martedì 28 febbraio 2012

Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio

pubblicato su L'Ottimista del 23/2/2012

No, non è il ritornello della canzone vincitrice di Sanremo, “Non è l’inferno”, ma un noto brano de “Le città invisibili” (1972) di Italo Calvino che inizia così: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. (…) Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui”, ma è proprio quello citato all’inizio dell’articolo e scelto (volontariamente?) dagli autori della canzone di Emma.
Il brano tratta di come un centenario ex combattente della I e II guerra mondiale si ritrovi oggi “a non tirare a fine mese, in mano a Dio le sue preghiere” con un figlio precario “che a 30 anni teme il sogno di sposarsi e la natura di diventare padre”.

Tuttavia da questo dramma esistenziale e ormai comune – tanto che si parla di “nuovi poveri” – nasce una speranza, almeno quella di affermare la vita, l’unica cosa che resta, e che nemmeno in queste tragiche situazioni “è possibile pensare che sia più facile morire”; la vita non è mai  “inferno” perché come diceva Calvino, nell’esistenza bisogna aggrapparsi a tutto ciò che “inferno non è, farlo durare e dargli spazio”.

Questa è la ricetta di una vita che chiede di essere vissuta degnamente e che qualche volta ci regala delle vittorie, come quella dell’ “amica” Emma al Festival di Sanremo di quest’anno.

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