giovedì 9 febbraio 2012

Susanna Tamaro incontra gli studenti


di Olga Sanese

Ieri, 8 febbraio, Susanna Tamaro ha risposto alle domande degli studenti del Liceo Dalmazia di Roma che hanno letto il suo ultimo romanzo intitolato “Per sempre”. Matteo, il protagonista del romanzo (e forse alter-ego dell’autrice) alla stessa domanda "Esiste il per sempre?" – posta nel libro - risponde: “Esiste solo il per sempre”, dimostrando che nulla di ciò che si perde (nel caso di Matteo, la moglie e i figli, a causa di un incidente stradale) appartiene a qualcos’altro che non sia l’eternità, motore immobile del tempo umano, origine e destino di tutto e di tutti.
 Nel suo ultimo capolavoro l’autrice triestina va dritta all’essenziale che, come diceva il Piccolo Principe, “è invisibile agli occhi”. Per questo nel modo di vivere quotidiano l’umanità sembra a tratti cieca di fronte all’evidenza della realtà ed è proprio per questo che la scrittrice mostra sotto il profilo del padre di Matteo (cieco fisicamente ma con una notevole “vista interiore”) e descrivendo la natura, altro grande “personaggio” del romanzo: questa “non sopporta i vuoti e riempie ogni angolo che l’uomo abbandona di erbe selvatiche, di rovi spinosi, di ortiche infestanti (…) La natura è la creazione alla quale l’uomo collabora. E appena non lo fa, sottovalutando la presenza del male - le vipere, le spine, i rovi che strisciano e si aggrovigliano- queste  divorano tutto” (S.T.).

Da ciò emerge quell’impronta panteistica di Susanna Tamaro, che per il suo protagonista, Matteo, si è “ispirata a tanti nuovi eremiti che hanno scelto di vivere nelle montagne dell’Appennino” – lei inclusa – “persone che adesso in tanti, magari di domenica, vanno a trovare alla ricerca di un dialogo autentico sulle cose che contano. È una scelta di rinuncia alla civiltà e anche alla velocità”. Esemplare a tal proposito è il dialogo tra Matteo e una giornalista (emblema del pensiero relativista corrente) che va ad indagare il suo modo di vivere fuori dal comune; durante quell’intervista viene dimostrato che l’estrema libertà del non credere in nulla sia peggiore dell’assolutismo di chi crede di avere la verità in tasca. Per la Tamaro, invece, la verità non proviene da una auctoritas (a tal proposito si veda il colloquio tra Matteo e un giovane sacerdote all’indomani dell’incidente), ma è continua ricerca, è la scoperta del rapporto che lega l’uomo (essere così misterioso) alla natura e al cosmo. Una “corrispondenza d’amorosi sensi” – direbbe il materialista Foscolo - che lega le creature al loro Creatore e che emerge anche nel toccante racconto del bambino down.

Ma a questa conclusione Matteo giunge solo dopo quell’odissea di eventi che è la vita stessa. L’infanzia trascorsa a contatto con la terra dei nonni, il racconto del matrimonio dei suoi genitori (il padre ricorda l’ambiente natale della scrittrice stessa), le prime domande di senso – poste con estrema perspicacia - all’età del catechismo; poi l’“autosospensione” durante gli studi di medicina e il sovraccarico di lavoro. Al culmine di tutto c’è lei, Nora, l’amata che riempie di vita le sue giornate, che in ogni cosa che fa scova la poesia, in ogni atto la bellezza, in ogni meditazione mattutina il dialogo con il Mistero. Poi, d’un tratto, quella luce di spegne ed ancora più misterioso si presenta il suo tentato suicidio: perché una donna così appassionata del profumo della vita, madre di un bambino e in attesa di un altro, non ha tirato il freno in quella curva? Questa domanda rimbomba nelle orecchie del protagonista per tutto il romanzo e “spadroneggia” su di lui, inducendolo a bere e a cambiare donne nell’illusione di superare il doloroso passato. Ma poi, alla fine, del romanzo sarà di nuovo giorno…

La narrazione è tutta in prima persona. È Matteo cresciuto ed eremita che racconta la sua storia, non in modo cronologico ma per associazione di idee e di ricordi. Il lettore, pian piano, viene a conoscere la sua storia e “simpatizza” (nel senso greco del termine) con il protagonista. Il linguaggio è metaforico e lascia trasparire la formazione cinematografica dell’autrice che, anche in questo romanzo, esorta il lettore ad andare là “dove ti porta il cuore”.

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