martedì 17 gennaio 2012

Chi ha ucciso Dante Alighieri?


di Olga Sanese pubblicato su "Pagine" di dicembre-gennaio 2012


Chi ha ucciso Dante Alighieri? Se lo chiede Francesco Fioretti, dantista di professione in una Università tedesca, nel suo thriller estivo “Il libro segreto di Dante – Il codice nascosto della Divina Commedia”, diventato subito un caso editoriale. Definito da Vanity fair “Il Codice da Vinci” italiano, ha riscosso successo sicuramente per gli approfondimenti culturali che si respirano in ogni descrizione dell’epoca, in ciascun personaggio, nelle interpretazioni del testo dantesco e in tutta la narrazione.
Il libro, frutto di invenzione ma anche di avvenimenti storici come l’autore sottolinea nell’apostrofe finale al lettore e nella nutrita nota bibliografica, nasce dalle strane circostanze in cui è avvenuta la morte del Divin Poeta, lontano dalla patria, a Ravenna. Secondo la tradizione egli sarebbe morto  a causa della malaria; invece per il nostro Dan Brown il segreto di Dante, cioè il motivo per cui sarebbe stato assassinato, è custodito negli ultimi tredici canti del Paradiso della Divina Commedia, la Bibbia della letteratura italiana, che Suor Beatrice, la figlia del poeta, e Giovanni da Lucca, figlio illegittimo dell’Alighieri secondo Fioretti, hanno il compito di ritrovare. Al loro fianco ci saranno gli altri figli di Dante, Pietro e Jacopo, e un ex-templare chiamato Bernard, il quale unirà a questa ricerca anche quella dell’arca dell’Alleanza.

Ma chi avrebbe voluto la morte di Dante? Per scoprirlo, Giovanni da Lucca, ossia l’alter ego di Fioretti, risale innanzitutto alle cause del suo esilio, per poi ingarbugliarsi anche nelle questioni di cuore, immancabili in un romanzo. In effetti più di uno studioso si è  chiesto perché Dante sposò Gemma Donati nonostante fosse perdutamente innamorato di Beatrice, morta di parto secondo Fioretti sulla base di una cronaca di medicina antica. Nel romanzo la moglie del poeta viene ritratta consapevole che il matrimonio con Dante era stato soltanto un contratto e che suo marito aveva sempre amato Beatrice, al punto da “giustificare” Paolo e Francesca nel V canto dell’inferno perché avevano avuto il coraggio – che a lui mancò – di possedere il vero amore anche a costo di morire. Così l’assassino assolda due frati di Ravenna per compiere il misfatto senza sporcarsi le mani e per impadronirsi dell’ultima fatica del poeta fiorentino, il Paradiso. Quest’ultima ambizione, però, non riesce perché Dante aveva nascosto benissimo gli ultimi tredici canti del suo capolavoro (di cui parla anche Boccaccio che compare nel romanzo in quanto fu storicamente a Ravenna nel 1350) affinchè non cadessero in mani sbagliate. Solo Giovanni e Suor Beatrice, attraverso simbologie e codici segreti celati nei versi della Commedia, riusciranno infine a trovare il “testamento” del padre della letteratura italiana.

Lo sfondo storico del romanzo è rappresentato dalla crisi economico-politica della Repubblica fiorentina del Trecento, periodo in cui le famiglie si fanno la guerra per accaparrarsi il potere, mandando in esilio uomini per bene come Dante. Così i nuovi borghesi, ormai proprietari del “maledetto fiore”, il fiorino d’oro, s’impadroniscono del potere e mandano “in pensione” le vecchie gentes, le casate nobiliari, incapaci di mutare il loro status sociale in base alle nuove circostanze storiche. Fioretti, nelle descrizioni dell’epoca, sembra strizzare l’occhio al lettore moderno, facendo notare che non molto è cambiato da allora; indugia in divagazioni sulla vita degli uomini, sulle loro abitudini,  sull’economia reale/creativa della società/della finanza e delle banche.  Inoltre è abilissimo nel descrivere i personaggi nella loro psicologia più profonda sulla scia dello stesso Manzoni (con suor Beatrice sembra di rivedere la monca di Monza, sotto-sotto innamorata del novello Egidio, Giovanni da Lucca, e che dice di essersi votata a Dio più per l’idea del tempo per una convinzione personale). Molto interessante è sicuramente la figura del protagonista, Giovanni, figlio illegittimo di Dante, grazie al quale Fioretti ha la possibilità di ricamare ancora su temi amorosi (per esempio Giovanni ritrova la sua amata e il figlio, chiamato come il nonno, Dante). Giovanni, del quale parla un documento del 1308, è un perfetto filologo-detective, sulla scia di Frate Gugliemo, il protagonista de “Il nome della Rosa” di U. Eco. È filologo perché Dante non ha lasciato un codice autografo della Divina Commedia, avendovi lavorato fino alla fine della sua vita; questo ha comportato la nascita della filologia dantesca, con lo scopo di risalire all’archetipo della Commedia, cioè la versione più vicina all’originale non pervenuto. Dopo anni di studi, attualmente leggiamo l’edizione critica del Prof. Petrocchi, filologo italiano degli anni Sessanta. Tra i primi studiosi, invece, Fioretti ricorda il figlio di Dante e Giovanni Boccaccio; quest’ultimo, nel poemetto “In laude Dantis” fu colui che aggiunse l’aggettivo Divina al titolo dantesco Comedìa.

