mercoledì 9 marzo 2011

E tu che tipo di donna sei? Scoprilo con il test di Semonide del VII secolo a.C.

di Olga Sanese su L'Ottimista del 3/3/2011


“L’indole della donna Dio la fece diversa.
Una deriva dalla scrofa setosa; la sua casa è una lordura. Un’altra la fece dalla volpe: è quella che sa tutto. Come sua madre è quella che deriva dalla cagna: curiosa di sentire e di sapere. Una la fece di terra e la diede all’uomo: non ha idea né di bene né di male. Una cosa la sa: mangiare. Viene dal mare un’altra, e ha due nature opposte: un giorno ride, tutta allegra, un altro giorno non la sopporti neppure a vederla, come il mare che sta sovente calmo, e sovente s’agita e s’infuria. Una viene dall’asina, paziente alle botte. Nasce dalla cavalla raffinata un’altra: schiva la fatica, si lava tutto il giorno due, tre volte, si trucca, si profuma, è sempre pettinatissima: una simile donna è uno spettacolo bello per gli altri, per lo sposo un guaio. A meno che non sia principe
”.
Già sette secoli prima di Cristo, l’uomo aveva capito bene con chi aveva a che fare. Il “Biasimo delle donne”, scritto dal poeta greco Semonide, descrive benissimo tutti i tipi umani che le donne - quelle di ieri come quelle di oggi - possono incarnare. Ma, per fortuna, il suo non è un catalogo di soli difetti e ci pensa l’ultima strofa a ricompensare quelle che se lo meritano: “c’è quella che viene dall’ape: fortunato chi se la prende. E’ immune da censure lei sola, è fonte di prosperità, invecchia col marito in un amore mutuo; è madre di figli illustri e belli. E si distingue fra tutte le donne, circonfusa di un fascino divino. Ecco qui le più sagge, le migliori”.
Quest’ultima, la donna-ape, rispecchia appieno le doti della donna vagheggiata da moltissimi poeti nel corso della storia e raggiunge il suo massimo splendore nella Beatrice dantesca. Il fascino divino di cui parla Semonide, infatti, è la caratteristica peculiare della donna vista dal poeta come tramite tra cielo e terra, tra l‘umano e il divino.
E questo filone letterario arriva fino ai nostri tempi. Infatti, lo stesso Eugenio Montale scriveva: “Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio / non già perché con quattr'occhi forse si vede di più”. In questi versi novecenteschi la moglie del poeta è descritta con una vista speciale, tipica del genio femminile; essa consiste in quella capacità straordinaria che hanno le donne di penetrare il vero senso delle cose che si cela al di là delle apparenze. Secondo Montale, infatti, resta deluso “chi crede / che la realtà sia quella che si vede”.
E oggi qual è la situazione in cui noi viviamo?
A quale categoria di Semonide apparterrebbero le donne dell’onda rosa scese in piazza con il motto “Se non ora quando”? E a chi somigliano quelle riunite in Piazza S. Pietro qualche domenica prima in occasione della “Giornata per la vita”? Tutte queste donne hanno riempito grandi piazze, pur avendo concezioni della vita diverse; l’8 marzo, invece, ricorda a tutte che anche un’altra piazza è possibile ed è quella di chi crede che la loro vita sia così preziosa per l’uomo da avvicinarlo a Dio, aprendogli in questa vita la strada che porta all’eternità, come hanno cantato i poeti di tutti i tempi.
Possa questa festa, dunque, unirci tutte, nella consapevolezza di essere persone prima che donne.

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