanza da tutti gli altri film sull’argomento come Shindler’s list, Canone Inverso o  La vita è bella in quanto lo scopo del regista non è stato quello di soffermarsi sulla vita degli ebrei all’interno del campo di concentramento quanto la necessità della trasmissione del passato: quel “fare memoria” che altrimenti rischia di cancellare pagine di storia vergognose o, peggio ancora, di favoleggiarle se non addirittura smentirle. Al tempo stesso però il film indugia in particolari forse inopportuni per la drammaticità del tema (la separazione tra la giornalista e il marito, le loro discussioni sull’aborto, il giro del mondo della protagonista che sembra perdersi tra i parenti di Sara…). Degna di nota, invece, è la scena del bagno di Sara nel lago al di fuori del campo di concentramento che la “purifica” dalla malvagità umana vista e sentita là dentro e che poi si ripete quando ella abbandona la famiglia di adozione in cerca del suo spazio nel mondo.
Un film che commuove e che fa riflettere, ma che è soprattutto una chiave per non dimenticare

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