“Il segreto di Dante” di Fioretti è soltanto una delle tante riprese della vita e delle opere del Divin poeta, entrato bene presto nel cuore di tutti i suoi lettori anche per alcune sue vicende avvolte nel mistero, oltre che per la difficile interpretazione di alcuni noti passi delle sue opere (basti pensare alla enigmatica profezia sul veltro).
Un altro recente testo che approfitta della reticenza dantesca per fare un’opera di fantasia è “La quarta cantica” (edito da Mondadori) scritto da Patrizia Tamarozzi, in arte Tamà, una Dan Brown al femminile, seconda la quale la Divina Commedia non finirebbe con il Paradiso. Nel suo romanzo la protagonista studia e ama Dante a tal punto da sognarlo in scene narrate Vita nova e in situazioni  che non sono scritte nemmeno nei suoi libri, come per esempio gli incontri segreti tra lui e Beatrice. Si tratta di una ricercatrice universitaria inglese (proprio come il Professor Robert Langdon de “Il Codice da Vinci”) di nome Beatrice che, dopo aver perso la memoria, non ricorda nulla di sé, tranne le sue visioni. Ad aiutarla la ricercatrice a ritrovare la sua identità e a capire cosa ci fa a Firenze c’è l’affascinante medico sotto il quale è in cura. Costui l’aiuterà anche nelle ricerche dantesche sulla quarta cantica, la parte della Divina Commedia che Dante scrisse dopo il Paradiso.  Tra i  frequenti colpi di scena e banali bozzetti di vita quotidiana (come può essere il litigio tra il medico e la sua ex moglie, gelosa della ricercatrice, o la loro figlia che marina la scuola per fare ricerche su Dante) è il contenuto segreto di questo scritto sconosciuto ad accendere curiosità nuove in un lettore assopito dalla conoscenza scolastica della Divina Commedia. L’idea del libro, infatti, è risvegliare lo studio sulle opere del Divin Poeta, senza dare nulla per scontato. Anche in questo proposito la Tamà è “figlia” di Dan Brown:  riprendere opere artistiche note per riaprire dibattiti chiusi da tempo, come fa l’autore americano per l’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci, è un ottimo espediente per l’ambientazione di un thriller storico. Ovviamente tocca poi al lettore distinguere la verità dalla finzione.
Come ne “Il Segreto di Dante”e ne “Il Codice da Vinci” non possono mancare i templari, le sette esoteriche come quelle dei Rosacroce e dei Dervici turchi che vengono ricollegate al Dante alchimista, quello che - a tutti è noto - era iscritto all’Arte degli speziali, una sorta di sindacato dell’epoca. Secondo la Tamà, dunque, è lo stesso Dante a fare una sorta di mappa del tesoro per rivelare dove era nascosta la quarta cantica; tuttavia per comprendere questo scritto segreto bisognava aspettare che i tempi fossero maturi. Così l’Alighieri divise la mappa e diede i frammenti a tre persone diverse; l’erede di una di queste è proprio la nonna della nostra ricercatrice che viene descritta in uno squarcio storico che si apre sulla Seconda guerra mondiale. Il libro è, dunque, una corsa ad ostacoli contro i detrattori della mappa conservata dalla ricercatrice; al centro della narrazione c’è una lotta contro il tempo per trovare l’ultima parte della Divina Commedia e conoscerne il contenuto. La quarta cantica è la narrazione di un regno perfetto, quello dell’uomo (il veltro è identificato dall’autrice con Dante) che ritorna sulla terra dopo aver visto inferno, purgatorio e paradiso, e trova Chiesa e Stato finalmente in pace fra loro.

Ma non finisce qui. Il Divin poeta ha ispirato altre opere come “Dante per l’azienda – Come uscire dalla selva oscura  della crisi economica” oppure il testo della sua Beatificazione. Si ricordino, infine, anche i commenti di Benigni, volti ad attualizzare la Commedia, e l’ ”Associazione cento canti”, nata per tramandare a memoria le terzine dantesche. Non ultima la Nannini che nella canzone sulla figlia “Amor che nulla hai dato al mondo” echeggia i versi danteschi di Paolo e Francesca.
Tutto ciò dimostra che Dante con le sue opere ha abbracciato tutta l’esistenza, umana e divina, ed è per questo che continua ad essere immortale.

Nessun commento:

Posta un commento